L’OMBRA LUNGA DELLA LEGGE CIRAMI


I tecnici di palazzo della Consulta la chiamano «motivazione inadeguata per assoluto difetto di rilevanza». Tradotto, significa che i giudici delle Sezioni unite della Corte suprema di Cassazione, massimo organo giurisdizionale del Paese, hanno sbagliato. Così ha deciso ieri la Corte costituzionale esaminando il ricorso arrivato dal «palazzaccio» di piazza Cavour, dopo che i difensori di Silvio Berlusconi e Cesare Previti avevano chiesto di dichiarare incostituzionali le vecchie norme sul trasferimento dei processi. Vecchie perché nel frattempo è stata approvata l’ormai famosa legge Cirami, che però la Corte costituzionale non ha nemmeno valutato. Si è limitata a dire che l’istanza giunta dalla Cassazione era «inammissibile», con due conseguenze di sapore politico tutt’altro che irrilevanti: da un lato, l’ordinanza della Corte suprema che i sostenitori della «Cirami» hanno messo a fondamento di quella contestatissima legge si scopre viziata; dall’altro, visto che questa decisione non era affatto improbabile, s’intuisce perché la maggioranza di governo ha avuto tanta fretta di approvare una norma che di fatto annulla gli effetti pratici del verdetto della Consulta. Durante la discussione davanti alle Sezioni unite sulla richiesta di spostamento dei processi contro Berlusconi e Previti per l’asserita non imparzialità dei giudici milanesi, gli avvocati (nonché deputati di Forza Italia) del presidente del Consiglio, insieme a quelli dell’ex ministro della Difesa, sostennero l’incostituzionalità della legge che non prevedeva, fra le cause di trasferimento, il «legittimo sospetto» sulla serenità di giudizio del magistrati. La Cassazione considerò questo rilievo «non manifestamente infondato», e lo girò all’arbitro di simili dispute, la Corte costituzionale. Dalle «voci di dentro» trapelò che non fu una scelta unanime, ma il risultato fu l’interruzione del procedimento e la trasmissione degli atti al palazzo della Consulta. Da dove, ieri, è arrivata la bacchettata.
I giudici costituzionali hanno detto che la Cassazione doveva valutare non solo la «non manifesta infondatezza» dell’eccezione, ma anche la sua rilevanza nel processo di cui si stava discutendo. Dovevano cioè spiegare, almeno per linee generali, se l’esistenza del «legittimo sospetto» fra i motivi di spostamento di un processo ad altra sede avrebbe determinato una decisione piuttosto che un’altra. Le Sezioni unite, invece, si erano limitate a «prendere atto delle prospettazioni dei difensori, prescindendo da ogni valutazione critica della denunciata situazione locale», tant’è che non hanno interrotto, nell’attesa, i dibattimenti milanesi. Ecco perché il fascicolo è tornato indietro senza risposta alla domanda principale.
A parte la censura ai «supremi giudici», dal verdetto di ieri emergono altre conseguenze. E’ vero che a sostegno del presunto vuoto normativo colmato da quella vera e propria tempesta politica chiamata «Cirami» (che ha reintrodotto il «legittimo sospetto») c’è la «non manifesta infondatezza» della questione, che la Consulta non ha intaccato. Ma ora sappiamo che l’ordinanza invocata a fondamento della riforma, così com’è scritta, è sbagliata. Seconda e forse più rilevante questione: se non fosse intervenuta la nuova legge, con la pronuncia di ieri i tempi del giudizio della Cassazione sullo spostamento dei processi si sarebbero ulteriormente allungati, perché le Sezioni unite dovevano riunirsi di nuovo, riscrivere l’ordinanza e attendere una nuova decisione della Consulta. Con la conseguenza che il dibattimento Imi-Sir dov’è imputato Previti, già nel pieno della discussione finale, sarebbe potuto arrivare finanche alla sentenza. Tornano allora alla mente le infuocate polemiche sulla «Cirami», le sedute notturne del Parlamento e la straordinaria velocità con cui è stata approvata la riforma. E tutto diventa un po’ più chiaro.