da www.voceoperaia.it

Sulla rottura col trotskysmo
Un monito per tutti i dottrinari



Tanti compagni ci scrivono chiedendoci se ci consideriamo trotskysti. Altri ci accusano di esserlo. Altri ancora che non esserlo più ci ha fatto perdere qualasiasi identità.
Ai nostri lettori proponiamo la lettura di questo documento, stilato nell'anno 2000 e approvato nelle linee generali dalla Corrente leninista Internazionale (di cui D-17 è la sezione italiana).
Esso spiega le ragioni per cui il trotskysmo abbia fallito la sua missine storica, ragioni che attengono alla basi ptrogrammatiche stesse della Quarta Internazionale.

(...)

La C.L.I. si è costituita nell'agosto 1996 dopo un lungo processo di selezione e grazie ad una definitiva rottura con il movimento trotskysta internazionale. Mezzo secolo era un arco di tempo più che sufficiente per stabilire con certezza che il trotskysmo aveva mancato per sempre l'obbiettivo di costruire un'alternativa sia alla socialdemocrazia che allo stalinismo. Quest'alternativa non poteva essere più costruita, per la semplice ragione che, dopo il crollo dell'URSS e l'avvento della globalizzazione, non c'erano più né una vera socialdemocrazia né lo stalinismo. Occorreva costruire non tanto un'altra direzione che si affermasse nella competizione con quelle vecchie, ma una direzione politica nuova, su un nuovo programma e sulle ceneri di quelle vecchie.

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Lucidamente consapevoli del ritardo con cui muovevamo il passo decisivo, spiegavamo che il trotskysmo non poté compiere la missione storica che si era prefisso per due ragione fondamentali: la prima è che esso aveva incardinato la sua strategia attorno al mito della centralità della classe operaia occidentale, la seconda è che a forza di combattere lo stalinismo era precipitato nella stalinofobia, introiettando dosi letali di socialdemocratismo controrivoluzionario.

A coloro che si cullavano nella pia illusione che la prossima ripresa rivoluzionaria, miracolosamente, avrebbe guarito il proletariato delle sue ferite, dalla sua immaturità, partorendo rapidamente nuovi partiti rivoluzionari rispondevamo che:
"Una civiltà di merda come quella capitalistica tende a clonare se stessa, a generare partiti di merda. Dal letame nascono i fiori, ma solo a condizione che vi sia posto il suo seme. Occorre di nuovo porre il seme del comunismo nella storia, senza dimenticare che il letame capitalistico perde sempre di più il suo grado di fertilità. Un partito rivoluzionario (cioè in grado fare una rivoluzione) non sorge dalla storia come un neonato dal grembo di una donna. Esso sorge nel processo sociale, ma non ne costituisce un mero riflesso: nasce anzi, in prima istanza, come risultato di se stesso, dalla propria autoproduzione. Deve separarsi dalla società borghese, come la civiltà s'è cominciata a costituire solo dal momento che l'uomo s'è staccato dalla natura sottomettendola a sé. Il partito è l'espressione cosciente di un processo storico incosciente. Non si tratta di seguire la storia e attendere il suo corso per raccoglierne i frutti maturi. Si tratta di costruire una forza combattente per evitare questo corso che, nella fase imperialistica, conduce alla catastrofe".

Ai vecchi compagni di strada che si ostinavano ad assumere un atteggiamento talmudistico verso la dottrina, rispondevamo che:
"Chi pensa di star fermo, in un'epoca come questa, è condannato a restare indietro, e dunque a perdere ogni contatto con la realtà e domani con il processo rivoluzionario. Il programma per noi è una guida per l'azione e il partito uno strumento per intervenire in un processo storico sempre mutevole e tempestoso. Se una bussola si guasta, se c'è un difetto nel suo funzionamento occorre ripararla, altrimenti si segue la direzione sbagliata, quella dove portano le correnti dominanti".
A quei compagni che si allontanarono spaventati e non vollero seguirci bollandoci come velleitari, rdicevamo che:
"... a causa del gravissimo ritardo con cui ci apprestiamo ad attrezzarci per superare le nostre difficoltà, siamo brutalmente posti di fronte al problema di capire e indicare con esattezza dove i nostri precursori s'erano sbagliati. Su quali punti possiamo e dobbiamo categoricamente sviluppare il marxismo, poiché solo così è possibile difendere oggi il suo carattere rivoluzionario. Il marxismo è una scienza sociale. Il leninismo l'arte della rivoluzione sociale. Sono cioè irriducibili all'invarianza, hanno in se stessi la molla del loro proprio sviluppo. Sarebbe ben strano che una dottrina materialistico-dialettica che postula l'incessante mutamento del sistema sociale e delle sue sovrastrutture, che presume di coglierne i cambiamenti, le cause e la loro direzione, si auto-escluda dal processo storico in cui è incastrata e si cristallizzi come una metafisica.
Non v'è garanzia alcuna che chi mette mano negli ingranaggi della conoscenza, non compia degli errori o addirittura non ci lasci le penne. Per imparare a nuotare è inevitabile, prima o poi, gettarsi in acqua. Chi è ossessionato di morire affogato non nuoterà mai. Chi resta paralizzato dal terrore di tradire il marxismo è già morto per la rivoluzione, perché quando si getterà nell'impetuoso torrente rivoluzionario, e scoprirà che è diverso da come se lo era immaginato, sarà semplicemente travolto e spazzato via. Meglio un solo rivoluzionario vivo dentro la storia, che cento dottrinari incartapecoriti nelle catacombe dell'ortodossia".
Il trotskysmo aveva in sé, geneticamente incorporati, dei letali punti deboli, anzitutto una visione deterministica, meccanicistica ed eurocentrica della storia e infine un volgare feticismo dell'esperienza sovietica.
Sul piano programmatico questi difetti vennero trasferiti da Trotsky nel Programma di fondazione della Quarta Internazionale.
Mentre cambiavamo rotta, poco prima di fondare la C.L.I. scrivevamo:
"Questo programma -che indica i compiti del partito comunista in una crisi sociale di tipo rivoluzionario, e che da questo punto di vista assume e feticizza l'esperienza della rivoluzione del 1917-, è una costruzione euclidea, fondata su 5 postulati fondamentali.
Il primo:
"Le forze produttive dell'umanità stagnano. Le nuove invenzioni e i nuovi progressi tecnici non conducono ad un aumento della ricchezza materiale...".
Questo postulato è stato smentito. Nella seconda metà del novecento le forze produttive non solo non hanno stagnato, ma hanno progredito in modo poderoso. I nuovi progressi tecnologici hanno condotto ad un aumento della ricchezza mondiale, anche se questa si è distribuita in modo diseguale e sperequato.
Il secondo:
"Le premesse obiettive della rivoluzione proletaria non solo sono mature, hanno cominciato a marcire... La crisi sociale si caratterizza come una situazione pre-rivoluzionaria della società"
Questo postulato si è rivelato sbagliato. Le premesse oggettive della rivoluzione non sono affatto marcite. Negli ultimi cinquant'anni, su scala mondiale, il proletariato industriale è cresciuto, le forze produttive sulla cui base il proletariato potrà edificare una società socialista sono più mature di prima, nel senso che esse consentono un passaggio più veloce e più solido di quanto non fosse negli anni '30, al socialismo.
Il terzo:
"Senza una rivoluzione socialista nel prossimo periodo storico, l'intera civilizzazione umana è minacciata", cioè può precipitare nella barbarie.
Questo postulato si è rivelato falso. La rivoluzione socialista non c'è stata, ma l'umanità non è già precipitata, irreversibilmente, nella barbarie. Il capitalismo non è crollato ed ha anzi dimostrato un vigore poderoso: ha saputo addirittura resistere all'allargamento della rivoluzione e alla nascita di nuovi "stati operai", ingaggiando con loro una battaglia titanica da cui è uscito vittorioso perché li ha sostanzialmente distrutti.
Il quarto:
"Tutto dipende dal proletariato, vale a dire in primo luogo dalla sua avanguardia rivoluzionaria.".
Anche questo postulato si è rivelato errato. Dopo la seconda guerra, nonostante una sostanziale avanzata della rivoluzione mondiale, in nessun luogo il proletariato è riuscito a rovesciare la borghesia. E in nessun luogo i comunisti rivoluzionari hanno guidato questo proletariato al potere che al contrario è restato dietro le insegne della socialdemocrazia, dello stalinismo e del populismo nazionalista. Dove la borghesia è stata abbattuta (Iugoslavia, Est Europa, Cina, Vietnam, Cuba) ciò non è accaduto grazie al proletariato e a dei partiti marxisti, ma malgrado la loro drammatica debolezza, sotto la guida di forze staliniane e/o piccolo-borghesi e coi movimenti dei contadini armati come elemento propulsore.
Il quinto.
"La crisi storica dell'umanità si riduce alla crisi della direzione proletaria".
Non è vero. La crisi dell'umanità non sta soltanto nella crisi della direzione politicadella classe operaia. E' la classe operaia stessa che ha subito e subisce una crisi storica. Parliamo qui dell'impotenza del proletariato, quello occidentale in primo luogo. Questa prolungata impotenza non è spiegabile soltanto con l'esistenza dei partiti riformisti. Questa stessa persistenza va spiegata, come risultato dell'imprevisto sviluppo del capitalismo che ha permesso alla borghesia, grazie alla distribuzione dei super-profitti estorti nella periferia semi-coloniale, un colossale corrompimento del proletariato europeo, nord-americano e giapponese. Il proletariato occidentale (tranne forse che nel caso portoghese del 1975) non ha nemmeno tentato, come avvenne nel secolo scorso e dopo la prima guerra mondiale, di ingaggiare una lotta mortale con la borghesia per strappare il potere. Non ci sono state in Occidente Rivoluzioni proletarie affossate alle quali sarebbe mancata solo una direzione all'altezza. La realtà nuda e cruda è che non ci sono state in Occidente, dopo la guerra civile spagnola, rivoluzioni vere e proprie ma solo crisi di tipo pre-rivoluzionario (soprattutto in Italia e in Francia nel secondo dopoguerra e nel biennio '68-'69)".

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I nostri vecchi compagni di strada, nella loro ottusità dottrinaria, ci rispondevano però "che i principi erano giusti", ma così facendo mostravano una confusione gigantesca tra principi e analisi. Per loro, da principi giusti non potevano che discendere analisi corrette. Non è vero. Come non è vero che il programma derivi dal metodo, poiché è giusto esattamente l'opposto: il metodo può solo desumersi da un programma determinato che fissa compiti determinati. Il criterio per verificare la correttezza dell'analisi è la prassi, non la loro pura e semplice aderenza ai principi -che restano pure astrazioni se attraverso l'analisi non si calano nella pratica. L'orientamento politico corretto è figlio di analisi concreta della realtà concreta. I principi fissano solo, sul nostro orizzonte, alcuni essenziali punti cardinali. Sbagliata l'analisi, sbagliato l'orientamento, sbagliata la tattica. E con una tattica sbagliata i rivoluzionari non possono procedere strategicamente.
La fondazione della C.LI. era anche un grido contro la mistica del programma. I settari lo considerano una specie di amuleto e si illudono che mettendolo al riparo dalla realtà esi siano in salvo dalla degenerazione. Pia illusione! V'è un solo modo per evitare la degenerazione: restare rivoluzionari mettendo in pratica il programma, restare sempre al posto di combattimento, restare legati a doppio filo ai settori più sfruttati del proletariato, a coloro che il capitale non può e non potrà mai corrompere con le sue regalie sociali.