«Il ministro Bossi sulla Devoluzione ha parlato da statista. Il suo intervento in Senato è stato assolutamente equilibrato. Suggerisco a chiunque di leggerselo sul sito de la Padania prima di accusare Bossi di toni razzisti».
Robi Ronza, studioso del federalismo e stretto collaboratore del presidente della regione Lombardia Formigoni, sottoscrive totalmente quanto dichiarato dal ministro Bossi martedì nell’aula di Palazzo Madama. «L’opposizione si è scatenata contro la devoluzione senza proporre alcun argomento serio, ma utilizzando soltanto l’arma della diffamazione - aggiunge Ronza -. Dimostrando quale sia l’attuale livello del dialogo politico nel nostro paese».
Dottor Ronza, il centrosinistra ha perso la testa e si vede dal tenore degli attacchi. Come mai una così grande paura per la devoluzione e il federalismo?
«In Italia esiste un blocco di burocrazie centrali statali e para-statali. Burocrazie sindacali, burocrazie di sindacati di categoria, composte da gente che vive da sempre sulla ripartizione del gettito fiscali prelevati in tutto il paese, ma convogliato tutto quanto verso il centro. La devoluzione, con le competenze esclusive date alle regioni, significherà la fine di questo sistema consolidato nei decenni. Semplificando, si può dire che con la devoluzione finalmente chi paga comanda e chi domanda paga».
Il terrore che attanaglia la sinistra e quelle burocrazie centrali può portare addirittura a stravolgere la storia. Bossi è stato accusato di essere razzista perché ha ricordato che sono stati soprattutto i padani a fare l’unità d’Italia.
«Bossi ha ragione. Pretendere il contrario è veramente assurdo. Il tentativo di arrivare allo stato unitario italiano è arrivato dal Nord. Va anche detto che durante il Risorgimento si sono contrapposte due ipotesi di unificazione diverse tra loro. E ha vinto, ahinoi, la peggiore».
Ha perso l’idea federalista di Carlo Cattaneo?
«Sì, ha perso Cattaneo e ha vinto Cavour».
All’interno della Cdl Forza Italia, con Berlusconi in testa, e la Lega sostengono a spada tratta la necessità della grande riforma federalista. Meno convinti sembrano invece alcune parti di An e soprattutto i centristi dell’Udc. Ma allora perché, al momento di sottoscrivere il patto elettorale, i democristiani non hanno avuto nulla da dire?
«Perché probabilmente pensavano che non si sarebbe fatto sul serio. Invece Bossi e Berlusconi vogliono fare sul serio e introdurre il federalismo in questo paese. I patti naturalmente si devono rispettare, quindi è l’Udc che dovrebbe fare un passo indietro ed evitare polemiche negative. Anche se è fisiologico questo freno da parte dell’Udc».
Perché?
«Perchè i centristi pescano in larga misura il loro elettorato nelle burocrazie centrali. Però di questo passo l’Udc rischia di diventare un cavallo di Troia per tutta la Casa delle libertà».
La devoluzione peraltro è soltanto il primo passo verso la grande riforma federale in programma?
«Certo, e quello successivo sarà il federalismo fiscale e l’attuazione dell’art. 119, in base al critrio non della ripartizione del gettito di imposte comunque fissate dal governo centrale, bensì sul criterio della riserva dei campi di imposizione fiscale. Ovvero, tanto per fare un esempio, i comuni tassano le persone fisiche e le regioni quelle giuridiche e lo stato l’energia. È un’ipotesi. Si tratta di un articolo fondamentale per la realizzazione concreta del federalismo. Si va a responsabilizzare tutti sul lato sia del prelievo che della spesa. Il vero motore del controllo della spesa pubblica è infatti la relazione diretta tra il prelievo fiscale e la spesa. Per questo motivo in Svizzera, dove vige questo modello, c’è la spesa pubblica più bassa d’Europa e i servizi pubblici più efficienti».