La Discussione, 26.11.2002
La paura infondata di Ezio Mauro
di Roberto Corsi
Il direttore Ezio Mauro, in un lungo intervento su Repubblica, non nasconde
qualche preoccupazione perché "a destra s'avanza uno strano cristiano".
Anzi, la chiusura è proprio un invito alla mobilitazione a tutti, non solo a
laici e sinistra, a questa "feroce gioia" di distruzione repubblicana. Anche
se il nome non compare mai, si capisce benissimo che questi cattolici
tradizionalisti da cui Mauro vuole mettere in guardia altro non è che la
realtà di Comunione e Liberazione. La descrizione è minuziosa e puntuale
fino alla pignoleria, ma forse non coglie la complessità del fenomeno
collocandolo forzosamente dentro schemi politici e culturali inadeguati a
rappresentarlo. Questi cattolici tradizionalisti viaggiano dunque "dentro il
ventre della balena berlusconiana" accettano il relativismo etico di Forza
Italia, il liberismo, il pragmatismo "disinvolto e interessato", in cambio
del "paradiso terrestre" offerto loro: Regione Lombardia, significativi
posti in Rai, affari. E tuttavia rimangono "una cosa a sé", pur fornendo con
i loro valori una "copertura integrale " al berlusconismo. E anche dalla
Chiesa italiana "accettano il comando, ma come soldati di un altro esercito,
guidati da voci che risuonano altrove". Qui, a mio modo di vedere, Mauro
compie una prima forzatura contrapponendo questo tipo di cristiano, subito e
sbrigativamente etichettato come tradizionalista e di destra, a quello
proposto dai Vescovi italiani. Questi avrebbero ormai tranquillamente
accettato un ruolo di minoranza, riconoscendosi "parte", mentre quelli si
comporterebbe ancora come "tutto". In realtà le posizioni sono più
articolate di quanto non appaia, anche per le differenti sensibilità
presenti sia fra i vescovi che fra i ciellini. Una certa vivacità, che
talora sconfina nell'aggressività, non può dispiacere a buona parte dei
vescovi né significa il rifiuto di un ruolo di minoranza. Può essere semmai
il tentativo di compensare con una maggiore presenza ed incisività il
riconosciuto limite numerico. Ma minoranza, per quanto rumorosa possa
essere, non diviene una maggioranza, per quanto silenziosa essa sia. E'
proprio la logica "del piccolo gregge", del "resto d'Israele" che fa
acquisire maggiore coscienza del proprio compito e della propria missione.
Mauro individua nella triade Giovanni Paolo II, Del Noce e don Giussani i
riferimenti di questa realtà. Indubbiamente anche da queste parti si subisce
il fascino di Giovanni Paolo II, ma quello che più risalta è la devozione
verso don Giussani. Del Noce invece risulta del tutto assente, innominato e
forse innominabile, non foss'altro che per l'antico legame con Rocco
Buttiglione: tutt'al più si può percepire qualche riverbero del suo
pessimismo. Ci si può invece chiedere quanto sia grande sia l'influsso di
Giovanni Paolo II, del suo ampio magistero sociale, delle sue encicliche,
per quanto riguarda l'approccio ciellino alla politica. La risposta è: molto
scarso. Come afferma Mauro parlando del rapporto fra CL e il berlusconismo,
si tratta dell'incontro fra due "spregiudicatezze e due convenienze
complementari, una che scusa le contraddizioni del suo mondo con l'
ultraterreno, l'altra al contrario ultramondana". Ma proprio per tale
spregiudicatezza, il viaggio nella balena berlusconiana non è qualcosa di
definito e di definitivo. Piuttosto esso è una conseguenza momentanea della
linea di fondo adottata da CL, causata anche dalla convulsa fase politica
che attraversiamo, definibile in una sorta di neogentilonismo, spesso
straccione, che determina l'appoggio a questo o a quel candidato sulla base
di scelte più che contingenti: scuole da gestire, strutture assistenziali o
educative da mandare avanti, cooperative da far crescere. Il voto a questo o
a quello ha queste motivazioni, più che meditati richiami alla dottrina
sociale cristiana, esami di congruità dei programmi dei vari partiti o a
scelte di campo predeterminate. Un esempio che chiarisce meglio di qualunque
discorso è l'appoggio elettorale al diessino Bersani. Se questo è l'
approccio, è del tutto improprio il paragone con l'Action Francaise. Il
fatto che Socci mandi in onda ad Excalibur le immagini della Madonna di
Medjugore non ha niente a che vedere con le nostalgie fasciste né con certo
anticomunismo viscerale. Piuttosto Mauro dovrebbe chiedersi se il concetto
di laicità non vada applicato anche alla Resistenza, al Risorgimento, all'
antifascismo, che talora servono come mediocre paravento per nascondere,
dietro la ridondanza della retorica, povertà di idee e di proposte. Prendere
a pretesto alcune dichiarazioni di Baget Bozzo, che vorrebbe abolire la
festa del 25 aprile, per fornire i connotati di questo cristiano
tradizionalista, significa non resistere a suggestioni propagandistiche. Non
può essere certo il sacerdote genovese, il cui tortuoso itinerario
politico-culturale ha più tornanti del Pordoi, il riferimento più congruo
per un confronto su certe tematiche. Lo stesso Berlusconi, pur commosso da
tanti attestati di devozione, non ha potuto che prenderne le distanze. Anche
Mauro, seguendo l'invito del Papa che conclude il suo articolo, non dovrebbe
avere paura. Il suo grido d'allarme per "la laicità buttata via con lo
statalismo come moderno disvalore, insieme alla Resistenza, al Risorgimento,
naturalmente l'antifascimo" non ha motivo di sussistere. I bombaroli non
abitano qui.