Bossi conferma: sulla devolution la Cdl è più compatta che mai


«Abbiamo parlato di devolution: l’incontro è andato bene. Anzi, è stato ottimo». Umberto Bossi, ministro delle Riforme, è sereno e soddisfatto quando lascia il vertice della Casa delle Libertà che si è tenuto a Palazzo Grazioli alla presenza del premier Berlusconi. A chi gli chiedeva se i leader della Cdl avessero preso una decisione sulla riforma federalista dello Stato e sul progetto di devolution, il leader della Lega ha tagliato corto: «La decisione è stata presa già anni fa... ». Si va avanti coesi, tanto che Bossi smentisce la necessità del ricorso ad un voto di fiducia sulla grande riforma. «Sulla devolution - afferma il numero uno della Lega - il governo non chiederà la fiducia. L’esecutivo, ha i numeri della gente e in Parlamento, quindi ha la forza e la fiducia per fare quello che vuole». Secondo Bossi «la maggior parte degli emendamenti dell’opposizione sono centralisti e sono in contrasto con il nuovo Titolo V della Costituzione». Il ddl La Loggia sull’attuazione della riforma costituzionale varata nella passata legislatura, ha poi detto Bossi, potrà «essere discusso dall’aula del Senato a metà gennaio». Intanto, la riforma va avanti nel suo iter al Senato. Ieri, due muri compatti, si sono fronteggiati a palazzo Madama. Alla determinazione della Casa delle libertà nel licenziare in prima lettura questo provvedimento prima della Finanziaria (quindi entro il 9 dicembre prossimo), si contrappone la protervia dell’Ulivo nel cercare di impedire a tutti i costi che ciò avvenga. Insomma ad un ostruzionismo sistematico preannunciato e puntualmente applicato, (ieri le continue verifiche del numero legale chieste dai senatori di centrosinistra hanno più volte interrotto i lavori) fa da contraltare un ruolino di marcia che non prevede indugi e perdite di tempo, perché questo - lo hanno ricordato in molti in questi giorni - è uno dei punti fondanti del programma di governo della Casa delle libertà. Ecco perché la maggioranza ha chiesto e ottenuto che si invertisse l’ordine del giorno per discutere subito del cambiamento da apportare alla Costituzione. Ed ecco perché tutti gli interventi dei capigruppo del centrodestra durante il dibattito in aula, hanno voluto sottolineare la necessità di arrivare presto all’approvazione del ddl.
Dal fronte opposto invece si tuona contro tutto, dal metodo (la procedura parlamentare) al merito (il rischio cui sarebbe sottoposta l’unità del Paese). Duro e quasi apodittico, l’intervento dell’ex presidente del Senato, Nicola Mancino (Margherita). «Potremo anche perdere la nostra battaglia in Parlamento, - ha dichiarato durante il dibattito - ma contro la devolution siamo pronti a fare il referendum, e sarà la vostra tomba». Un tono vibrato e minaccioso che male si concilia con il clima di dialogo che alcuni esponenti del Polo hanno cercato di creare.
Prima il ministro degli Affari Regionali Enrico La Loggia, poi il relatore del disegno di legge sulla devolution Francesco D'Onofrio, hanno provato a imbastire una qualche forma di dialogo con l’opposizione. Ma sono stati raggelati. La Loggia ha auspicato un confronto parlamentare sereno sull'argomento; e ha ricordato che in ogni caso prima del varo definitivo della devolution ci sarà tempo e modo per licenziare la legge ordinaria che attua il titolo V della Costituzione e che si integra con la stessa devolution. D'Onofrio si è invece spinto a chiedere la collaborazione del centrosinistra su una revisione dell'intero articolo 117 della carta costituzionale; dicendosi disposto anche ad una breve sospensione dell'attuale dibattito sulla sola devolution. Ma la sua proposta è stata respinta senza mezzi termini, perché giudicata “ambigua, poco credibile e ridicola”. Almeno così l’ha definita il capogruppo dei Ds al Senato, Gavino Angius.
Affermazione che è stata subito stigmatizzata dalla vice-presidente del gruppo di Forza Italia a palazzo Madama, Elisabetta Alberti Casellati:
«Angius prova a girare la frittata. Evidentemente abbiamo toccato un nervo scoperto dell’Ulivo. La verità è che la sinistra - ha detto la Casellati -, abituata ai colpi di maggioranza quando governava, ha deciso ancora una volta di fare le barricate, abbandonandosi ad un cieco ostruzionismo, terrorizzata dal doversi confrontare per la prima volta nel merito delle nostre proposte». E il dibattito continua ad infiammarsi. Fuori e dentro l’aula. Nei palazzi romani e in quelli del Nord.
Al leader della Quercia Piero Fassino, che dal palco del Maurizio Costanzo Show, ha definito la devolution “politicamente preoccupante”, ha ribattuto il ministro della Giustizia, Roberto Castelli. «È evidente - ha detto il Guardasigilli - che uno Stato funziona meglio con il modello federale rispetto al modello centralista. La devolution non è il federalismo, è solo un primo, piccolo passo: vogliamo fare le cose gradualmente, proprio perché non vogliamo sfasciare il Paese.
C’è la globalizzazione - ha osservato il numero uno di via Arenula - dobbiamo prepararci alle sfide e il federalismo è il sistema più efficace. Con questo vecchio modello centralista non andremmo da nessuna parte, anzi faremmo la fine dell’Argentina».
Con tante, troppe, dichiarazioni la sinistra “rischia di fare confusione”. A sostenerlo è il presidente del consiglio regionale del Piemonte, e segretario nazionale della Lega Nord - Piemont, Roberto Cota. «Si sostiene - ha puntualizzato - che la devolution farà lievitare le spese, ma al contrario la devoluzione nelle tre materie semplificherà il quadro e consentirà di razionalizzarle. In materia di Sanità, per esempio - ha spiegato - oggi spendono in due, Stato e Regioni, domani spenderà soltanto la Regione». Quanto alla preoccupazione espressa dal ministro Girolamo Sirchia che vi siano alcune regole generali e norme etiche di sistema, e più in generale garanzie che in ogni regione vengano assicurati livelli minimi di prestazioni in campo sanitario, Cota ha ricordato che esiste una competenza dello Stato che garantisce in tal senso. «L’articolo 117 della Costituzione riserva infatti alla competenza esclusiva dello Stato - ha concluso - la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e tale formulazione non viene toccata dalla riforma».
Tesi, confermata anche dall’ex ministro del Bilancio della Lega Nord, Giancarlo Pagliarini, primo firmatario dell’emendamento per la regionalizzazione dell’Irpeg, che rispondendo alle domande di un quotidiano economico-finanziario, ha confermato come l’accelerazione sulla devolution non rischi di aumentare le difficoltà delle Regioni. «Tutt’altro - afferma - . È passato un anno dalla conferma del nuovo articolo 119 (attuato con il nuovo Titolo V) e nulla è cambiato. Anzi, le difficoltà per le regioni e i contrasti istituzionali sono aumentati. Occorre fare chiarezza, e farla al più presto. L’attuazione del federalismo fiscale significa rendere più trasparenti i rapporti tra Stato e Regioni». Per questo Pagliarini ha sottolineato la necessità di prestare attenzione alla proposta di legge La Loggia che fino ad ora, «affinché sia garantito il principio dell’autonomia finanziaria delle regioni attraverso entrate proprie e compartecipazioni al gettito di tributi erariali». Unica voce in dissenso con tutta la Cdl, quella del vicepresidente del Senato di An Domenico Fisichella, che ha ribadito di non essere d’accordo con la devolution».