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  1. #1
    F***ing stubborn
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    Predefinito Caso Andreotti

    Allora,lascio un pò correre le dita sulla tastiera a dò sfogo a riflessioni sul caso politico-giudiziario Andreotti. Non sò che ne uscirà fuori.
    Allora, il Senatore Andreotti viene ritenuto colpevole in appello dell'omicidio di Pecorelli.Dopo anni et annorum un altra parte del processo arriva a fine.
    Parto da un presupposto: il Senatore Andreotti è persona intellgente e furba: mai stato eccessivamente simpatico, ma i meriti gli vanno dati. Soprattutto abile. Che abbia baciato il mafioso in casa sua etc etc è una cosa he non stà ne in cillo ne in terra, non lo farebbe nemmeno il più idiota al mondo, figurarsi una volpe ( che stavolta pare arrivata alla pellicceria, come più volte detto dallo stesso Senatore).
    La Magistratura a Perugia, con lo sconforto dello stesso Pubblico Ministero, lo ha riconosciuto colpevole.Giusto, non giusto, sbagliato, errore madornale non lo so: il milione di pagine non le ho lette, ho letto come tutti i giornali in questi anni ed ascoltato servizi. Mi rimetto alla giustizia, vi è per fortuna un altro appello, e lì verrà fuori il verdetto definitivo. La tanto vituperata giustizia ha volendo il mezo per correggere evenTuali errori.
    Quello che a me è andato poco giù è stato l'ennesimo episodio di voltagabbaneria di gran parte della politica italiana.Il cobra, contro al quale poteva fare di più labile mangusta ( DP) che il grosso elefante( PCI), il demonio, il nemico, il corruttore,quante cose gli sono state gettate contro negli anni 80-90. Attenzione, da sinistra come da destra. Ieri sera si è dovuto assistere allo spettacolo di Landolfi quasi in ginocchio che si arrampicava sugli specchi per non sapere cosa dire. Fassino e la sinistra turbati, Berlusconi che fa un comnicato delirante per il presidente del consiglio, Giovanardi alla televisione parla della giustizia sempre ieri sera, e riferendosi al caso Cosenza affrema: "bisogna proibire che l'ultimo magistrato d'Italia possa fare di queste cose" una affermazione inaudita anche per un semplice iscritto all'ultima sezione di un partito, alrtro che ad un Ministro della Repubblica.
    E tutti a chiedersi coma mai, a dare solidarietà al Senatore etc etc. Ed il povero giudice??? Nessuno che abbia detto" ha applicato le leggi": fino a prova contraria sono portato a crederlo, poi all'Anas si fregavano i soldi del cemento sulla Salerno-Reaggio Calabria, ma fino a prova contraria sono portato a crederlo. la classe politica si racchiude a riccio, in difesa di uno dei suoi massimi rappresentanti.
    Continuo a ripetere: non so se sia innocente o meno, se non lo vedrà con il giudice lo vedrà davanti all'altissimo. La sentenza è questa, lo si volgia o no, almeno per ora.STOP.
    NOn capisco cosa sarebbe cambiato se fosse risultato colpevole 7 anni fa: allora era tutto un dagli a quel cane, ora quasi santificato.
    Era un mostro allora o non lo era????
    Altro colpo sulla giustizia, dopo la Cirami, la sentenza della Corte Costituxzionale, ( si è capito finalmente o no che cos'era tutta sta fretta???) arriva il caso Andreotti, che sta avendo adesso l'attestato di stima di tutti. E, continuo a ripetere, il giudice??? Chi è stò sedano????Come si è permesso???
    Il Senatore Andreotti ieri sera a Porta a Porta ha avuto il suo trionfo: i rappresentanti di DC, MSI e PCI ai suoi piedi. Berlusconi che fa un comunicato che in un paese civile avrebbe portato alle sue dimissioni nel giro di una giornata.Bertinotti turbato. Stavolta mi è piciuto quel caprone di Bossi, almeno è rimasto su alcune sue posizioni. Quando uno la inzecca secondo me gli dico anche bravo.
    saluti
    echiesa

  2. #2
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    Carissimo echiesa,
    lo sconcerto che mi attanaglia consiste, non tanto nel merito delle decisioni della Corte d'Appello che ribalta la prima istanza processuale....tra l'altro poi ci sara' ancora (tra un anno circa) la sentenza definitiva della Cassazione, ma il fatto che questa decisione avvenga a circa oltre 20 anni dalla morte del giornalista Pecorelli....se non ricordo male.
    Un processo che, dopo 20 anni, non e' ancora arrivato a termine porta oscuri ragionamenti sul metodo della Giustizia in Italia...cioe' sull'itininere, sull'iter, sulle procedure, sui tempi biblici...che non possono essere considerate degne di un paese civile.
    Da qui dovrebbe ripartire il Paese...da una seria riforma della Giustizia
    che riporti il cittadino in pace ed in coscenza con le istituzioni e la certezza del diritto.

  3. #3
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    Originally posted by nuvolarossa
    Da qui dovrebbe ripartire il Paese...da una seria riforma della Giustizia che riporti il cittadino in pace ed in coscenza con le istituzioni e la certezza del diritto.
    Ma non è di questo che nessuno si occupa, almeno per ora...

    Detto questo, teniamo conto di due punti di base, nel valutare questa condanna e confrontarla ad altre iniziative o sentenze:
    a) non è stato un giudice unico a giudicare ma una giuria popolare
    b) non è come per All Iberian, o le tangenti; qui il morto c'è. Difficile negarlo. Né sostenere che così si faceva

  4. #4
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  5. #5
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    Predefinito tratto da IL CORRIERE DELLA SERA 3 maggio 2003


    E quel dubbio finale accontenta la Procura

    di GIOVANNI BIANCONI

    PALERMO - La partita tra Giulio Andreotti e chi l’ha accusato di aver servito gli interessi della mafia si chiude dopo dieci anni e un mese dal primo avviso di garanzia inviato al senatore a vita. Manca il timbro della Cassazione, ma a meno di clamorosi «tempi supplementari» i processi di merito sono finiti. E il vincitore sembra lui, il sette volte presidente del Consiglio. Nel corridoio del primo piano del Palazzo di giustizia palermitano i suoi avvocati esultano. Ma due rampe di scale più su, negli uffici della Procura, non si respira aria di sconfitta. Anzi. Un po’ a sorpresa, i pochi pubblici ministeri ancora al lavoro in un venerdì pomeriggio quasi estivo sono tutt’altro che abbattuti: la «parziale riforma» del verdetto del tribunale viene vissuta come una mezza vittoria. A giudizio dei pm, alcune prove esibite davanti alla Corte d’Appello sono state valutate fondate e forse sufficientemente riscontrate, ma il reato - a venti e più anni di distanza - è ormai prescritto.
    Il groviglio di numeri e formule del dispositivo letto in aula dal presidente della Corte d’Appello dà spazio a diverse interpretazioni, ma per adesso - in attesa delle motivazioni previste per fine luglio e poi del timbro della Cassazione - sembra che i giudici d’Appello abbiano apposto il timbro del dubbio sull’assoluzione dell’imputato di mafia Giulio Andreotti. Perché a differenza dei giudici di primo grado, non hanno assolto il senatore tout court , bensì hanno voluto distinguere i due reati di cui era accusato l’ex presidente del Consiglio: quello di associazione per delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis del codice penale) in vigore dal 29 settembre 1982, quando fu approvata la legge che ha introdotto questo nuovo reato, e l’associazione per delinquere «semplice» (articolo 416), per il periodo precedente.
    Per il 416 bis l’imputato è stato assolto come in primo grado, a causa di prove contraddittorie o insufficienti, mentre per il 416 «non si deve procedere» a causa della prescrizione.
    Attenzione, però: non fino al settembre ’82, quando il reato è cambiato, bensì fino «alla primavera del 1980».
    Il particolare è importante, perché la «primavera del 1980» è il periodo in cui uno dei principali pentiti accusatori di Andreotti, Francesco Marino Mannoia, fissa il secondo presunto incontro tra il senatore e l’ex boss mafioso Stefano Bontade al quale avrebbe assistito personalmente. Per i magistrati della Procura questo vuol dire che le prove raccolte fino a quel momento (non solo le dichiarazioni di Marino Mannoia, ma pure quelle di Buscetta su un presunto faccia a faccia tra Andreotti e il boss Badalamenti) esistono, ma non sono più utilizzabili. «E’ la stessa cosa accaduta a Berlusconi nel processo Previti», dice un magistrato che preferisce non comparire ufficialmente, mentre ufficialmente il sostituto procuratore Gioacchino Natoli (tra i pm d’udienza nel primo processo) dichiara: «E’ una sentenza in peius per Andreotti, rispetto al primo grado». E questa interpretazione ben si «incastra» con le valutazioni della Corte d’Assise d’Appello di Perugia che per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli (marzo 1979) ha condannato Andreotti e Badalamenti.
    Naturalmente i difensori del senatore a vita sostengono tutt’altra tesi: la prescrizione prevale, secondo loro, sull’insufficienza di prove e solo per questo i giudici hanno fatto la distinzione. «A me interessa il risultato finale», taglia corto l’avvocato Franco Coppi.
    Ma il risultato finale, al di là delle interpretazioni di parte, è che Andreotti non è stato condannato. E per adesso resta il dubbio (che solo le motivazioni della sentenza potranno sciogliere) sulla sua condotta, almeno fino alla primavera del 1980.
    Particolare di non poco conto, in un processo che s’è intrecciato con la storia d’Italia dell’ultimo mezzo secolo. Come non è di poco conto che con il processo Andreotti si chiude forse definitivamente una stagione dell’Antimafia che ha introdotto polemiche e tossine non solo nel Paese, ma pure nella Procura di Palermo.
    Il procuratore Grasso, successore di Caselli che firmò l’avviso di garanzia per Andreotti, volle essere presente alla lettura del primo verdetto, ma poi non firmò il ricorso in appello. E a differenza che in altri dibattimenti complessi (da quelli sulle stragi del ’92 al processo Pecorelli) in secondo grado gli accusatori non sono stati affiancati da magistrati della Procura. E’ stato solo un caso oppure una presa di distanza della nuova gestione dalla vecchia? E’ un altro dubbio lasciato in eredità, dopo dieci anni e un mese, da una vicenda giudiziaria che ha comunque segnato la storia d’Italia.

    Giovanni Bianconi

  6. #6
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    Predefinito tratto dal sito web: http://www.pri.it


    La Nota Politica

    -----------------------------------------------------------------------------------
    Prosciolto Andreotti

    E ora è necessario tornare alla normalità

    Come era facile prevedere, il senatore Giulio Andreotti è stato assolto in Cassazione dall'accusa di essere stato il mandante dell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli. La sentenza di condanna emessa in appello, dopo il proscioglimento di primo grado, era talmente contraddittoria da non stare in piedi. E non a caso è stato lo stesso rappresentante dell'accusa a chiederne la cancellazione.

    Dell'esito conclusivo, giunto dopo dieci anni, non possiamo che congratularci con il senatore. Senza per questo aderire acriticamente alle sue scelte politiche. Che se in qualche caso - per esempio l'adesione dell'Italia allo Sme - abbiamo condiviso e sostenuto, in altri (l'eccessiva propensione filoaraba e lo scarso rigore nella gestione della spesa pubblica) ci hanno visto in assoluto dissenso. Ma il giudizio politico è un conto, e su di esso si pronunceranno un giorno gli storici; quello penale è un altro.

    Ed anche per questo siamo lieti che l'iter giudiziario sia giunto finalmente alla conclusione. Nei dieci anni che sono alle nostre spalle troppa confusione è stata fatta tra storia, politica e giustizia. Non è con i processi che si può scrivere, o riscrivere, la storia del Paese. Lo sapeva bene, per esempio, Giovanni Falcone, che utilizzava i pentiti con grande cautela.

    Proprio per questo Giovanni Falcone era poco amato, a Palermo e fuori Palermo. Negli anni in cui nel capoluogo siciliano imperava Leoluca Orlando, fu addirittura sottoposto ad indagine dal Consiglio Superiore della Magistratura. Alcuni suoi colleghi ritenevano che insabbiasse i processi. In qualche caso sono gli stessi che poi, richiamandosi proprio a Falcone, hanno gestito le vicende giudiziarie degli anni scorsi. In modo diametralmente opposto alla cautela e alla sagacia investigativa che furono del magistrato barbaramente assassinato dalla mafia.

    Vogliamo sperare quindi che si torni finalmente alla "normalità". Dopo la riabilitazione di Bettino Craxi, fatta da ultimo dal segretario dei Ds Piero Fassino, assisteremo probabilmente alla santificazione di Giulio Andreotti, alla quale darà sicuramente un contributo decisivo proprio la sinistra. Noi vorremmo invece, per il futuro, che non ci fosse bisogno di altre riabilitazioni: che, guarda caso, giungono sempre tardive, quando la vicenda politica si è ormai conclusa. Questi metodi erano la "normalità" nei Paesi comunisti, ma non hanno nulla a che fare con la tradizione occidentale.

    Roma, 31 ottobre 2003

  7. #7
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    Predefinito Re: tratto dal sito web: http://www.pri.it

    Se era così facile da prevedere l'esito, com'è che è stato assolto solo in Cassazione, l'Andreotti?

    Accusano gli altri di santificarlo e loro sono proprio i primi.

    Mi pare che la santificazione di Andreotti venga fatta dalla Voce Repubblican-pollista, invece, che ne approfitta subito per sparare le solite scemeze contro i comunisti e contro la magistratura, che quando condanna un politico sbaglia sempre.

    E poi si incazzano se glielo dici in faccia, che sono solo dei poveri pollisti.

    Ma andate a lavorare, vah, che è meglio, che sto ancora aspettando le scuse della Voce Repubblicana per gli attacchi di Taormina e Bondi a Prodi, uno che a sentir voi doiveva già essere in carcere per tentato omicidio.

  8. #8
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    Predefinito tratto da L'OPINIONE 7 novembre 2003

    La seconda volta di Giulio

    di Davide Giacalone

    La seconda assoluzione di Giulio Andreotti, accusato d’omicidio e di mafia, non chiude un capitolo, ma lo apre. Lo ha dimostrato lo stesso interessato, fin qui assai cauto, che ha voluto rivolgere un’accusa personale all’uomo che ha costruito e seguito la politica giudiziaria dei comunisti, prima, del Pds, poi, e dei Ds, infine: Luciano Violante. Quest’ultimo ha, a sua volta, dimostrato quanto il colpo sia stato duro, e lo ha dimostrato difendendosi mediante l’attribuzione di responsabilità ad un morto (Coiro), e sostenendo l’insostenibile tesi di non aver trovato al telefono Caselli (nell’epoca dei telefoni cellulari è tecnicamente impossibile). Il capitolo che si apre, però, rischia d’essere devastante quanto quello che si è chiuso. Andreotti, lo si ricordi bene, non è l’unico assolto della lunga e sanguinosa stagione giustizialista.

    Oramai solo chi è fanaticamente cieco può non vedere che gli anni delle inchieste e delle manette ebbero un indirizzo, uno scopo ed un risultato politico. Grazie a quelle inchieste gli sconfitti dalla storia, i comunisti, andarono al governo, ed i vittoriosi costretti alla vergogna di se stessi. Noi, oramai, lo ripetiamo da anni: occorre, al più presto, rendere chiaro che quell’uso della giustizia fu ingiusto, illegittimo e deviante; occorre restaurare le regole del diritto ed il rispetto dei diritti; occorre riconoscere che la storia d’Italia non può essere scritta nelle aule del tribunale, e meno che mai dai burocrati dell’accusa. Solo riconoscendo queste evidenze potrà evitarsi che il futuro si riempia delle inchieste che non si vollero fare, a cominciare da quelle che aveva in mano Giovanni Falcone quando fu ucciso.

    Se si applicasse, oggi, il “metodo Violante” se ne spremerebbero veleni destinati a stecchire il mondo che fu comunista, e lui per primo. Ma sarebbe un sistema autolesionista, destinato a farci somigliare tutti a quell’orrido inquinatore che detestammo. Invece quel metodo deve essere ripudiato ed allontanato dal confronto politico, partendo dalla lezione che la nostra storia recente ha impartito a tutti, ed al violantismo in testa: la democrazia si vendica, non tollera la violazione delle regole, espelle i poteri conquistati senza consenso; può essere uccisa, ma se solo viene ferita reagisce. La buia stagione giustizialista non ha portato fortuna ai suoi sostenitori, l’elettorato ha votato contro di loro. L’attuale maggioranza politica è figlia dei loro errori. Ce ne risparmino altri. Sono molti anni che Francesco Cossiga fa finta d’esser pazzo, e forse un poco lo è, e ne approfitta per dir cose terribili. Quelle dette, da ultimo, sui soldi sovietici sappiamo tutti che son vere. Forse non sarebbe male star a sentire anche quelle che ne faceva discendere: è l’ora di chiudere, non di aprire inchieste. Il passato non torna, facciamo, almeno, che il futuro non ne sia la parte peggiore.

    Davide Giacalone

    giac@rmnet.it
    tratto da http://www.davidegiacalone.it/

  9. #9
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    Predefinito tratto da L'OPINIONE 7 novembre 2003

    Andreotti spara a zero su Luciano Violante

    di Sergio Menicucci

    “Excusatio non petita…”. Non finisce la frase il senatore a vita Giulio Andreotti per rispondere alle affermazioni del capogruppo dei Ds alla Camera Luciano Violante. Siamo tutti latinisti scriveva il professore Cesare Marchi. E quello di Andreotti non è il latinorum di don Abbondio del Manzoni. Il latino di “zio” Giulio è semplice. La frase completa è infatti “excusatio non petita, accusatio manifesta”. E così appunti alla mano, la voce anche un po’ rotta dall’emozione, il sette volte presidente del Consiglio, l’ultraottantenne politico democristiano precisa e smentisce ancora una volta l’ex presidente della commissione antimafia. La rivincita di Andreotti, dopo dieci anni di silenzio. Violante è smentito dalla sua stessa lettera inviata al giudice di Palermo Scarpinato. In realtà non doveva inviargli alcuna comunicazione perché a Palermo, all’epoca, non si occupavano dell’omicidio Pecorelli. Inoltre Andreotti, nonostante la sua disponibilità, non venne mai ascoltato dalla Commissione antimafia. Una ricostruzione quindi infondata quella di Violante. Smentito anche dall’ex procuratore capo di Roma Vittorio Mele in merito ad una telefonata di Violante al giudice, ora morto, Coiro, di cui non si è mai saputo nulla. Ma Andreotti ha deciso di non fargliela passare liscia. Ha voluto prendere la parola per “fatto personale” e concludere con un significativo “anche Violante ha cercato di incastrarmi”. Punto. Il seguito alle polemiche riaperte dai Ds (ex Pci) sui rapporti mafia-politica.

    Sergio Menicucci

    sergio.menicucci@libero.it

  10. #10
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    Predefinito tratto da L'AVVENIRE 16 ottobre 2004

    IL PROCESSO DI PALERMO

    L’ex presidente del Consiglio era stato assolto in secondo grado poiché «il fatto non sussiste»

    L'assoluzione di Andreotti è diventata definitiva

    La Cassazione mette la parola fine a questa vicenda giudiziaria dopo 11 anni, tre processi e un milione e mezzo
    di pagine di atti. Confermato il verdetto d'appello

    Da Roma Danilo Paolini

    Punto. Ma punto e a capo stavolta, per Giulio Andreotti, assolto anche dalla Corte di Cassazione dall'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, mettendo così fine alla sua ultradecennale vicenda giudiziaria. I giudici della seconda sezione penale, dopo circa tre ore di camera di consiglio, hanno rigettato sia il ricorso della procura generale di Palermo sia quello presentato dalla difesa dell'imputato, il quale è stato condannato soltanto al pagamento delle spese processuali. In sostanza, la Cassazione ha confermato il verdetto emesso dalla Corte d'Appello di Palermo, che il 2 maggio dello scorso anno aveva assolto il sette volte presidente del Consiglio dall'accusa di associazione mafiosa «perché il fatto non sussiste» e aveva dichiarato prescritto il reato di associazione per delinquere "semplice" contestatogli fino al 1980. Sono dunque serviti undici anni, tre processi e un milione e mezzo di pagine di atti processuali per stabilire che l'Italia non è stata governata da un mafioso per tanta parte della sua storia repubblicana. Ma adesso è finita. Anzi, «se Dio vuole è finita», per dirla con il professor Franco Coppi, avvocato di fiducia del senatore a vita. Soddisfatto forse è perfino poco, per il più noto dei penalisti italiani, che ieri non era in Cassazione perché impegnato nel processo alle nuove Br in corso a Rebibbia: «Va bene così, va bene così, poi leggeremo le motivazioni - ha detto -. Mi preme sottolineare che il sostituto procuratore generale ha chiesto alla Corte di rivedere le motivazioni della sentenza di appello». La speranza è che, illustrando le ragioni della loro decisione, i giudici di piazza Cavour non lascino neppure la minima ombra sull'estraneità di Andreotti ai fatti di cui era stato accusato dalla procura di Palermo. Mentre l'accusa aveva presentato ricorso contro l'assoluzione, infatti, la difesa si era rivolta alla Cassazione contestando il fatto che l'assoluzione stessa era stata pronunciata in base al secondo comma del l'articolo 530 del codice di procedura penale (secondo cui il giudice non condanna «anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste...»). Ieri mattina, nell'aula della seconda sezione penale del "palazzaccio" a rappresentare il senatore a vita c'era l'avvocato Giulia Bongiorno, che ha esordito da cassazionista proprio con questa vittoria, destinata a finire sui libri di storia. Raggiante: «È andata benissimo, per noi l'importante era che si chiudesse così». Poi una nota biografica personale, per ricordare che la sua carriera ebbe inizio proprio mentre le prime accuse piovevano sul capo del suo illustre assistito: «Era il 16 luglio del '92 e io prendevo l'abilitazione a esercitare la professione di avvocato». Ora anche la Bongiorno aspetta con curiosità di leggere le motivazioni dell'ultima sentenza. Pare evidente che la Corte abbia accolto in pieno la tesi del sostituto pg Mauro Iacoviello, il quale aveva sollecitato il rigetto di entrambi i ricorsi, prospettando però ai giudici anche la possibilità di «rimotivare sulla prescrizione, basata, nella sentenza di secondo grado, fondamentalmente su un giudizio di colpevolezza». Alla fine, comunque, l'unica condanna a carico dell'ex-presidente del Consiglio è stata quella a pagare le spese processuali. «Milioni di euro», si sussurrava nei corridoi del palazzo di giustizia. Ma l'avvocato Bongiorno ha smentito con un'alzata di spalle: «Le spese di cui si parla nel dispositivo della sentenza sono quelle relative al rigetto del ricorso proposto in Cassazione, cioè qualche spicciolo».
    [mid]http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/TUCOMESTAI.mid[/mid]

 

 
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