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    GIUSEPPE GARIBALDI

    Padre della patria
    Giuseppe Garibaldi ci è stato presentato come l'eroe dagli occhi azzurri, biondo, alto, coraggioso, romantico, idealista; colui il quale metteva a repentaglio la propria vita per la libertà altrui. Non esiste città d'Italia che non gli abbia dedicato una piazza o una strada.

    Garibaldi non era alto, era biondiccio e pieno di reumatismi, camminava quasi curvo e dovevano alzarlo in due sul suo cavallo.

    Portava i capelli lunghi, si dice nel sud, perché violentando una ragazza questa gli staccò un orecchio.

    Questo signore non era un eroe; oggi lo si chiamerebbe delinquente, terrorista, mercenario.

    Era alto 1,65, aveva le gambe arcuate e curava molto la sua persona.

    Fra il 1825 ed il 1832 fu quasi sempre imbarcato intraprendendo viaggi nel Mediterraneo. Nel 1833, durante un viaggio a Taganrog ebbe modo di conoscere dei rivoluzionari che lo affascinarono all'idea della fratellanza umana ed universale e all'abolizione delle classi, idee che si rifacevano al Saint Simon. Cominciò, pertanto, a pensare all'idea dell'unificazione italiana da realizzare con l'abbattimento di tutte le monarchie allora dominanti e la fondazione di una repubblica. Accrebbe codesta convinzione quando incontrò Mazzini nei sobborghi di Marsiglia e, affascinato dalle idee del genovese, si iscrisse alla setta segreta "Giovine Italia". Nel dicembre del 1833 si arruolò nella marina piemontese per sobillare e per praticare la propaganda della setta tra i marinai savoiardi.

    Nel 1834 tentò un'insurrezione a Genova contro il Piemonte; scoperto riuscì a fuggire in Francia. Processato in contumacia a Genova, fu condannato a morte per alto tradimento dal governo piemontese.

    Nel 1835 fuggì in Brasile, considerato una specie d'Eldorado dagli emigranti piemontesi che in patria non trovavano lavoro, ed erano tantissimi; da lì e dalle altre province del nord, ogni anno un milione di emigranti raggiungevano le terre Sudamericane.

    Fra i 28 e 40 anni Garibaldi visse come un corsaro ed imitò i grandi pirati del passato assaltando navi, saccheggiando e, come dice Denis Mack Smith, si abituò a vedere nei grandi proprietari delle pampas un tipo ideale di persona delle pampas". Al diavolo la lotta di classe! il danaro era più importante - diciamo noi.

    A Rio de Janeiro si iscrisse alla sezione locale della Giovine Italia. Nel 1836 chiese a Mazzini se poteva cominciare la lotta di liberazione affondando navi piemontesi ed austriache che stazionavano a Rio. Il rappresentante piemontese nella capitale brasiliana rapportò al governo sabaudo che nelle case di quei rivoluzionari sventolava la bandiera tricolore, simbolo di rivoluzione e sovversivismo.

    Nel maggio del 1837, con i soldi della carboneria, Garibaldi mise in mare una barca di 20 tonnellate per predare navi brasiliane; non a caso fu battezzata Mazzini. Quest'uomo, condannato a morte per alto tradimento e poi pirata e corsaro nel fiume Rio Grande, è il nostro eroe nazionale; anzi, non lo è più! Ora è eroe della nazione Nord.

    In Uruguay si batteva per assicurare il monopolio commerciale all'Impero Britannico contrastando l'egemonia cattolico-ispanica.

    Nel 1844, a Montevideo iniziò la sua vera carriera di massone dopo l'iniziazione avuta con l'iscrizione alla Giovine Italia del Mazzini.

    In Italia i pennivendoli di regime continuano ad osannare le imprese banditesche del pirata nizzardo offendendo la storia e la dignità delle nazioni Sudamericane. L'indignazione della gente è racchiusa in un articolo di un giornale, il Pais che vende 300.000 copie giornaliere e che così si è espresso il 27-7-1995 a pag. 6: "... Garibaldi. Il presidente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota (ndr, Giuseppe Garibaldi) non ha lottato per la libertà di queste nazioni come (Scalfaro) afferma. Piuttosto il contrario".

    La carriera massonica di Garibaldi culminò col 33°gr. ricevuto a Torino nel 1862, la suprema carica di Gran Hierofante del Rito Egiziano del Menphis-Misraim nel 1881.

    Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi dal 4° al 33° e a condurre il rito fu mandato Francesco Crispi accompagnato da altri cinque fra massoni.

    Il mito di Garibaldi finisce quando si apprende che la spedizione dei Mille fu finanziata dalla massoneria inglese con una somma spaventosa di piastre turche equivalenti a milioni di dollari in moneta attuale.

    Con tale montagna di denaro poté corrompere generali, alti funzionari e ministri borbonici, tra i quali non pochi erano massoni.

    Come poteva vincere FrancescoII, se il suo primo ministro, Don Liborio Romano, era massone d'alto grado?

    Appena arrivato a Palermo, Garibaldi saccheggiò il Banco di Sicilia di ben cinque milioni di ducati come fece saccheggiare tutte le chiese e tutto ciò che trovava sulla sua strada.

    In una lettera Emanuele II ebbe a lamentarsi con Cavour circa le ruberie del pirata nizzardo ".. Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene - siatene certo - questo personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l'affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l'infame furto di tutto il denaro dell'erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s'è circondato di canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa".

    Ma erano mille i garibaldini? Certamente. Ma ogni giorno sbarcavano sulla costa siciliana migliaia di soldati piemontesi congedati dall'esercito sabaudo per l'occasione dall'altro massone Cavour ed arruolati in quello del generale nizzardo. Una spedizione ben congegnata, raffinata, scientifica, appoggiata dalla flotta inglese ed assistita da valenti esperti internazionali.

    La massoneria siciliana, da anni, stava preparando la sollevazione e mise a disposizione di Garibaldi tutto l'apparato mafioso della Trinacria.

    A Bronte fece fucilare per mano di Bixio i contadini che avevano osato "usurpare" le terre concesse agli inglesi dai Borbone. Ecco chi era il vero Garibaldi! Amico e servo dei figli d'Albione, assassino e criminale di guerra per aver fatto fucilare cittadini italiani a Bronte.

    Il socialismo, l'uguaglianza, la libertà potevano anche andare a farsi benedire di fronte allo sporco danaro e al suo servilismo massonico. Suo fine non era dare libertà alle genti del Sud ma togliere loro anche la vita.

    Scopo della sua missione fu quello di distruggere la chiesa cattolica e sostituirla con quella massonica guidata da Londra.

    Garibaldi, questo avventuriero, definiva Pio IX "...un metro cubo di letame" in quanto lo riteneva - acerrimo nemico dell'Italia e dell'unità". Considerava il papa "...la più nociva di tutte le creature, perché egli, più di nessun altro, è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli", inoltre affermò che: "...Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e preti, mi arruolerei nelle sue file".

    Era chiaro l'obiettivo della massoneria: colpire il potere della chiesa e con esso scardinare le monarchie cattoliche per asservirle ad uno stato laico per potere finalmente mettere le mani sui nuovi mercati, sulle loro immense ricchezze umane, sulle loro ricche industrie, sui loro demani pubblici, sui beni ecclesiastici, sulle riserve auree del Regno delle Due Sicilie, sulle banche. Con la breccia di Porta Pia finì il potere temporale dei papi con grande esultanza dei fra massoni. Roma divenne così capitale d'Italia e della massoneria, come aveva stabilito Albert Pike, designando come suo successore Adriano Lemmi, massimo esponente del Rito Palladico.

    Tratto da web.infinito.it/utenti/s/s.martino.sannita/ Brigantaggio/Personaggi/Garibaldi01.htm
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Der Wehrwolf

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    Vessillo di origini massoniche e della rivoluzione risorgimentale QUEL “TRICOLORE” CHE NON VOGLIAMO È il simbolo della oppressione religiosa e politica a danno dei tanti Popoli costretti nello stato italiano Gilberto OnetoIl 7 gennaio 1997 gli Italiani festeggiano i duecento anni di vita del loro tricolore. Lo fanno con grande pompa ufficializzando una nuova Festa nazionale (“del tricolore”, appunto), varando una Legge sull’uso della bandiera nazionale e organizzando fastosi festeggiamenti che costano ai contribuenti la bella cifra di 5 miliardi.
    Tutto questo patriottico parafernale induce a una serie di considerazioni.
    La prima riguarda la facilità con cui vanno e vengono le Feste nazionali italiane: dal 1861 nessuna “storica” ricorrenza è durata più di una generazione, nessuna è sopravvissuta all’effimera vita di un regime politico o alla durata di un macilento accordo partitico; tutte hanno ribadito anche nel campo del più languido repertorio patriottico la frivolezza che già Shakespeare attribuiva agli abitanti dello stivale. Così sono comparse e sparite le ricorrenze dello Statuto, della presa di Roma, della Marcia su Roma, della fondazione di Roma (e dàj che l’è on sciatt!), della fondazione dell’Impero, della Vittoria, il Genetliaco del Re, la Conciliazione, il 3 gennaio (che nessuno più si ricorda cosa ricordasse)... Dei prodotti dell’ultima sfornata repubblicana, è già svanito il 2 giugno, comincia a vacillare (sotto i colpi del “volemose bene” unitarista) anche il 25 aprile e resiste solo il 1 maggio ma più in virtù del suo antico radicamento religioso (il celtico Beltane) che dell’entusiasmo operaistico. Se ne sono viste tante che ora va bene anche questa “Festa nazionale del tricolore”.
    La scarsa resistenza delle ricorrenze (sempre gabbate per “eterne”) lascia ben sperare anche sulla durata dell’ente festeggiante.
    La seconda considerazione riguarda i promotori di questo prodigioso risveglio di amore per il tricolore.
    A proporre la legge sul rispetto per la bandiera è stata la deputatessa romana Maretta Scoca del CCD che ha (come gran parte del mondo cattolico e della gerarchia ecclesiastica) abbandonato ogni proposito di vendetta contro l’unità massonica e anticlericale d’Italia e ogni risentimento contro il suo simbolo più noto inventandosi una sorta di “santificazione” dell’oggetto degna di altri più vigorosi ventennii. La patriottica legge prevede che il tricolore dovrà essere esposto all’esterno di tutti gli edifici pubblici, anche periferici, e degli enti locali, sui musei e sulle biblioteche, sulle stazioni ferroviarie, sui porti e aeroporti “senza limitazioni di orario”: esso dovrà garrire anche di notte e “dopo il tramonto deve essere adeguatamente illuminato”. Lo slancio di patriottismo di questa signora le ha fatto superare con un balzo anche le più antiche consuetudini che limitavano l’uso dei vessilli alle ore del dì, con il loro commovente corollario di alza e ammaina bandiera. La bandiera poi non “deve essere esposta in cattivo stato d’uso” (un vero business per produttori e un duro colpo per i romantici sostenitori della “bandiera vecchia, onor di capitano”...); se esposta con altre bandiere, deve stare in centro e “qualora le altre siano issate su pennoni vicini, deve essere issata per prima e ammainata per ultima”: una bella complicazione per gestori di campeggi e stabilimenti balneari...
    A disporre che il tricolore venga permanentemente esposto anche nelle Commissioni parlamentari ci ha pensato Luciano Violante, a proporre l’istituzione della “Festa nazionale del tricolore” è stato Francesco Rutelli e a firmare la richiesta di finanziamento per le celebrazioni del 7 gennaio 1997 a Reggio Emilia è stata la vedova Togliatti.(1) Si tratta di esponenti di un partito e di un’area politica che fino a qualche tempo addietro ritenevano il tricolore un simbolo fascista e invocavano la Legge Scelba contro chiunque ne facesse un uso “eccessivo”. Chi non ricorda le democratiche randellate contro chi ne sventolava uno fuori dagli stadi (o lo avesse appiccicato sull’auto) o le bandiere italiane bruciate in piazza nelle radiose giornate proletarie (del 1919, del 1945 ma anche del 1968 e dintorni)?
    I comunisti il tricolore non l’hanno proprio mai digerito: com’è che adesso sembrano ardere di accorato amor di patria più di chiunque altro? In realtà si sta assistendo a una specie di “marcia longa” patriottarda nella quale si affollano e sgomitano verdi (apolidi fino all’altro giorno), post-democristiani (che avevano addirittura abolito dal vocabolario il termine “patria”), post-comunisti (da sempre sudditi sovietici e ora rimasti senza una patria), assieme ai post-fascisti che sono gli unici a poter vantare una inossidabile coerenza tricolore.
    Venti anni fa sulle schede elettorali c’erano – ad esempio – sintomatiche sbrodolate di falci e martelli e a ricordare il tricolore c’era solo la stinta e cavouriana bandiera dei liberali e la funerea “fiamma fatua” che usciva da una graficizzazione del sarcofago di Mussolini (2); oggi i simboli partitici sono tutto un tripudio di tricolori su bandiere, vele, scudi, palloncini e cotillons.
    Prima confinato nelle sedi fasciste, negli stadi e attorno al salame di una nota marca, il tricolore viene oggi sventolato dappertutto e in tutte le occasioni, dalle gite parrocchiali fino alle manifestazioni sindacali. Sic transit gloria mundi.
    E ancora una volta aveva ragione Samuel Johnson quando diceva che “il patriottismo è l’ultimo rifugio dei mascalzoni”. L’afflato patriottardo che avvolge oggi di tricolore tanti figuri non rappresenta infatti un segno a favore di qualcosa (l’unità, il bene comune) ma contro qualcosa: contro il pericolo di cambiamenti veri e di perdere potere e vantaggi, contro le richieste di indipendenza e di libertà, contro la fine imminente del dispotismo romano. Per tutto questo, il 7 gennaio non è tanto il giorno del tricolore ma è soprattutto un segno contro la Padania e gli ideali che essa incarna.
    La terza considerazione concerne il giorno scelto per la neopartorita festa patriottica: non sono d’accordo neppure sulla data. Qualcuno la vorrebbe anticipare, altri spostare di mesi.
    Il problema sorge dalla nascita del glorioso vessillo che più che di gioiose doglie popolari è frutto di un “parto cesareo a puntate”. Il proposto 7 gennaio ricorda l’adozione a Reggio Emilia della coccarda e della bandiera tricolore (a bande orizzontali) per la Repubblica Cispadana. (3) Qualcuno vorrebbe però anticipare il parto ai giorni 16 e 18 ottobre 1796, quando in una assemblea a Modena venne costituita la Federazione Cispadana (diventata Repubblica a dicembre) e ordinata una annessa Legione Italiana dotata di cappello ornato da un garrulo pennacchio bianco, verde e rosso. (4)
    Altri collegano la nascita del tricolore con la storia della Milizia urbana di Milano (formata nel 1633 e diventata nel 1796, con la formazione della Repubblica Transpadana, Guardia Nazionale). Fin dal 1782 i militi milanesi vestivano una uniforme bianca e verde ed erano perciò popolarmente chiamati “remolazzitt”, cioè rafanelli. La scelta del verde derivava dalla necessità di disporre di uniformi diverse da quelle austriache nelle quali erano presenti tutti i colori tranne che quello. Nel 1796 alla uniforme furono aggiunti accessori cremisi (e una coccarda con i colori francesi) e furono consegnate (il 20 novembre) bandiere con quattro riquadri (due bianchi, uno rosso e uno blu). (5)
    La sostituzione del blu con il verde avvenne fra quella data e il 26 gennaio 1797 quando fu ufficializzata da una lettera di Bonaparte. (6) Altri fanno risalire la prima comparsa del tricolore agli stendardi a strisce verticali verde-bianco-rosse fatti a imitazione del tricolore francese con l’inserimento del verde tradizionale della milizia (o della Padania) e consegnati l’11 ottobre 1796 alle truppe della Legione Lombarda che fu creata per affiancare l’esercito francese. (7)
    Qualcun altro va ancora più indietro, al 1794, quando durante la congiura di Bologna (promossa da Luigi Zamboni e Giovanni Battista De Rolandis) fu usata per la prima volta una coccarda tricolore.
    In ogni caso è solo l’11 maggio 1798 che la Repubblica Cisalpina rende ufficiale la bandiera tricolore a tre bande verticali che prima era stata usata in maniera “casuale” e con i colori disposti in vario modo (orizzontali, a losanghe, eccetera). Quasi subito dopo si ricominciò però a preferire il tipo formato da un campo rosso, caricato di una losanga bianca sulla quale figurava un rettangolo verde (adottato il 20 agosto 1802). (8)
    Per tutto il periodo delle guerre napoleoniche l’uso del tricolore restò confinato alla Repubblica Cisalpina (poi Italiana e poi Regno d’Italia) che occupava la porzione centro-orientale della Padania. Tutti gli altri stati hanno impiegato vessilli costruiti sull’adattamento dei colori tradizionali locali all’uso giacobino di accostare bande di cromatismi diversi. A Genova le bandiere erano bianco-rosse, a Roma a bande orizzontali blu-bianca-rossa, a Napoli a bande orizzontali blu-nera-rossa (poi diventata la bandiera della carboneria) e – più tardi – sono tornate bianche. (9)
    Con la caduta di Napoleone scompare anche il vessillo cisalpino (10) e solo nel 1848 il tricolore bianco-rosso-verde (impiegato con accostamenti “liberi” sia verticali che orizzontali) riprende vigore come bandiera anti-austriaca del popolo lombardo (ancora lontano da ideologie “italianiste”) che la ripesca nell’arsenale simbolico del napoleonico Regno d’Italia. Il tricolore viene in quella occasione preferito ad altre bandiere che pure erano comparse nel frattempo, come quella carbonara azzurra-nera-rossa e quella rossa-azzurra-arancione usata dai repubblicani piemontesi fra il 1796 e il 1805. (11) È in realtà solo nel 1848 che il tricolore trova diffusione in tutta la penisola essenzialmente come bandiera della Guardia Civica che si va riformando un po’ dappertutto: nell’aprile di quell’anno sostituisce la bandiera verde e bianca a bande orizzontali di Reggio Emilia, in Toscana i colori tradizionali e nell’estate il bianco-giallo romano. (12)
    Il 28 aprile 1848 il tricolore quadrato a bande verticali verde-bianca-rossa con lo stemma sabaudo e la sciarpa azzurra viene ufficializzato per la Milizia Comunale del Piemonte e da questa pas serà nel 1859 a rappresentare il Regno di Sardegna e, poi, il nuovo Regno d’Italia. (13)
    La rapida diffusione e fortuna del tricolore porta a fare una serie di considerazioni sui suoi significati e sui motivi che lo hanno fatto preferire ad altre bandiere ben più antiche e gloriose, come il drapò sabaudo (erede diretto del “vessillo di sangue” imperiale) o le bandiere bianche reali o quelle oro imperiali.
    Esso va innanzitutto inquadrato nel mondo dell’araldica rivoluzionaria che si è espressa nella costruzione delle bandiere soprattutto attraverso la produzione di tricolori sia a bande verticali che a bande orizzontali. Gran parte delle bandiere moderne nascono in quel periodo (e in quella cultura), caratterizzato dalla volontà di rottura (anche simbolica) col passato e con i suoi segni, e pregno di simboli derivati dalla cultura massonica che caratterizzava quasi tutti i suoi protagonisti. Stemmi e bandiere si riempiono di stelle, fasci, corone di alloro e figure geometriche quasi sempre costruite sul numero tre. In quel mondo è nata la bandiera francese (che accosta il rosso e il blu della municipalità parigina al bianco di Francia) che ha costituito da modello per tutte le altre.
    All’inizio il tricolore francese non voleva significare solo un paese ma l’idea stessa di rivoluzione e – come tale – è stato adottato ovunque i giacobini prendessero il potere e (come si è visto) anche in Italia. (14) Solo più tardi, quando gli interessi nazionali hanno prevalso sull’” internazionalismo rivoluzionario”, si sono creati vessilli diversi. Quello cisalpino ha trovato la propria caratterizzazione cromatica e la sua diffusione per una variegata serie di motivi. La prima riporta alla famigliarità dell’accostamento verde-bianco-cremisi che derivava dall’uniforme della Guardia milanese. La seconda (ancora più casuale) farebbe derivare la sostituzione del blu col verde da volgarissime disponibilità di stoffa negli esangui magazzini catturati dai giacobini. Una terza possibilità (la più nobile di tutte) ripropone un processo analogo a quello avvenuto per la bandiera francese: il bianco e il rosso dell’antico stendardo di Milano più il verde della Padania (e delle uniformi). L’ultima motivazione possibile ha a che fare con il fatto che il verde-bianco-rosso fosse l’accostamento cromatico dell’insegna del 33° grado del Rito Scozzese della massoneria. (15) Questo avrebbe ispirato il massone Bonaparte (16) ma anche la folta schiera di “fratelli” che hanno accompagnato la storia dell’unità d’Italia. (17) Non c’è prova che il tricolore sia una creatura direttamente o solo massonica: è assai più probabile che esso sia nato da più di uno (se non da tutti) i motivi elencati ma esso ha certamente tratto la sua fortuna dall’iconografia massonica che lo ha fatto preferire ad altri simboli e colori. Questo favore “di loggia” spiegherebbe anche la fortuna dell’identico tricolore ungherese (nato nel 1848 in circostanze analoghe) e, soprattutto, di quello del Messico, uno degli stati che hanno una origine più marcatamente (e dichiaratamente) massonica. (18)
    L’influenza massonica nell’iconografia unitaria italiana è riprovata anche dall’utilizzo della stella a cinque punte (pentagramma) che nel 1871 ha sostituito la croce sabauda sul bavero dei soldati, che è posta sul capo della donna che raffigura l’Italia (il rinomato “stellone”) e che è stata ripresa nel sigillo della Repubblica (il cosiddetto “sale e tabacchi”). (19)
    È comunque sintomatico che il tricolore (poi finito anche a infiocchettare i sindaci) sia una invenzione nata come emblema di uno stato comprendente la Padania centro-orientale e che sia stato utilizzato per l’intera penisola in mancanza di altri segni storici di unità che non c’erano e che non potevano esserci.
    Questa sua mancanza di storia (e quindi di una precisa tradizione araldica) gli ha permesso una duttilità che ha pochi uguali: è stato quadrato e poi rettangolare (ma anche triangolare nei gagliardetti fascisti); ha ospitato la croce sabauda, l’aquila della RSI, stelle rosse, fasci e tutto quello che le correnti d’aria della storia e della politica gli depositavano sopra.
    Il tricolore cispadano e cisalpino è stato imposto a tutti i popoli d’Italia con gli stessi metodi brutali con cui è stata loro imposta l’unità: tasse, oppressione culturale, centralismo questurino e tante guerre. Anche per questo il tricolore che era nato come segno di libertà e indipendenza si è nel tempo venuto associando a manifestazioni di vuota retorica e a meste ricorrenze mortuarie: fuori dagli stadi (unico caso in cui abbia conservato una valenza “allegra”), esso compare sulle caserme, sul petto dei funzionari di polizia durante le manifestazioni, sulle corone dei caduti, sulle bare dei morti e sui cimiteri di guerra. L’allegra speranza di libertà che rappresentava nella primavera lombarda del 1848 si è trasformata nella burocratica e retorica mestizia del 4 novembre. (20)
    Oggi il tricolore viene istituzionalmente festeggiato in terra padana (dove peraltro è nato), con soldi in gran parte raccolti in Padania e in un momento in cui l’istituzione che rappresenta ha bisogno di sostanziose flebo di consenso e di manifestazioni scaramantiche, anche al limite della provocazione.
    Ma non si riesce a provocare, sventolando una bandiera che ha 200 anni (forse 201, si mettano d’accordo...), un popolo che ha il vessillo che è il più antico in uso al mondo.
    La Croce di San Giorgio ha accompagnato i nostri liberi guerrieri sui campi di Legnano nel 1176 e sulle mura di Gerusalemme nel 1099 e forse anche molto prima. Il Sole delle Alpi poi è nato con le nostre genti, all’alba della storia. Essi non hanno bisogno di festeggiamenti miliardari e di cerimonie grondanti retorica e ipocrisia: Croci e Soli sono scolpiti sulle pietre delle nostre montagne e nel cuore della nostra gente.
    Note
    (1) Gianni Pennacchi, “L’Italia s’avvolge nel Tricolore”, su Il Giornale, 24 settembre 1996.
    (2) Il simbolo dell’MSI fu scelto il 26 dicembre 1946 dai “caporioni nostalgici che, ligi alla rituale necrofilia fascista, accettarono unanimi, forse su un’idea di Leccisi: la fiamma tricolore che sorgeva dal catafalco nero (di Mussolini, era sottinteso)”.
    Mario Giovana, Le nuove camicie nere (Torino: Edizioni dell’albero, 1966), pag. 48.
    (3) “Dopo che il 2 gennaio 1797 la Repubblica Cispadana ebbe adottato il suo stemma (scelto però nella sua forma definitiva solo il 25 febbraio), il 7 gennaio il deputato Giuseppe Compagnoni di Lugo di Romagna propose l’adozione dello “Stendardo, o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso”: e fu perciò in quel giorno che nacque il nostro tricolore. Esso fu a tre strisce orizzontali, con il rosso in alto, il verde in basso e il bianco in centro, caricato dello stemma cispadano”.
    Giacomo C. Bascapè e Marcello Del Piazzo, Insegne e simboli (Firenze: Le Monnier, 1983), pag.458.
    (4) Whitney Smith, Le bandiere, storia e simboli (Verona: Mondadori, 1975), pag. 144.
    (5) L’uniforme della Milizia consisteva in una sopravveste di color verde, con colletto e paramani bianchi, sottoveste e calzoni bianchi. La divisa fu concessa con dispacci del 18 aprile e del 9 maggio 1782 a patto che “l’uniforme della Milizia Urbana nè per colori, nè per qualsiasi altra guisa abbia somiglianza con le divise dei reggimenti austriaci”.
    Il 2 fruttidoro dell’anno IV (18 agosto 1796), la Milizia viene trasformata in Guardia Nazionale Milanese. Al Titolo IV del relativo “Piano d’Organizzazione”, alla voce “Uniforme” si trova: “Vestito verde, rivolti, paramani, colletto, fodera scarlatta, e bordo bianco. Bottoni gialli stabiliti dalla Municipalità. Sott’abito e pantaloni bianchi, stivaletti, o mezze ghette. Pantaloni verdi per lo servizio ordinario. Cappello montato alla francese, ganza gialla, coccarda tricolore, come pure il pennacchio. Distinzione dei gradi alla francese. (...) Gli stendardi saranno a tre colori, aventi una iscrizione civica, ed il numero del Battaglione”.
    Al museo del Risorgimento di Milano esiste il drappo della bandiera del 2° Battaglione della Guardia Nazionale Milanese. Vi sono rappresentati i colori di Francia, distribuiti in riquadri: uno rosso, uno bleu, due bianchi. Diagonalmente corre un vistoso fascio repubblicano.
    Renato Artesi, La Guardia Nazionale a Milano e in Italia (Milano: RARA, 1993), pagg.17 e 20.
    (6) Il 26 gennaio 1797, il Corriere Milanese pubblicava un periodo di una lettera indirizzata da Napoleone al generale Kilmaine con la quale si disponeva che: “la Guardia Lombarda e tutto ciò che vi ha rapporto deve portare i tre colori italiani: verde, bianco e rosso”. Ibidem, pag.22.
    (7) Giacomo C. Bascapè e Marcello Del Piazzo, op.cit., pag.457.
    (8) Whitney Smith, op.cit., pag.146.
    (9) Renato Artesi, op.cit., pagg.38-42.
    (10) Ad ogni partenza dei Francesi si cantavano inni politici di gioia, alcuni dei quali riguardavano il tricolore. La primavera del 1798, i milanesi cantavano:
    Mai più statue de Marco Brutt,
    Mai più mostagg de farabutt,
    Mai più standard de tri color.
    E, facendo riferimento ai fasci ricamati sulle bandiere:
    E quii fass con el folcin
    Simbol di lader e malandrin.
    Ancora un anno dopo, si leggeva in un Inno di gioja per la resa di Mantova:
    Le bandiere a tre colori
    Avvilite in ogni luogo,
    Son lo scherno, il riso, il giuoco
    Dell’offesa umanità...
    Giovanni De Castro, Milano e la Repubblica Cisalpina (Milano: Libreria Fratelli Dumolard, 1879), pagg. 240 e 266.
    (11) Gilberto Oneto, Bandiere di libertà (Milano: Effedieffe, 1992), pag.23.
    (12) “Il 22 maggio (1848) nella parrocchia di Santa Eufemia venne benedetta la prima bandiera della Guardia Nazionale Lombarda della legione di Milano. Essa constava di tre teli verticali, il verde all’asta, il bianco nel mezzo e il rosso al flottante, della larghezza totale di cm 149 e della altezza di cm 129".
    Renato Artesi, op.cit., pag. 76. Per l’adozione del tricolore da parte della Guardia Nazionale degli altri Stati italiani, si veda lo stesso alle pagg.109-122.
    (13) In data 28 aprile 1848 la Milizia Comunale del Regno di Sardegna venne insignita di bandiere con decreto a firma Eugenio di Carignano: “Le insegne delle Milizie Comunali si comporranno di tre liste uguali e verticali in verde, bianco e rosso e porteranno al centro lo scudo di Savoia con orlo azzurro. Le dimensioni delle insegne saranno di mt. 1,60 per l’altezza e di mt.1,50 per la larghezza”. Ibidem, pagg. 128 e 129.
    (14) Con la rivoluzione, i tricolori (bandiere con varie combinazioni di tre colori) si diffusero in Europa e in America latina. Essi erano a tra bande verticali o orizzontali e spesso formati da combinazioni di rosso, bianco e blu. Questi sono significativamente i colori di Francia e degli Stati Uniti ma anche della prima vera bandiera rivoluzionaria: il Prinsenvlag della Repubblica olandese della rivolta del 1568, nella quale il rosso ha preso il posto dell’originario arancione (degli Orange) nel 1630 circa.
    William Crampton, Guida illustrata alle bandiere (Milano: Vallardi, 1991), pagg. 10 e 44.
    (15) “La bandiera italiana è allo stesso tempo un dono della Massoneria e della Rivoluzione francese. Per quel che riguarda le origini massoniche di questa bandiera, mi appoggio all’autorità dell’organo ufficiale della Grande Loggia d’Italia, Era Nuova, che nel suo numero dell’aprile-giugno 1925, ha affermato che il verde, il bianco e il rosso erano un tempo i colori della coccarda che ornava i cordoni dei Fratelli del 33° e ultimo grado del Rito Scozzese e che solo più tardi, quando questi colori erano diventati il simbolo della nazionalità italiana, essi furono abbandonati per l’Italia.
    Dal punto di vista della storia profana, è il generale Bonaparte che ha concesso, nel 1796, alla prima legione lombarda una bandiera verde, bianca e rossa sormontata dalla livella massonica”.
    Maria Rygier, La Franc-Maçonnerie italienne devant la guerre et devant le fascisme, pag. 28. Citata da: Léon de Poncins, La Franc-Maçonnerie d’après ses documents secrets (Vouillé: Diffusion de la Pensée Française, 1972), pagg. 152 e 153.
    (16) L’appartenenza di Napoleone alla Massoneria è controversa. Qualche studioso, come padre Deschamps, sostiene che il Bonaparte avesse addirittura un grado piuttosto elevato all’interno dell’organizzazione; altri lo ritengono invece un “falso fratello”. Egli è stato in ogni caso circondato da massoni (come i fratelli Gerolamo, Giuseppe e Luigi e la moglie Giuseppina) e un grande protettore dell’Ordine.
    George F. Dillon, Grand Orient. Freemasonry Unmasked (London: Britons Publishing Company, 1965), pag. 70, e AA.VV. Les Francs-Maçons (Paris: SEPA, 1976), pagg.19, 20 e 26.
    (17) Gran parte dei principali protagonisti del risorgimento erano affiliati alla Massoneria. In particolare, Garibaldi è stato il primo Gran Maestro generale del Rito di Memphis-Misraïm. AA.VV., Les Francs-Maçons, op. cit., pag. 22. Si veda anche: Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni (Milano: Bompiani, 1992).
    (18) In realtà i colori ungheresi possono essere fatti risalire all’incoronazione di Mattia II (1608) ma la loro riproposizione è strettamente legata alla rivoluzione in un processo del tutto analogo a quello del tricolore italiano. I colori messicani vogliono invece rappresentare le “Tre garanzie”: la religione, l’indipendenza e l’unità.
    Mauro Talocci, Bandiere di tutto il mondo (Milano: Mondadori, 1991), pagg. 39 e 164.
    (19) F. Giantulli, L’essenza della massoneria italiana (Firenze: Pucci Cipriani, 1973), pagg. 79 e 80.
    (20) Una delle argomentazioni più usate per la “santificazione” del tricolore (e dell’unità) è quella del sacrificio di tanti soldati nel corso delle guerre risorgimentali e, soprattutto, nella prima guerra mondiale. È sicuramente vero che tante centinaia di migliaia di giovani siano morti “per quella bandiera”, ma nel senso di “per colpa di quella bandiera” e di tutto quello che è stato ipocritamente nascosto dietro di essa. Ciò costituisce sicuramente una ragione per dovere al tricolore rispetto e interesse storico ma certo non per farne un oggetto di culto e di venerazione.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Un’altra storiaCavour, il ritratto vivente del massoneEppure gli storici hanno spesso minimizzato o addirittura negato i suoi rapporti con le loggeAngela PellicciariIl liberale Cavour è massone? Visto che nel XIX secolo liberalismo e massoneria hanno ideologie tanto simili da essere praticamente coincidenti, il problema non ha poi grande rilevanza. Le cose stanno però diversamente dal punto di vista storiografico: gli storici infatti hanno prima affermato, poi minimizzato, poi ignorato o addirittura negato l’appartenenza di Cavour alla massoneria.
    Nell’Ottocento, che Cavour è massone lo sanno tutti: lo sanno i Cattolici (Pio IX, don Bosco, gli storici di ispirazione cattolica, la Civiltà Cattolica) e lo sanno ovviamente i fratelli delle varie logge; ne parla diffusamente anche il primo storico della massoneria italiana, Pietro Buscalioni. Col passare del tempo però la posizione della storiografia si ribalta e la fratellanza viene messa in discussione; Luzio in particolare, grande storico della massoneria e del risorgimento e grande ammiratore di Cavour, se non arriva a negarne la fratellanza, la marginalizza e la svuota di qualsiasi contenuto: «Che il Cavour da giovane - seguendo, egli cadetto, l’esempio del babbo e fratello primogenito e sotto l’influsso del domestico ambiente ginevrino - si fosse aggregato a qualche Loggia di Svizzera, o magari d’Inghilterra, come il Confalonieri, non è inverosimile».
    Luzio scrive nel 1924 e nel 1925 c’è la storica decisione di Mussolini di mettere l’ordine fuori legge: in pratica da quel momento dei rapporti tra Cavour e massoneria si perdono le tracce. Da quel momento anzi si perde ogni traccia della significativa influenza esercitata dall’ordine nel processo di unificazione nazionale. Nel secondo dopoguerra gli storici più insigni del risorgimento e di Cavour, rispettivamente il cattolico Arturo Carlo Jemolo e il laico Rosario Romeo, non spendono neppure una parola per affrontare l’argomento. E dire che Romeo dedica a Cavour ben duemila cinquecento settantadue pagine di accurata biografia, ma nel suo Cavour all’affiliazione massonica del conte non viene nemmeno fatto cenno.
    Difficile ritenere che la reticenza della storiografia del ventesimo secolo sulle radici massoniche dell’élite liberale italiana in generale, e di quella di Cavour in particolare, sia casuale: se non si tiene presente la massoneria e la sua lotta frontale contro la Chiesa cattolica, poco si capisce del risorgimento italiano, delle sue caratteristiche, degli appoggi internazionali di cui gode.
    Cavour d’altronde è il ritratto vivente del “puro” massone. Cosmopolita, cospiratore d’eccezione, amico di tutti i più influenti uomini della massoneria europea, uomo di progresso, fautore della necessità di “svecchiare” l’etica cristiana, primo autore di quella lotta alla Chiesa che cambia i connotati alla nazione italiana, “liberale” per antonomasia. Tutta la vita di Cavour, le sue scelte e la sua morale (a cominciare dalla lotta all’accattonaggio per continuare con la soppressione delle festività cattoliche e l’appoggio a valdesi e protestanti), si comprendono appieno solo se si tiene presente la fede massonica da cui sono dettate. Uomo intelligente, brillante, ricco e spregiudicato, Camillo Benso conte di Cavour nasce per essere un capo. Cavour infatti non è un massone qualsiasi: con tutta probabilità è il capo dell’organizzazione massonica italiana.
    Ecco cosa si legge sul Journal de Bruxelles del 19 e 20 febbraio 1864. Il giornale, che è solitamente ben informato, scrive: «Fu solo nel 1848, a seguito della tempesta rivoluzionaria che sconvolse tutta l’Italia, che le logge momentaneamente ricomparvero; nel momento in cui però fu ristabilito l’ordine legale, scomparvero di nuovo eccetto che in Piemonte dove il presidente del consiglio dei ministri, Camillo Cavour, le protesse e ne divenne anzi il presidente o gran maestro. Nel momento in cui morì, il 6 giugno 1861, Cavour assommava queste due presidenze. Fino al 1859, nonostante l’autorità che aveva su di lui il fran maestro Cavour, le logge italiane dipendevano dall’uno o l’altro dei Grandi Orienti stranieri».
    La vicenda umana di Cavour si chiude bruscamente in modo tragico. La morte lo coglie di sorpresa, lui uomo di “robustissima salute”, poco più che cinquantenne all’indomani del coronamento del suo capolavoro politico. All’apice del successo una fulminea malattia lo porta al cimitero nel giro di una settimana e le circostanze sono tanto singolari da meritare le seguenti considerazioni della Civiltà Cattolica.
    Interrogandosi se la scomparsa del conte non sia un preciso intervento della giustizia celeste, la Civiltà Cattolica ricorda con quale sicumera Cavour asseriva in Parlamento: «Sapete voi che cosa accadrà in Europa dentro sei mesi?» e commenta: «Il ministro intendeva promettere che dentro sei mesi egli sarebbe venuto a Roma. Ma invece dentro quel tempo Dio volle che il Cavour fosse nel sepolcro». Unificata l’Italia, derubato il Papa e gli ordini religiosi - e tutti i Cattolici con loro - dei propri beni, il governo liberale «pretese che il clero ingannasse i fedeli, invitandoli a ringraziare empiamente Dio nei suoi stessi tempii della sacrilega rapina». Gli anticattolici liberali vogliono che le apparenze siano salvate e che la loro vittoria sia celebrata nelle chiese cattoliche dal clero cattolico al canto del Te Deum. La stragrande maggioranza dei sacerdoti si rifiuta a questa pagliacciata inscenata per celebrare il due di giugno la festa del nuovo regno e il governo Cavour, per punire i ministri del culto recalcitranti, «indisse le sue rappresaglie contro Cristo medesimo in Sacramento; quasi intendesse che Cristo era proprio il nemico con cui egli aveva da fare, e vietò che le autorità costituite assistessero alla solenne processione del Corpus Domini». Ebbene, «il giorno stesso del Corpus Domini cadeva malato il capo del Ministero sardo». Cavour muore «l’ottava del Corpus Domini, giorno anniversario in Torino del celebre miracolo, per cui Torino si chiama la città del Ss. Sacramento». Sarà giusta l’interpretazione della Civiltà Cattolica? Bisogna ammettere che di indizi ce ne sono molti.
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    Un’altra storiaUna guerra a colpi di scomunicheUn capitolo poco noto del risorgimento: i rapporti tra Chiesa e MassoneriaAngela Pellicciari«La liberazione d’Italia - opera eminentemente massonica - fu sorretta, in ogni suo passaggio fondamentale, dalla iniziativa delle Comunioni massoniche d’oltralpe». Ad esprimersi così, nel 1988, è il gran maestro Armando Corona che prosegue: la massoneria «fu il vero ispiratore e motore» del risorgimento «perché sua era l’idea guida della liberazione dei popoli». Dal momento che la massoneria è stata, per bocca dei suoi più autorevoli esponenti, protagonista del risorgimento e dal momento che la popolazione italiana è da circa due millenni cattolica, vediamo cosa la Chiesa cattolica pensi della società che ha animato, insieme a quella italiana, le rivoluzioni degli ultimi secoli.
    La Massoneria moderna nasce a Londra nel 1717 e la prima delle centinaia di scomuniche emesse dalla Chiesa nei suoi confronti è solo di qualche anno posteriore. Il 28 aprile 1738, nella bolla In eminenti, Clemente XII condanna il segreto che caratterizza le associazioni dei Liberi-Muratori, il silenzio imposto «intorno alle cose che esse compiono segretamente» (se non operassero iniquamente, «non odierebbero tanto decisamente la luce»), il disaccordo con le leggi civili e canoniche.
    Clemente XII vuole scongiurare il pericolo che «questa razza di uomini non saccheggi la Casa come ladri, né come le volpi rovini la Vigna; affinché, cioè, non corrompa i cuori dei semplici né ferisca occultamente gl’innocenti». Tredici anni dopo è la volta di Benedetto XIV che, il 18 marzo del 1751, pubblica la bolla Providas Romanorum. Nulla di nuovo, si tratta semplicemente di reiterare le condanne già espresse: il Papa è costretto a farlo perché «alcuni non hanno avuto difficoltà ad affermare e diffondere pubblicamente che la detta pena di scomunica imposta dal Nostro Predecessore non è più operante perché la relativa Costituzione non è poi stata da Noi confermata, quasi che sia necessaria, perché le Apostoliche Costituzioni mantengano validità, la conferma esplicita del successore».
    Il 3 settembre 1821 è la volta di Pio VII con la bolla Ecclesiam a Jesu Christo. Il Papa torna sull’argomento perché i «Carbonari pretendono, erroneamente, di non essere compresi nelle due Costituzioni di Clemente XII e di Benedetto XIV né di essere soggetti alle sentenze e alle sanzioni in esse previste».
    Pio VII ammonisce di non prestare «alcun credito alle parole» dei carbonari, perché «costoro simulano un singolare rispetto e un certo straordinario zelo verso la Religione Cattolica e verso la persona e l’insegnamento di Gesù Cristo Nostro Salvatore, che talvolta osano sacrilegamente chiamare Rettore e grande Maestro della loro società. Ma questi discorsi, che sembrano ammorbiditi con l’olio, non sono altro che dardi scoccati con più sicurezza da uomini astuti, per ferire i meno cauti; quegli uomini si presentano in vesti di agnello ma nell’intimo sono lupi rapaci». Il pontefice ricorda che i carbonari sono all’origine dei tentativi rivoluzionari di quegli anni, e ribadisce che «nel sovvertire questa Sede Apostolica sono animati da un odio particolare». Pio VIII rinnova il monito nel 1829 e, sempre riferendosi alla Carboneria, afferma: «Tra tutte queste sette segrete Noi abbiamo risoluto di segnalarne alla vostra attenzione una speciale formata di recente: il cui scopo è di corrompere la gioventù educata nei ginnasii e nei licei». Non lasciatevi «sedurre da nessuna apparenza, né ingannare da veruna arte maliziosa», raccomanda il Papa. I pronunciamenti della Chiesa contro la Massoneria si rinnovano nel tempo fino ad arrivare al più recente del 26 novembre del 1983. In questa data la Congregazione per la dottrina della fede emette un provvedimento solenne firmato dal Prefetto, card. Ratzinger, in cui si sostiene: «Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche [...] e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione».
    Cosa dire di più? Una piccola citazione può mostrare l’attualità dell’argomento. La voce Massoneria di una delle più diffuse enciclopedie mondiali su dischetto (The 1995 Grolier Multimedia Encyclopedia) dopo aver ricordato che in passato l’Istituzione è stata aspramente combattuta dalla Chiesa specifica: «A papal ban on Roman Catholic membership in Masonic lodges was rescinded in 1983» (il divieto per i Cattolici di far parte di logge massoniche è stato cancellato nel 1983). L’esatto contrario di quello che la chiesa ha solennemente ribadito. Niente di nuovo sotto il sole.
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    Risorgimento Massonico?
    di Angela Pellicciari

    L'articolo Risorgimento: una guerra civile tra cattolici & massoni, di Angela Pellicciari, è stato largamente ripreso dai giornali (Corriere della Sera, La Stampa, ecc.). Il Tempo gli ha dedicato un'intera pagina con un intervento di Giuseppe Talamo e un'intervista con Gabriele De Rosa. L'autrice, anche in risposta ai critici, qui ribadisce e amplia gli argomenti addotti.

    "Vi fu, o signori, un tempo di corruzione, di decadimento, di barbarie, in cui poté credersi virtù evangelica il ritirarsi dal guasto secolo all'ombra d'un romito chiostro. Ma ora, o signori, quei tempi sono trascorsi. Ora non è più sotto un bianco o bigio mantello che si serve il vangelo. E noi intanto osiamo consumare così preziosi giorni ad argomentare, a distinguere, a sottilizzare per sapere quale diversità esista tra un gesuita, un gesuitante, un gesuitino, un gesuitastro"; "Io voterò per quanti più oblati, e paolini, e monaci, e frati di tutti i generi e di tutti i colori vorrà abolire la Camera".
    A parlare così è Angelo Brofferio, scrittore benemerito di casa Savoia (Carlo Alberto lo prega di mettere la sua penna al servizio della causa nazionale, Vittorio Emanuele II lo incarica di scrivere la storia del Parlamento subalpino), in un intervento pronunciato alla Camera dei deputati il 19 luglio 1848, mentre è in discussione il provvedimento di soppressione di Gesuiti e ordini affini, genericamente definiti "gesuitanti".

    Angelo Brofferio, dunque: come è potuto finire nel Parlamento di uno Stato ufficialmente cattolico un uomo così profondamente anticattolico?

    Ce lo racconta Roberto D'Azeglio, fratello del più noto Massimo, scrivendo al figlio Emanuele, diplomatico: "Da informazioni sicure siam fatti certi come a Busca e Caraglio per allettare i paesani a votare Brofferio si faceva loro credere che era un uomo eminentemente religioso, assiduo ai sacramenti, amico della pace e dell'ordine, nemico della repubblica e il più perfetto onest'uomo del paese perseguitato per causa della sua pietà e del suo realismo" [Cfr C. D'AZEGLIO, Souvenirs historiques de la marquise Costance D'Azeglio, Torino 1884, pp. 380-381].

    Questo piccolo fatto, tutt'altro che isolato, è esemplare ed emblematico: il Risorgimento è stato realizzato anche facendo sistematico uso di propaganda menzognera, diffusa ad arte tra la popolazione cattolica, ingenua e credulona.

    Vecchie polemiche che rispolverano tesi ultraconservatrici: così è stato definito l'articolo comparso nel numero di luglio/agosto. Vecchie polemiche? Per spiegare che così non è, bisogna richiamare alla memoria quanto stampa, libri di testo e saggi storiografici hanno da tempo smesso di raccontare. Si tratta di ricordare perché la Massoneria ha voluto la scomparsa dello Stato della Chiesa (e di conseguenza l'unità della penisola) e la riduzione di Roma da caput mundi a caput Italiae. L'unico modo per farlo è analizzare le fonti dell'epoca.

    La visione del mondo della massoneria ottocentesca (se e in che misura questa sia cambiata è questione che qui non interessa) è interamente costruita intorno a due presupposti. Il primo è che la Rivelazione non esiste: rifiutando la Rivelazione i massoni ritengono spetti all'uomo in totale autonomia e col solo aiuto della ragione stabilire quali siano le leggi della morale e del vivere civile. Questo è anzi il compito che i massoni ritengono loro proprio ed esclusivo: ancora il 10 febbraio 1996 una pagina intera di pubblicità sul Corriere della Sera ricorda che i massoni "hanno la responsabilità morale e materiale di essere guida di altri uomini".

    Il secondo presupposto è che la natura dell'uomo (della specie umana, non del singolo) è costantemente perfettibile: si tratta del mito del Progresso che induce a ritenere possibile il raggiungimento su questa terra della felicità (il diritto alla felicità tanto solennemente iscritto nella Costituzione americana) conseguito attraverso il pieno sviluppo di tutte le potenzialità umane.

    Una strana tolleranza

    La massoneria ritiene dunque possibile raggiungere la tangenza uomo-dio con le sole forze della ragione, e cioè per natura, mentre nega che per partecipare alla natura divina ci sia bisogno della grazia, concessa da Dio per i meriti di Suo Figlio Gesù Cristo a coloro che si pentono e si convertono. Gli aspetti di satanismo che colorano tante posizioni massoniche derivano da questa convinzione: nel Libro della Genesi quando Satana si rivolge a Eva lo fa per insinuarle il desiderio di diventare Dio come se ciò fosse possibile in forza di un semplice atto di volontà: "Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio" (Gn 3, 5). Tanto per restare in Italia, è in questo contesto teorico che Giosuè Carducci compone l'Inno a Satana ("Salute, o Satana, \ O ribellione, \ O forza vindice \ De la ragione! ").

    Dal momento che la massoneria ritiene suo compito specifico tracciare la distinzione tra bene e male, quale ruolo attribuisce alle religioni positive? Praticamente nessuno. Le ritiene tutte superstizioni locali buone per il volgo, utili solo ancora per qualche tempo: il tempo necessario perché tutti gli uomini imparino a usare la ragione e cioè diventino massoni. Il luminare della massoneria francese J. M. Ragon che scrive con l'esplicita approvazione del Grande Oriente di Francia, sostiene che la massoneria apre i suoi templi agli uomini "per liberarli dai pregiudizi dei loro paesi o dagli errori delle religioni dei loro padri" e afferma che l'Ordine "non riceve la legge ma la stabilisce (elle ne reçoit pas la loi, elle la donne) dal momento che la sua morale, una ed immutabile, è più estesa e più universale di quelle delle religioni native, sempre esclusive" [Cfr Cours philosophique et interprétatif des initiations anciennes e modernes, Parigi 1853, pp. 18, 38].
    La massoneria italiana è perfettamente allineata su questa posizione. La Costituente che si riunisce nel maggio del 1863, dopo aver precisato che la massoneria "non prescrive nessuna professione particolare di fede religiosa, e non esclude se non le credenze che imponessero l'intolleranza delle credenze altrui", precisa (art. 3) che i princìpi massonici debbono gradualmente divenire "legge effettiva e suprema di tutti gli atti della vita individuale, domestica e civile" e specifica (art. 8) che fine ultimo dell'Ordine è "raccogliere tutti gli uomini liberi in una gran famiglia, la quale possa e debba a poco a poco succedere a tutte le chiese, fondate sulla fede cieca e l'autorità teocratica, a tutti i culti superstiziosi, intolleranti e nemici tra loro, per costruire la vera e sola chiesa dell'Umanità" [Cfr L. PARASCANDOLO, La Framassoneria, IV, Napoli 1869, p. 120].
    La convinzione che tutte le religioni debbano col tempo cedere il passo alla verità (quella che la massoneria definisce tale), viene espressa dall'Ordine con la magica parola di tolleranza. Definendo se stessa tollerante e pacifica, la massoneria definisce intolleranti e violenti coloro che massoni non sono né vogliono diventare ("Non esclude se non le credenze che imponessero l'intolleranza delle credenze altrui").

    Se questo è il discrimine tra tolleranza e intolleranza è chiaro che l'istituzione più intollerante di tutte è la Chiesa cattolica: la Chiesa afferma infatti di possedere la verità e di possederla per intero grazie a un intervento esplicito e definitivo di Dio. Afferma per di più (Pio IX sa quello che fa quando proclama il dogma dell'infallibilità pontificia nel 1870) che il papa, vicario di Cristo, quando si esprime in materia di fede e di morale lo fa in termini buoni in assoluto, perché perfetti e veri.

    Con la sua stessa presenza, insomma, la Chiesa cattolica è la negazione della bontà e verità (nonché praticabilità) del credo massonico. È chiaro pertanto che, al di là delle parole, il papa e la Chiesa sono i nemici naturali e mortali di ogni massone: "La massoneria avrà la gloria di debellare l'idea terribile del papato, piantandovi sulla fossa il suo vessillo secolare - verità, amore" [Cfr Bollettino del Grande Oriente della Massoneria in Italia, 1869, p 328].

    Mobilitazione internazionale

    L'appoggio internazionale all'unificazione italiana (appoggio che non consiste solo nella copertura politica data ai Savoia, ma anche in concretissimi prestiti e ingenti fondi investiti nell'impresa) è da vedersi principalmente in relazione all'obiettivo prioritario della massoneria: la lotta al papato romano e quindi, nella convinzione che la fine del potere temporale avrebbe fatalmente comportato anche quella del potere spirituale, la guerra allo Stato della Chiesa. Il Bollettino esprime questa realtà con molta chiarezza nell'aprile del 1865: "Le nazioni riconoscevano nell'Italia il diritto di esistere come nazione in quanto che le affidavano l'altissimo ufficio di liberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto del fine che la massoneria si propone; al quale da secoli lavora, attraverso ogni genere di ostacoli e di pericoli".

    "A Roma sta il gran nemico della luce. Lo attaccarlo ivi di fronte, direi quasi a corpo a corpo, è dover nostro" [Cfr Gran Maestro Mazzoni, Rivista della Massoneria Italiana, 1872, n 1]: dall'attacco alla Roma pontificia la comunione massonica italiana si ripropone, oltre all'obiettivo comune a tutto l'ordine, il raggiungimento di un suo fine particolare. I massoni italiani si ripromettono infatti di far risorgere la potenza e la forza della Roma pagana e imperiale: è il mito della Terza Roma tanto cara a Mazzini (da questo punto di vista Mussolini trova il terreno ben preparato). Ma lasciamo la parola alla Rivista dell'Ordine: "Il sodalizio massonico in Italia ha combattuto accanitamente e quasi debellato con le armi della ragione, la parte degenere ed imputridita del cristianesimo, ed ha molto cooperato a tagliare le unghie sanguinose alla immonda arpia, che della città più grande e più gloriosa del mondo avea fatto semenzaio di superstizione e propugnacolo contro ad ogni umano incivilimento"; "Facciamo sì che dalla Eterna Città nostra la luce si diffonda per l'Universo, che il mondo ammiri a canto del nero ed avvilito Gesuita, il libero gigante potere della massoneria" [Cfr Rivista della Massoneria Italiana, 1872, n. 1 e n. 3].

    Il credo ideologico della massoneria che abbiamo ricordato, è essenziale per capire la storia italiana degli ultimi duecento anni. Per realizzare il suo programma, la massoneria deve infatti neutralizzare la resistenza dei cattolici.

    Come evitare che i cattolici di tutto il mondo insorgano in difesa dello Stato della Chiesa che da più di un millennio difende il papa dalla prepotenza di prìncipi e sovrani ed è l'orgoglio e il gioiello di tutta la cristianità? Per scongiurare questo pericolo la massoneria organizza una più che decennale campagna internazionale basata sull'uso sistematico della calunnia e della menzogna in cui dipinge lo Stato della Chiesa come il più sanguinario, retrogrado e mal amministrato di tutta la terra. Contro ogni ragionevolezza e contro ogni verità storica, l'Ordine cerca di convincere i cattolici che la semplice esistenza di uno Stato pontificio è contraria all'insegnamento di Cristo, vissuto povero e morto in croce, e assicura che rinunciando alla sua visibilità (dal momento che non siamo puri spiriti ciò equivale alla rinuncia all'esistenza) la Chiesa avrebbe guadagnato in spiritualità e purezza.
    In questa campagna anticristiana un posto di rilievo spetta, in Italia, a Massimo D'Azeglio. D'Azeglio parla da cattolico e può indirizzarsi ai "cattolici più devoti" senza suscitarne la diffidenza ("In Italia e fuori d'Italia, non solo i protestanti ed altri avversari di Roma ma gli stessi cattolici più a lei devoti e gli stessi preti, ove non sien mossi da private passioni, si spogliano di ogni stima del principato temporale del papa, lo predicano dannoso alla fede e alla religione, lo vorrebbero o tolto affatto o ristretto almeno in brevi confini"). Calunniatore dell'amministrazione pontificia che denuncia pessima davanti al mondo intero, arriva a mettere in discussione la legittimità dell'esistenza dello Stato della Chiesa (di gran lunga il più antico stato dell'Occidente e quindi di gran lunga il più legittimato a esistere) con motivazioni di questo tipo: "Se il papa è divenuto principe per le donazioni di Pipino e di Carlo Magno, della contessa Matilde e d'altri, perché è stato tenuto perciò principe legittimo? Perché l'universale consentiva nel creder legittimo questo modo d'acquistare, nel credere quelli che donavano legittimi possessori della cosa donata; e si comprende che se l'universale avesse creduto tutto l'opposto, non solamente questo acquisto, questo principato, non sarebbe potuto durare, ma neppure sarebbe venuto in mente né agli uni di concederlo né agli altri di accettarlo. Ma le età sono mutate [...]. Si deve dunque riconoscere che l'idea sulla quale posava la legittimità del principato ecclesiastico, come di tant'altri, più non esiste [...]. Le nuove fondamenta, le sole, sulle quali ormai egli possa reggersi, sono nel diritto ammesso dal consenso universale, nel diritto comune" [Cfr M. D'AZEGLIO, Degli ultimi casi di Romagna, in Raccolta degli scritti politici, Torino 1850, pp. 59-60].

    La massoneria, dunque, dipinge lo Stato della Chiesa come luogo di rapina, di barbarie e di violenza (dimenticando che si tratta dell'unico stato al mondo a non avere la violenza come madre perché non è frutto di conquista) e si contrappone alla Chiesa anche a questo riguardo presentandosi come l'incarnazione della benevolenza, della mitezza, della fratellanza, del desiderio di pace. Ecco come il Bollettino descrive la natura dell'Ordine: "Ha pigliato essere e modi dolci, qualità e tendenze naturali dell'uomo, onde fraternità e benessere universale sono le sue basi. Proclamando ed attuando questi principi essa conduce l'umanità sulla via del perfezionamento segnatole dalla Provvidenza" [Cfr Bollettino del Grande Oriente Italiano, 1863, n. 9].

    Non è cambiata

    La storia degli ultimi tre secoli dimostra quale fondatezza abbia una simile convinzione. Mi limito qui con un esempio a ricordare con quale dolcezza sia stata unificata la penisola italiana. Il 3 febbraio 1861, mentre viene ultimata la conquista dello Stato della Chiesa, il generale Pinelli (comandante la colonna mobile degli Abruzzi e dell'Ascolano) detta il seguente proclama: "Un branco di quella progenie di ladroni ancor s'annida fra i monti; correte a snidarlo e siate inesorabili come il destino [...] sono i prezzolati scherani del Vicario non di Cristo, ma di Satana"; "Noi li annienteremo, schiacceremo il sacerdotale vampiro, che colle sozze labbra succhia da secoli il sangue della Madre nostra, purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infestate dall'immonda sua bava, e da quella cenere sorgerà più rigogliosa la libertà anche per la nobile provincia Ascolana".

    Nonostante l'evidenza dei fatti, la leggenda della Chiesa intollerante e sanguinaria ha vinto la barriera del tempo e si è trasmessa di generazione in generazione fino al nostro secolo. Mentre conversa amabilmente con i suoi ospiti all'ora di pranzo, Adolf Hitler sostiene: "La nostra società attuale è più umana di quanto non lo sia mai stata la Chiesa. Noi obbediamo al comandamento "non uccidere" limitandoci a mandare a morte l'assassino. La Chiesa, invece, fin quando ne ha avuto il potere, ha torturato nel più orribile dei modi i corpi delle sue vittime". Ancora: "Il cristianesimo promulga i suoi dogmi inconsistenti e li impone con la forza. Una simile religione porta con sé l'intolleranza e la persecuzione. Non ce n'è di più sanguinose". Infine l'auspicio: "È verosimile, per quanto concerne la religione, che stiamo per entrare in un’era di tolleranza [...]. La nostra epoca vedrà indubbiamente la fine della malattia cristiana [...]. Noi entriamo in una concezione del mondo che sarà un’era soleggiata, un’era di tolleranza" [Cfr A. HITLER, Idee sul destino del mondo, edizioni di Ar, 1980, II, pp. 282, 300-301, 367].

    "Vecchie polemiche ultraconservatrici": i liberali fanno il loro mestiere e oggi come ieri raccontano la stessa versione dei fatti. Niente di nuovo sotto il sole.

    La novità è semmai che oggi i liberali non sono più soli. A ripetere il loro ritornello si sono aggiunti gli storici cattolici. "È una polemica del passato, che senso ha riproporla oggi?", "Oggi la massoneria è tutt'altra cosa. Ci sono state profonde trasformazioni. E non ha alcun senso ingaggiare una simile e inutile battaglia": questa l'opinione di Gabriele De Rosa su Il Tempo del 14 agosto.

    Oggi la massoneria è cambiata? La voce Massoneria di una delle più diffuse enciclopedie mondiali su dischetto (The 1995 Grolier Multimedia Encyclopedia), dopo aver ricordato che in passato l'Istituzione è stata aspramente combattuta dalla Chiesa cattolica, specifica: "A papal ban on Roman Catholic membership in Masonic lodges was rescinded in 1983" (il divieto per i cattolici di far parte di logge massoniche è stato cancellato nel 1983). Che nel 1983 la Chiesa torni a pronunciarsi sulla massoneria (i pronunciamenti di condanna di questa istituzione sono centinaia), è vero. Che lo faccia per annullare il divieto di affiliazione, è falso.

    "Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche [...] e perciò l'iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione": questa la dichiarazione emessa il 26 novembre 1983 dalla Congregazione per la Dottrina della fede. Più che la massoneria a essere cambiati sembrano, e lo sono, molti cattolici. O, meglio: alcuni storici cattolici.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Patrioti” e massoni, uniti contro la Chiesa
    di Angela Pellicciari

    “La Stampa” del 2 dicembre pubblica il testo dell’intervento inviato da Norberto Bobbio al convegno “Il cosiddetto revisionismo” promosso a Roma dalla Fondazione Nenni. Dopo aver distinto fra “revisione” (necessaria “per uno storico serio”) e “revisionismo” (tipo di “ideologia” con funzione “eminentemente pratica”), Bobbio accenna ad uno degli ultimi esempi di riscrittura ideologica della storia, quella del Risorgimento, proposta “con grande strepito” da parte di “gruppi cattolici militanti”. Si tratta, secondo Bobbio, di «una interpretazione che non esiterei a chiamare di destra, secondo cui il Risorgimento è stato un movimento guidato da élites anticlericali, per non dire addirittura massoniche, il cui scopo ultimo era l’abbattimento del potere temporale dei Papi».
    Per giudicare del coinvolgimento massonico nel processo risorgimentale conviene partire dalle affermazioni dei diretti interessati. Nel 1988 il Gran Maestro Armando Corona, tirando le conclusioni del convegno organizzato sul tema La liberazione d’Italia nell’opera della massoneria, afferma: «La liberazione d’Italia – opera eminentemente massonica – fu sorretta, in ogni suo passaggio fondamentale, dalla iniziativa delle Comunioni massoniche d’oltralpe». La Massoneria «fu il vero ispiratore e motore» del Risorgimento, «perché sua era l’idea guida della liberazione dei popoli». Sulla paternità massonica dell’unificazione italiana non hanno dubbi né i vertici del Grande Oriente d’Italia di palazzo Giustiniani, né quelli di Piazza del Gesù, vale a dire le due più rappresentative comunioni massoniche italiane. Ecco cosa scrive nell’ottobre del 1977 «Il libero muratore» (rivista di Piazza del Gesù) commemorando i 107 anni della presa di Roma: «Accadimento voluto dalle forze massoniche». La rivista riporta poi una citazione di Giuseppe Mazzoni, Gran Maestro dell’epoca: «La falange massonica, oggi, dopo essere stata ispiratrice ed iniziatrice dei movimenti che resero la Patria libera ed una, si colloca da Roma alla custodia dei diritti rivendicati». Per venire a giorni più recenti, il massone dichiarato Augusto Comba scrive in Valdesi e Massoneria di recente pubblicazione: «va detto che dopo aver contribuito con la partecipazione attiva dei suoi uomini, primo fra tutti Garibaldi, al Risorgimento come realtà, dagli anni 1880 in poi la massoneria contribuì a costruirne il mito, quel mito che è simboleggiato dal tricolore. E ciò non solo con i discorsi di Crispi, le poesie di Carducci e Pascoli, i racconti di De Amicis, le statue di Ettore Ferrari, ma anche localmente la toponomastica, la museografia, la monetazione ecc., insomma i minuti accorgimenti che quel mito hanno stampato durevolmente nella mente degli italiani». L’abbattimento del potere temporale dei papi, cui accenna Bobbio, non è certo il principale obiettivo dell’élite risorgimentale: a leggere quello che le fonti del secolo scorso scrivono (sia di parte massonica che cattolica), il Risorgimento mira alla pura e semplice scomparsa del cattolicesimo. I liberali sono convinti che per far crollare il potere spirituale dei papi sia sufficiente la scomparsa del papa re: per controllare la veridicità di questa affermazione basta leggere, da parte cattolica, l’intero magistero dei papi spettatori del Risorgimento (Pio IX e Leone XIII che, non a caso, definisce il risorgimento “risorgimento del paganesimo”), e, da parte liberale, la quasi totalità della letteratura risorgimentale a cominciare dal Bollettino del Grande Oriente. Alcuni esempi, fra i più significativi. E’ del 1818 un interessantissimo documento noto col nome di Istruzione permanente; l’Alta Vendita della carboneria scrive: «Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della Rivoluzione Francese: cioè l’annichilimento completo del cattolicesimo e perfino dell’idea cristiana». Nel 1832 Mazzini così si rivolge Ai lettori italiani: «Il papato starà finché non lo rovesci dal seggio ov’ei dorme l’Italia rinata. In Italia sta dunque il nodo della questione europea». «Da Roma sola –continua Mazzini- può muovere per la terza volta la parola dell’unità moderna, perché da Roma sola può partire la distruzione assoluta della vecchia unità». Sulla stessa linea, nel 1865, il Bollettino del Grande Oriente Italiano scrive: «le nazioni riconoscevano nell’Italia il diritto di esistere come nazione in quanto che le affidavano l’altissimo ufficio di liberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto del fine che la Massoneria si propone; al quale da secoli lavora». Che (in nome della libertà e della costituzione) il Risorgimento realizzi la più grande persecuzione dopo Costantino (e che quindi l’élite liberale non sia anticlericale ma anticattolica) è scritto nei fatti. Lo Statuto albertino dichiara, nell’articolo primo, la «religione cattolica unica religione di stato»? Subito dopo la sua approvazione, il Parlamento decide la soppressione dei gesuiti e degli ordini definiti “gesuitanti”, nonché l’incameramento di tutti i loro beni. In nome della libertà e dello Statuto i liberali sopprimono uno dopo l’altro tutti gli ordini religiosi della chiesa di stato buttando sulla strada 57.492 persone (i membri degli ordini religiosi) ed appropriandosi per due lire del loro patrimonio (archivi, biblioteche e oggetti d’arte compresi). L’1% della popolazione diventa anche proprietario di circa due milioni e mezzo di ettari di terra (le proprietà della chiesa unite a quelle demaniali), come documenta Emilio Sereni, storico di sinistra doc. Siamo sicuri che la riscrittura delRisorgimento sia una interpretazione “di destra”, e cioè di parte?
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 
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