di Mauro Bottarelli

I conti sono presto fatti e anche le valutazioni a latere non possono tardare. Queste le prove. Dal 1992 in Iraq la tortura è ammessa per legge: un decreto di quell’anno, infatti, garantisce l’immunità a chi danneggia o uccide i “nemici del regime”. L’elenco delle torture è ben documentato e degno di un film del terrore: taglio della lingua, occhi cavati, mani perforate con il trapano, ecc.. Nemmeno i bambini sarebbero esentati dalle “cure” del regime. Inoltre, tanto per gradire, nel Paese di Saddam sono di casa esecuzioni senza processo e massacri di massa: nel solo 1983, 8mila maschi curdi sopra i 13 anni sono stati arrestati e uccisi. Qualcosa da commentare? Difficile farlo, se uno ha la coscienza apposto e un minimo di dignità umana. Questi dati non sono frutto di fantasie belliche ma il contenuto di un dossier di 24 pagine corredato da un filmato di 4 minuti presentato lunedì dal governo britannico. Un’unica voce si è levata contro la divulgazione di queste cifre, guarda caso proprio quella di uno degli organismi che negli anni si è impegnato a fondo per raccoglierle: Amnesty International. Il perché è presto detto e lo apprendiamo dalla voce della segretaria generale dell’organizzazione, Irene Khan: «Queste cose si sono sempre sapute ma vengono divulgate solo ora. Quest’attenzione selettiva verso i diritti umani non è altro che una calcolata manipolazione del lavoro dei nostri attivisti». Come dire, ciò che avete reso noto e che sta scritto in quelle 24 pagine è verissimo ma non è carino dirlo adesso rischiando di danneggiare la figura di Saddam subito prima della guerra. Perché non è opportuno? Anche un bambino capirebbe che l’intento britannico era di fare propaganda pro-bellica ma almeno il ministro Straw ha avuto il buon gusto di usare dati veri e denunce circostanziate: nessuna falsa prova, nessuna supposizione, nessun sospetto. Solo la verità. E come diceva Orwell, «nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario». Di cosa ha paura Amnesty? Forse del fatto che qualcuno cominci a rendersi conto della miopia che da sempre ne accompagna l’operato? Già, perché mentre ci si fa scrupoli nel rendere noti i metodi con cui Saddam amministra il suo Paese, i pacifisti a oltranza lanciano una campagna parallela contro Vladimir Putin, uomo che può anche stare antipatico ma che non può essere assimilato al rais. Fin dal disegno scelto per la nuova campagna si capisce tutto: un Cremlino stilizzato con contorni di filo spinato accompagnato dalla frase “In Russia la violazione dei diritti umani è un’istituzione”. Signore e signori, Putin è il nuovo Hitler e la Russia un Reich dal quale la gente cerca di fuggire con ogni mezzo. Da quando l’ex Urss è governata da un uomo con la schiena dritta, sinceramente anti-comunista e visceralmente avversario delle oligarchie mafiose che hanno razziato il Paese per un decennio, ecco che parte la campagna di diffamazione. Basti ricordare i rivoltanti commenti piovuti sul numero uno del Cremlino dopo il blitz nel teatro Dubrovka: per gli illuminati era un gesto folle, irresponsabile, fascista. Peccato che abbia salvato quasi 700 persone su 800 prigioniere dei terroristi islamici ceceni. Ora si torna alla carica, con il dichiarato scopo politico di delegittimare un presidente che non intende rinunciare alla sovranità e all’indipendenza del proprio Paese, sia essa politica o militare. Dov’era però Amnesty quando negli anni ’80 il governo socialista di Gonzalez sequestrava, torturava, giustiziava (a colpi di mazza da baseball, annegandoli nei fiumi o seppellendoli sotto 50 chili di calce vivi) i militanti baschi, spesso nemmeno legati all’Eta? Dormiva il sonno non dei giusti ma degli ipocriti. E dov’era Amnsety International quando, in nome della lotta al terrorismo, fu inaugurato il lager di Guantanamo, con tanto di presunti terroristi trasportati come bestie pronte alla vivisezione? Quell’oltraggio alla dignità umana non meritava una bella pubblicità sui giornali più delle presunte violazioni compiute dal governo di Putin? Eppure silenzio assoluto: non un manifesto, non un sit-in, non uno spot. Amnesty campa sulla battaglia decennale contro la pena di morte, l’America lo sa e tollera queste anime candide che anzi svolgono il ruolo di legittimatori della superiorità della democrazia Usa: il dissenso è protetto e garantito, in compenso le esecuzioni capitali proseguono. In compenso in Russia la pena di morte esiste solo sulla carta e Putin sta conducendo una battaglia personale alla Duma per abrogarla del tutto. Amnesty denuncia il fatto che nella Csi esiste un inaccettabile sovraffollamento carcerario: guarda caso lo stesso problema che affligge la Turchia, dove nell’indifferenza più totale si sta svolgendo da mesi uno sciopero della fame che ha già portato alla morte di 62 detenuti. Ma la Turchia deve entrare in Europa, quindi meglio starsene zitti e dedicare le pagine pubblicitarie al boia Putin, già estromesso d’imperio dall’Ue perché non conforme agli standard minimi di democrazia richiesti da Bruxelles. Tra l’altro in Turchia ci sembra che esistano problemi anche con tortura, incarcerazioni sommarie, processi farsa, persecuzioni di oppositori politici e minoranza etniche: bazzecole, il problema sono i poliziotti russi e i commissariati moscoviti. Prodi applaude.
Non importa che, entrando nell’Ue, Ankara possa continuare le proprie sistematiche violazioni dei diritti umani con la patente di democraticità occidentale, con la rappresentatività politica a Bruxelles e con i fondi comunitari. Loro sono contenti così, si sentono apposto con la coscienza facendo spedire lettere ai detenuti nel braccio della morte e denunciando a comando lo scomodo di turno. Come Milosevic: non una parola però per le atrocità post-belliche dell’Uck e per i profughi serbi. Questione di opinioni e di angolature: d’altronde Amnesty ha sempre avuto qualche serio problema di strabismo nella sua lunga storia.