Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Contro la leggenda nera!

    La "leggenda nera" dell'Inquisizione (*)


    di Rino Cammilleri


    Il famoso best-seller di Umberto Eco, Il nome della rosa, e il film che ne è stato tratto, hanno riproposto il più classico tra gli argomenti della propaganda illuministica anticattolica: l'inquisizione. Da più di due secoli questo antico tribunale ecclesiastico rappresenta nella coscienza dei credenti una sorta di "scheletro nell'armadio", un brutto ricordo da rimuovere, un complesso d'inferiorità che insidia ogni slancio apologetico. L'impaccio per il proprio passato o, come si usa dire, per il proprio retroterra storico-culturale, per le proprie radici, non è certo il miglior punto di partenza per far diventare la fede "cultura", secondo l'incitamento di Giovanni Paolo II a Loreto durante il discorso al convegno della Chiesa italiana (11 aprile 1985).

    Il dovere dell'intellettuale cattolico nei confronti della verità richiede un instancabile lavoro di studio e di diffusione della verità storica, perché sia fatta luce negli angoli più bui, ove ce ne siano. Delucidare, con serenità e franchezza, argomenti "scomodi" non potrà che giovare alla causa della verità, anche perché in non pochi casi si potrà accertare che le cose non sono andate così come disinvoltamente sono state raccontate e come acriticamente le abbiamo recepite. Chi pensa oggi all'Inquisizione rievoca per lo più le immagini che il film di Arnaud ci ha mostrato: roghi, processi-farsa, sadismo. Così come il Medioevo, l'unica epoca di presunto sottosviluppo che ci abbia dato le cattedrali - secondo l'incisiva espressione di Régine Pernoud - viene associato al fanatismo, al buio, alla sporcizia, alla depravazione morale. Nulla più lontano dalla realtà storica, ma quanti leggono libri di saggistica seria e ben documentata? Eppure forse mai come al presente l'interesse per il Medioevo è stato tanto vivo e la ricerca storiografica così avanzata. Lo stesso libro di Eco - vero capolavoro di ingegneria romanzistica, più comprato che letto - presta il fianco a non poche critiche sul piano dell'attendibilità storica. L'autore stesso, del resto, non ha mai fatto mistero dell'intento "apologetico" della sua opera, in cui si celebra sostanzialmente il pensiero radical-nichilistico moderno. Il film ne è poi un'ulteriore riduzione in chiave "gotica", più attento ai risultati di botteghino che ad altro. È un fatto che molti hanno visto esaurire la loro cultura storica nel libro di testo scolastico, spesso ignorando che generalmente i libri di scuola Sono tratti da altri libri, i quali rimandano ad altri ancora. Risalendo la china si può tuttavia scoprire che alla radice di tanta divulgazione scolastica si trovano opere di due secoli fa e che spesso tali opere "storiche" sono da annoverare tra i romanzi. Detto altrimenti, molte volte alla base di intere concezioni storiche c'è solo l'autorità di "uno" studioso sette-ottocentesco. Emblematico è il caso della leggenda dei "terrori dell'anno Mille derivata da Jules Michelet e ancora perdurante quantunque sia ampiamente dimostrato che nell'anno in questione pochissimi erano in grado di calcolare le date; basti pensare che non e era nemmeno univocità di calendario.

    È da tener presente che purtroppo solo studiosi già affermati possono permettersi il lusso di trascorrere mesi in un archivio vescovile - magari all'estero - per cercare la documentazione che occorre loro. Così come altrettanto problematico è trovare editori disposti a pubblicare ricerche in contrasto con le opinioni correnti o col mercato. A ciò si aggiunga il fatto che il Medioevo fu una civiltà essenzialmente orale. I pochi documenti scritti, inoltre, non si rinvengono là dove sarebbe logico - per la nostra mentalità - trovarli. Ecco un esempio: spesso gli storici dell'età medioevale hanno dovuto desumere notizie sulla politica del tempo da documenti relativi a visite pastorali, dove erano state annotate per inciso, magari al fine di datarle. I processi dell'Inquisizione, fortunatamente, sono tutti redatti per iscritto da un vero e proprio notaio. Così dettava la procedura obbligatoria, che per quei tempi costituiva una vera e propria novità. Orbene, le ricerche storiche scientificamente condotte demoliscono completamente i luoghi comuni sull'argomento. Uno specialista danese, Gustav Henningsen, ha spogliato con l'ausilio del computer più di cinquantamila processi della famigerata Inquisizione spagnola lungo l'arco di centocinquant'anni circa, reperendovi solo l'uno per cento di condanne a morte. Basta un semplice calcolo per costatare quanto si sia lontani da quei milioni di vittime" che la pubblicistica anticlericale s'è inventata. Luigi Firpo, storico "laico", intervistato da Vittorio Messori (cfr Inchiesta sul cristianesimo, Sei, Torino 1987) ha dichiarato serenamente che "davanti a quel tribunale, più che dei colpevoli di reati di opinione, dei paladini della libertà di pensiero, comparvero dei delinquenti comuni, delle persone colpevoli di atti che anche il diritto moderno considererebbe reati [...]. Gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono le vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamate celle dell'Inquisizione [...]; era, per esempio, prescritto che lenzuola e federe si cambiassero due volte alla settimana: roba da grande albergo [...]. Una volta al mese, i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di che avessero bisogno. Mi sono imbattuto in un recluso friulano che chiese di avere birra al posto del vino. Il cardinale ordinò che si provvedesse ma, non riuscendo a trovare birra a Roma, ci si scusò con il prigioniero, offrendogli in cambio una somma di denaro perché si facesse venire la bevanda preferita dalla sua patria" .

    Prima di tracciare brevemente la storia dell'Inquisizione, è opportuno sgombrare il campo da un equivoco su cui forse non si è riflettuto abbastanza: oltre all'Inquisizione cattolica, dopo la Riforma ci fu anche un'Inquisizione protestante. È ben nota l'ossessione per la presenza del demoniaco che caratterizzò la mentalità di Lutero e di Calvino. Tutta la letteratura horror fiorita attorno alle "streghe di Salem" non pone in evidenza (né era tenuta a farlo) non avendo ambizioni storiografiche) distinzioni d'epoca o di territorio. Vi faremo più lungo accenno in seguito.


    Perché nasce l'Inquisizione


    Quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'impero romano, gli imperatori ritennero loro dovere reprimere l'eresia anche con la morte, giacché nell'eretico ravvisavano non a torto l'eversore dell'ordine costituito. In precedenza, le prime grandi persecuzioni contro i cristiani erano state invocate proprio dall'atteggiamento degli eretici montanisti nei confronti dello Stato.

    Questi rifiutavano infatti di prestare obbedienza all'autorità romana e di servire nell'esercito, al contrario dei cristiani ortodossi che erano numerosi nelle legioni e che non di rado occupavano alte cariche pubbliche. Se ripensiamo al processo di Gesù, possiamo costatare la riluttanza dello stesso Pilato a ritenere il Galileo un sovversivo nonostante l'insistenza dei Giudei. Proprio l'antiromanesimo giudaico ritornava nell'eresia montanista; esso diede luogo a non poche rivolte armate contro le autorità, talché gli imperatori pagani, poco propensi a sottili "distinguo" teologici in quello che per loro era uno dei tanti culti dell'impero, finivano spesso per fare d'ogni erba un fascio. Le Apologie, come quella più famosa di Tertulliano, non erano che scritti a difesa della lealtà cristiana alle istituzioni, indirizzati all'imperatore nel tentativo di scongiurare le persecuzioni e gli eccidi.

    Mutato lo spirito dei tempi, nel IV e V secolo la repressione si indirizzò verso gli eretici, per i motivi già esposti. La Chiesa non si oppose alle sanzioni che il potere civile emanava. Tuttavia, per la penna di san Giovanni Crisostomo si dichiarò contraria alla loro messa a morte, perché Dio ne attendeva la sempre possibile conversione. Dal VI fino al X secolo gli eretici furono praticamente lasciati in pace in quanto propugnavano deviazioni di contenuto esclusivamente teologico; le dispute c'erano, e assai aspre, ma per lo più verbali.

    Le cose presero altra piega quando insorsero le eresie a carattere popolare - oggi diremmo sociale" - in cui dal dissenso dottrinario si passava alla critica eversiva dell'assetto politico-istituzionale. Più che dallo scontro con l'Islàm, la cristianità medioevale vide infatti minacciata la sua Sopravvivenza come civiltà proprio da queste eresie.

    Gli ultimi quattrocento anni del Medioevo, fino all'esplosione della rivoluzione protestante, furono letteralmente costellati di eresie; catari, patarini, leonisti, speronisti, arnaldisti amalriciani, guglielmiti, apostolici, dolciniani (quelli di cui parla il romanzo di Eco), umiliati, passagini e altri ancora. La lista è molto più lunga, ma basta a dar l'idea di come il Medioevo sia stato un'era densa di tensioni e conflitti, ben più gravi delle pestilenze.

    Queste eresie - come si osservava - non erano semplici manifestazioni di dissenso teologico, ma veri e propri movimenti anarcoidi contro il potere politico e la società civile. Innanzi alle frequenti esplosioni di fanatismo l'autorità civile interveniva applicando le leggi, che all'epoca prevedevano punizioni quasi esclusivamente corporali (il carcere come pena è stato "inventato" dalla Chiesa; era una sanzione ecclesiastica applicabile solo ai chierici). Talché gli eretici finivano il più delle volte impiccati o bruciati, spesso dalla furia del popolo sdegnato e impaurito per i loro eccessi. Ma nella confusione dei linciaggi o dei processi sommari imbastiti dai principi e signori feudali, non di rado interessati più alla confisca dei beni del reo, capitava a volte che a farne le spese fossero persone assolutamente immuni da eresia.

    Poteva inoltre accadere che qualcuno venisse falsamente accusato dal vicino invidioso, o che fossero divenuti eretici perché nel loro villaggio tutti lo erano, e pertanto ne temevano i soprusi.

    Altre volte, invece, si trattava di gente caduta in errore per ignoranza, così che il giudice civile raramente aveva la competenza teologica necessaria per stabilire con esattezza il confine tra ortodossia ed eresia.

    Per tutti questi motivi la Chiesa decise di istituire il tribunale dell'Inquisizione. Solo esperti ecclesiastici potevano asserire con certezza chi fosse davvero eretico, garantirgli un giusto e formale processo e persuaderlo, ove possibile, a rientrare nella Chiesa. L'Inquisizione nacque proprio per digli eretici dagli abusi e per arginare il fenomeno, avendo di mira la salvezza di quante più anime possibile. Infatti, come vedremo, l'eretico pentito riceveva solo sanzioni spirituali; veniva consegnato all'autorità civile solo se aveva commesso qualche reato.

    È opportuno tuttavia soffermarsi brevemente sulla più nefasta, nonché più persistente e diffusa, di queste eresie medioevali, per comprendere appieno la portata e il significato che ebbe il sacro tribunale: il catarismo.

    L'eresia dai molti nomi


    Catari, albigesi, bogomili, bulgari, tessitori, patari: tutti nomi diversi dello stesso fenomeno; anzi, proprio questa varietà di appellativi testimonia l'incredibile diffusione che ebbe la setta. I suoi adepti, che non disdegnavano alleanze persino coi musulmani pur di colpire la cristianità, erano penetrati profondamente in tutti gli strati sociali e specialmente in quello che oggi chiameremmo "sottoproletariato urbano", anche se non pochi principi e signori "simpatizzavano" (O li proteggevano per avversione al clero, in un'epoca in cui il potere doveva fare i conti con la presenza di sacerdoti e vescovi che ubbidivano al Papa prima che al principe: ricordiamo il lunghissimo braccio di ferro tra Papato e Impero per il controllo delle investiture vescovili).

    Il fascino esercitato dai catari, soprattutto sulle persone più deboli e semplici, era dovuto più che altro alla loro apparente austerità di vita. Digiunavano spesso, non toccavano vino e carne, praticavano la povertà e la castità assolute. La loro dottrina era di tipo manicheo, incentrata cioè sulla credenza in due divinità: l'una buona, l'altra malvagia. A quest'ultima sarebbe da ascrivere la creazione del mondo; di qui la rigida ascesi per sottrarsi alla tirannia della materia e il divieto assoluto di generare per non perpetuare il peccato originale.

    Gli adepti dovevano deporre tutti i loro beni ai piedi dei "perfetti" e rifiutare ogni servizio al mondo, come per esempio obbedire alle autorità, impugnare le armi, prestare giuramento. Negavano. inoltre, la realtà dell'Incarnazione, perché Cristo - a loro avviso - era un angelo e al suo posto sarebbe stato crocifisso un demonio. L'unico sacramento ammesso dai catari era il cosiddetto consolamentum, che poteva essere impartito una sola volta nella vita: chi fosse ricaduto nel peccato dopo averlo ricevuto, non avrebbe avuto più alcuna speranza di salvezza.

    Ai "perfetti" era di fatto consentito ogni eccesso, perché ormai al di sopra del peccato, mentre il divieto di procreazione (che avrebbe significato l'estinzione del genere umano se generalizzato) finiva talvolta nella pratica della sodomia e di altri abusi sessuali contro natura. Chi riceveva il consolamentum spesso si suicidava o veniva ucciso subito dopo, per tema che ricadesse nel peccato (la cosiddetta "endura"), e a farne le spese erano soprattutto i malati e i bambini.

    I furti, le rapine e gli omicidi erano permessi e incoraggiati, poiché ogni realtà materiale era partecipe del male. Se aggiungiamo che la civiltà medioevale era strutturalmente fondata sul "patto feudale" - cioè sul giuramento di fedeltà, che ai catari era vietato - abbiamo il quadro esatto della situazione. I capi della setta, perpetuamente itineranti, erano pressoché imprendibili: nelle maglie della giustizia - o nell'ira popolare - incappavano quasi sempre sprovveduti adepti.

    Insomma il catarismo, lungi dall'essere una semplice manifestazione di libertà di pensiero, era la teorizzazione della violenza e dell'anarchia, nonché la condanna senza appello di ogni sforzo teso a migliorare le condizioni materiali di vita


    La reazione della Chiesa


    Le basi dell'Inquisizione medioevale furono gettate durante il Concilio di Tours del 1163, presieduto da Alessandro III. Il tribunale si configurò subito con caratteri di assoluta novità: i vescovi erano incaricati di ricercare gli eretici e convincerli a desistere dall'eresia. Perché ricercarli? Perché l'eresia era così diffusa che nessuno osava farsi avanti - per accusare o per costituirsi - nel timore di rappresaglie.

    Ma il successo dell'iniziativa fu scarso. I vescovi vivevano in loco e spesso avevano paura essi stessi. Più che una direttiva venuta da lontano, da Roma, poté l'amore del quieto vivere. Furono allora istituiti i legati pontifici, mandati direttamente dal Papa col potere di deporre gli stessi vescovi ove trovati negligenti nel compiere il loro ufficio.

    Questa seconda Inquisizione (detta "legatina" per distinguerla dalla precedente "episcopale") fu affidata ai Cistercensi, che giravano per l'Europa predicando e disputando pubblicamente con gli eretici. Fu proprio l'insuccesso di questo ulteriore tentativo a convincere, nel 1206, san Domenico a impegnarsi nella predicazione itinerante, a piedi nudi e vivendo di elemosina. I predicatori domenicani nacquero appunto per contrastare l'eresia catara, opera non esente da pericoli (due anni più tardi gli eretici assassinavano il legato papale Pietro di Castelnau).

    La data ufficiale di nascita dell'Inquisizione vera e propria è il 1233, anno in cui Papa Gregorio IX ne investì formalmente l'Ordine domenicano. E questa l'Inquisizione detta "monastica", in cui l'inquisitore non era più un semplice predicatore, ma un vero giudice, permanente e stabile. A far decidere il Pontefice fu l'atteggiamento di quello che è passato alla storia come il sovrano "illuminato" per eccellenza, Federico II, cui si deve l'introduzione ufficiale del rogo per gli eretici. Costui, scomunicato più volte, era notoriamente più interessato alla confisca dei beni degli eretici che alla salvezza delle loro anime. Il Papa decretò che il presunto eretico fosse sottratto alla giustizia civile e sottoposto all'Inquisizione, la sola legittimata ad agire in materia di fede.

    Ai Domenicani vennero subito affiancati i Francescani, di recente istituzione. I due Ordini apparivano come mandati dalla Provvidenza al momento opportuno: la profonda preparazione teologica dei membri e la povertà autenticamente vissuta ne garantirono immediatamente l'immensa popolarità. Il frate non era nativo dei luoghi ove peregrinava, né era possibile che fosse attratto dalla cupidigia dei beni da confiscare a cagione del voto di povertà; a piedi nudi, contrapponeva ben altra austerità a quella apparente dei catari, così come il pericolo non lo spaventava affatto. La gente accorreva fiduciosa sotto la protezione dell'Inquisizione monastica, il cui successo fu immediato.

    La "leggenda nera" narra di innumerevoli "vittime" dell'Inquisizione così come indugia a descrivere la crudeltà dei giudici. È per contro auspicabile che prima o poi qualcuno ponga mano a una storia delle vittime degli eretici, come san Pietro da Verona massacrato in un agguato. Per quanto riguarda l'altro aspetto della "leggenda", cioè la presunta crudeltà dei monaci inquisitori, ci limitiamo a citare le direttive che Bernardo Gui impartiva ai suoi subordinati: «In mezzo alle difficoltà e ai contrasti l'inquisitore deve mantenere la calma né mai cedere alla collera o all'indignazione [...]. Non si lasci commuovere dalle preghiere o dall'offerta di favori da parte di quelli che cercano di piegarlo; ma non per questo egli deve essere insensibile sino a rifiutare una dilazione oppure un alleggerimento di pena a seconda delle circostanze e dei luoghi. Nelle questioni dubbie sia circospetto, non creda facilmente a ciò che pare probabile e che spesso non è vero; né sia facile a rigettare l'opinione contraria, perché sovente ciò risultare vero. Egli deve ascoltare, discutere e sottoporre a un diligente esame ogni cosa, al fine di raggiungere la verità. Che l'amore della verità e la pietà, le quali devono sempre albergare nel cuore di un giudice, brillino dinanzi al suo sguardo, sicché le sue decisioni non abbiano giammai ad apparire dettate dalla cupidigia o dalla crudeltà».


    La procedura


    Cerchiamo ora di tracciare a grandi linee la procedura inquisitoriale.

    L'inquisitore doveva essere esperto di diritto e di teologia, essere di notoria santità di vita e avere più di quarant'anni. Quest'ultimo requisito assume particolare rilevanza, ove si consideri che a quell'epoca si diventava vescovi a età molto inferiore. D'altronde il Medioevo non teneva in alcun conto l'età: tutta l'educazione era per così dire intesa a far uscire l'individuo dallo stadio infantile il più presto possibile; la nozione stessa di "balocco" quale l'abbiamo oggi era pressoché sconosciuta, essendo il bambino provvisto degli stessi strumenti di lavoro degli adulti, naturalmente in dimensione ridotta.

    L'inquisitore rispondeva direttamente soltanto al Papa. Era competente a giudicare i soli battezzati, per cui gli Ebrei e i musulmani erano fuori della sua giurisdizione. Questo può sembrare ovvio, ma non è inutile sottolinearlo: un tribunale della fede poteva giudicare solo i fedeli.

    Il giudice era generalmente accompagnato da un confratello, reclutato con gli stessi criteri. Non poteva emanare sentenze senza aver prima ascoltato il vescovo locale e sentito il parere obbligatorio dei boni viri. Erano costoro una vera e propria giuria, cosa che costituiva una novità assoluta per quei tempi. Scelti tra esperti di diritto, chierici o laici, in numero variabile (talvolta anche cinquanta), erano tenuti al segreto ed era loro taciuto il nome dell'imputato. L'ufficio era gratuito.

    L'altra novità era il notaio, che fungeva da cancelliere e aveva l'obbligo di mettere per iscritto tutte fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze: a garanzia di trasparenza assoluta.

    L'inquisitore, giunto in un luogo noto per essere infestato di eretici, si presentava subito al vescovo. Poi riuniva il popolo e teneva una predica sulla fede, scongiurando gli eretici di presentarsi spontaneamente. A tal fine veniva loro concesso il tempus gratiae, da quindici giorni a due mesi. Chi si fosse confessato era senz'altro assolto. Spesso la confessione avveniva in segreto per evitare che il penitente andasse incontro a difficoltà.

    In pari tempo, gli eretici professi venivano invitati a presentarsi sulla parola. Gli imputati potevano ricusare i testimoni se dimostravano che questi avevano motivo di essere malevoli nei loro confronti. L'inquisitore non poteva giudicare un imputato, ove costui in passato gli avesse nociuto.

    Giunge qui opportuna qualche considerazione intesa a dissipare tenaci equivoci sull'uso della tortura. Pratica diffusissima nei tribunali secolari durante gli ultimi secoli del Medioevo, in concomitanza col rifiorire degli studi di diritto romano (che ne faceva largo uso, specialmente nei confronti degli schiavi e per delitti particolarmente efferati), la tortura non fu, contrariamente a quel che si ritiene, quasi mai adoperata dall'Inquisizione. Su 636 processi celebrati a Tolosa dal 1309 al 1323, ad esempio, fu usata una sola volta verso un imputato notoriamente pericoloso e già reo confesso. "Ecclesia abhorret a sanguine" è una frase che ricorre spesso nei documenti. Dalle fonti si ricava inoltre che gli inquisitori non nutrivano alcuna fiducia nelle confessioni estorte, perché quasi mai veritiere.


    Le pene inflitte


    Da ultimo, era sempre presente il rischio per l'inquisitore di incorrere in gravissime responsabilità, poiché l'imputato poteva sempre appellarsi al Papa. Diversi inquisitori finirono i loro giorni in carcere a causa della loro eccessiva severità. Emblematico il caso di Roberto il Bulgaro, Inquisitore Generale, rimosso dall'incarico e severamente punito. Si trattava di un cataro convertito che si dedicò a estirpare l'eresia con una durezza che dal Papa venne giudicata abnorme. In più, l'imputato aveva diritto a un avvocato e i testimoni dovevano essere almeno tre. Inoltre, la testimonianza di gente notoriamente malfamata era considerata nulla. Le pene erano esclusivamente spirituali: pellegrinaggi, penitenze, preghiere; i più facoltosi potevano essere condannati a elargire somme di denaro a enti di beneficenza.

    Se all'eresia era connesso qualche reato, interveniva il braccio secolare, ma l'inquisitore aveva facoltà di mitigare, commutare e anche condonare le pene. Al riguardo merita rilevare che fu l'Inquisizione a introdurre la "licenza" a favore dei carcerati, per malattia loro o dei congiunti, per attendere al lavoro dei campi, per buona condotta. Sul trattamento dei detenuti, valgano le osservazioni dello storico Firpo all'inizio di queste note.

    Il "carcere" dell'Inquisizione si configurava tuttavia in modo diverso dal nostro. Le espressioni latine che si rinvengono nei documenti - "carcere perpetuo", prigione irremissibile" - stanno a significare in realtà un periodo di detenzione dai cinque agli otto anni, da scontarsi spesso in convento o addirittura a casa propria.

    Agli arresti domiciliari sulla parola fu messo, come è noto, Galileo, di cui diremo più avanti. L'istituzione dell'ergastolo verrà infatti introdotto nelle legislazioni europee solo dopo la Rivoluzione francese. L'ideologia della libertà e dell'eguaglianza, come valori assoluti astrattamente intesi, ravvisava nel carcere la pena ideale: il carcere era "umanitario" (si pensi all'opera dell'illuminista Beccaria), toglieva il bene per eccellenza - la libertà - ed era egualitario perché uguale per tutti, nonché perfettamente graduabile all'entità del crimine.

    Jean Dumont, forse il massimo storico dell'Inquisizione, riporta un curioso episodio accaduto nell'àmbito territoriale dell'Inquisizione spagnola (favolisticamente nota per essere stata la più terribile di tutte), che testimonia negli inquisitori una mitezza al limite della dabbenaggine. Pablo de Olavide, intellettuale illuminista (siamo nel 1778), venne condannato dall'Inquisizione al "carcere perpetuo" (cioè a otto anni di convento). Dopo pochi giorni il detenuto cominciò a protestarsi malato e chiese di essere inviato alle terme, in Castiglia. Subito accontentato, continuò a lamentarsi perché le cure prestate erano insufficienti ad assicurargli la guarigione. Fu allora mandato ad altri bagni termali, questa volta in Catalogna. Naturalmente, una volta vicino al confine, l'Olavide non tardò a fuggire in Francia, dove venne accolto come "martire" dell'Inquisizione. In quel Paese Pablo de Olavide terminò la sua esistenza - dopo aver visto il Terrore rivoluzionario - scrivendo in difesa della religione.

    Forse molti ignorano che in Spagna, sul finire del secolo XVIII, l'abolizione dell'Inquisizione suscitò un numero impressionante di petizioni popolari volte al suo ripristino.

    Le pene comminate dai tribunali civili erano, all'opposto, veramente inumane. Nell'età dell'assolutismo, specialmente, il condannato veniva torturato in più modi anche mentre era condotto al patibolo. Le confraternite religiose, istituite all'occorrenza dalla Chiesa, avevano la funzione di accompagnare il condannato al luogo del supplizio non solo per assicurargli i conforti religiosi, ma soprattutto per evitare che gli fossero inflitte ulteriori sofferenze.

    Tutti i documenti evidenziano una mitezza a volte eccessiva dei tribunali inquisitoriali, di contro all'inflessibilità dei Pontefici nel perseguire i giudici troppo severi. E ciò non solo per ragioni di carità, ma anche per motivi politici: i rapporti tra la Chiesa e il potere civile furono quasi sempre tesi durante i secoli in cui fu in vigore l'Inquisizione. Così, ad esempio, in Italia i comuni ghibellini proteggevano ben volentieri i catari, che avevano le loro roccaforti a Venezia e specialmente a Orvieto.

    In questa città Cristoforo Tosti, due volte assolto e altrettante volte ricaduto nell'eresia, arrivò a invadere con i suoi il convento dei Domenicani e a picchiare a sangue l'inquisitore. Nuovamente inquisito, la pena si limitò al bando.

    Per parte sua Giovanni Boccaccio, nel Decamerone, mise alla berlina l'inquisitore di Firenze e non ebbe alcun fastidio. Qualche tempo prima, nel 1258, le autorità fiorentine avevano addirittura espulso l'inquisitore Giovanni Oliva, impedendogli persino di predicare.

    Come si può osservare, la vita dell'inquisitore non facile, stretto tra gli eretici e l'autorità civile da un lato, e la severa vigilanza pontificia dall'altro. Nessuna meraviglia che l'ufficio fosse accettato sempre con riluttanza. Tuttavia, con le armi della misericordia, il catarismo andò progressivamente estinguendosi. La predicazione incessante degli Ordini religiosi e la protezione del tribunale dell'Inquisizione liberarono la gente dalla paura e dall'ignoranza, le due principali cause che favorirono la grande espansione dell'eresia.

    Altro luogo comune che accompagna l'Inquisizione è quello della presunta connessione con la stregoneria.

    La Chiesa considerò sempre magia, sortilegi e negromanzia nient'altro che pratiche superstiziose. E per il peccato di superstizione erano competenti, così come per gli altri, il vescovo e il confessore. L'inquisizione se ne occupava soltanto se quelle attività lasciassero sospettare eresie.

    D'altronde, nei Paesi cattolici anche l'autorità civile puniva le pratiche magiche solo se comportassero reati veri e propri.

    La diffusione della stregoneria nel Medioevo è stata in realtà esagerata da certa letteratura moderna. Come ha acutamente osservato di recente il cardinal Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l'irruzione del cristianesimo nella storia ha avuto l'effetto di liberare l'uomo da antiche millenarie paure. Non a caso Cristo dichiara di essere la "luce" del mondo. Il lieto annunzio che tutta la creazione è sotto l'imperio del Dio unico, Padre buono, fuga le tenebre della superstizione e dissolve l'incubo delle potenze malvagie operanti a danno dell'umanità. Non a caso sono proprio le epoche di maggior indebolimento dei valori cristiani a registrare il puntuale riaffiorare delle vecchie superstizioni, il ritorno alle pratiche esoterico-magiche, al determinismo astrologico e persino alle suggestioni del demoniaco.

    Parimenti inquinata da disinformazione e faziosità ideologica è la questione degli Ebrei nel loro rapporto con l'Inquisizione.


    Il problema degli Ebrei


    Si è già rilevato come l'ebraismo fosse sottratto all'Inquisizione. Gli Ebrei godevano da parte della Chiesa di molteplici garanzie e protezioni; rinomata era la scienza di alcuni di loro e gli stessi Pontefici non disdegnarono di averli spesso come medici personali. Persino l'Inquisizione se ne giovò non di rado come giurati nel corso di processi contro Ebrei convertiti al cristianesimo e caduti in eresia.

    In effetti i rapporti tra Ebrei e cristiani furono, a livello di popolo, sempre difficili. Sì consentiva agli Ebrei quel che ai cristiani era vietato, cioè il prestito a interesse o "usura", praticato a un tasso fisso di circa il trenta per cento. Trascorsero secoli rima che i teologi moralisti ammettessero anche per i cristiani la legittimità dell'interesse sul presto.

    Spesso i principi cristiani attiravano gli Ebrei sui territori con la promessa di privilegi, per poter fruire dei loro crediti, di rado in verità rimborsati. In tempo di carestia erano sufficienti due o tre usurai per ridurre in miseria intere comunità rurali, essendo l'agricoltura la principale risorsa dell'economia medioevale. Di qui le sporadiche esplosioni della furia popolare, che le autorità riuscivano ad arginare con fatica. A ciò si aggiunga che i cittadini di religione ebraica non erano tenuti - proprio perché non cristiani - all'osservanza della chiusura festiva delle botteghe, la qual cosa veniva vissuta come concorrenza intollerabile, se si considera che nel Medioevo le festività religiose erano innumerevoli. I ghetti vennero istituiti proprio per motivi di ordine pubblico, così da ridurre al minimo i contatti tra le due comunità. La situazione era estremamente delicata in Spagna, dove gli Ebrei costituivano all'incirca il trenta per cento della popolazione. La propaganda negava sull'Inquisizione spagnola ha inizio con l'invasione napoleonica. Prima, al contrario, gli sforzi dei governi francesi - da Richelieu in poi - erano tesi a dimostrare l'insufficiente severità del Tribunale spagnolo, onde accreditare l'opinione che sola Francia difendesse energicamente la fede.

    Per inquadrare correttamente la questione occorre considerare che nella Spagna del tardo Medioevo, appena liberatasi dai Mori dopo una lotta plurisecolare, molti Ebrei si erano convertiti al cristianesimo per mera convenienza, giungendo pressoché a dominare nella cultura, nell'economia e nella finanza. Non di rado importanti uffici erano ricoperti da Ebrei convertiti (conversos). Il già citato storico Jean Dumont riferisce che in Spagna la situazione arrivò al punto che in numerose chiese si celebravano riti giudaizzanti, con cerimonie che in taluni casi non avevano quasi più nulla di cattolico. Così che il popolo insorgeva con tumulti improvvisi accomunando in un solo linciaggio Ebrei, conversos veri e conversos falsi. Il compito precipuo dell'Inquisizione spagnola fu appunto quello di stabilire con esattezza secondo giustizia quali fossero i falsi convertiti. Avocando a sé la questione, si può dire che l'Inquisizione abbia avuto in Spagna il merito storico di aver preservato gli Ebrei dalle invidie di quanti in essi ravvisavano solo il ceto sociale economicamente più forte, e di averne garantito la prosperità.

    Per ragione d'assoluta imparzialità l'Inquisizione fu affidata proprio a conversos, uno dei quali fu il famigerato Tommaso di Torquemada. Questi, che i romanzi "gotici" ci hanno tramandato come in personaggio torvo e sanguinano, fu in realtà un dei più grandi mecenati del suo tempo, instancabile promotore di amnistie proprio a favore di imputati ebrei. In sintesi è doveroso dire che l'Inquisizione spagnola, perseguendo solo chi simulava di essere cristiano per motivi di carriera, assicurò pace sociale e risparmiò al Paese gli orrori delle guerre di religione che di lì a poco, con l'esplosione protestante, avrebbero insanguinato tante regioni d'Europa.


    I Templari e santa Giovanna D'Arco


    In queste rapide considerazioni sui più diffusi luoghi comuni intorno all'Inquisizione non va taciuta la dolorosa vicenda dei Templari.

    Come è noto, l'Ordine dei Cavalieri del Tempio venne sanguinosamente soppresso agli inizi del 1300. Gli storici sono ormai concordi nel ritenere l'orrendo crimine sia stato ordito dal sempre indebitato Filippo il Bello, re di Francia, al fine di impossessarsi delle ingenti ricchezze dell'Ordine. Clemente V venne praticamente raggirato da uomini al soldo di Filippo, che accusarono i Templari stregoneria e di perversioni sessuali. Siamo al tempo della cattività avignonese, quando la Chiesa era in completa balia dei sovrani francesi.

    Fu davvero una vicenda oscura nella storia dell'Inquisizione, così come tale fu in seguito la condanna di Giovanna D'Arco, canonizzata poi da Benedetto XV. Si trattò tuttavia di processi "politici" promossi, nell'un caso, dal re di Francia e, nell'altro, dal sovrano d'Inghilterra, i quali si servirono di figure di comodo nell'assoluto dispregio delle procedure canoniche. I Papi furono tenuti all'oscuro della realtà dei fatti, e in entrambi i processi gli appelli interposti dai condannati non furono nemmeno portati a conoscenza della somma autorità della Chiesa.


    Savonarola, Bruno e Campanella


    Controversa rimane a tutt'oggi la figura di Girolamo Savonarola, la cui storia non s'intende qui ripercorrere. C'è solo da precisare - ove fosse necessario - che egli mai ebbe a che fare con l'Inquisizione, non essendo eretico. Come è noto, il Savonarola venne impiccato e arso dalle autorità fiorentine (che prima lo avevano protetto, nella complessa vicenda che vide contrapposte le fazioni cittadine) sotto l'accusa di sobillare il popolo.

    Diverso è il caso di Giordano Bruno. Il discusso pensatore ebbe il suo momento di maggior fulgore nel secolo scorso, durante il lungo contrasto che oppose i governi liberal-massonici del neonato Regno d'Italia alla Santa Sede. Al filosofo nolano Crispi fece addirittura erigere a Roma un monumento, in piazza Campo dei Fiori.

    Nei manuali di liceo ancor oggi Bruno è presentato come "martire del libero pensiero", ma il domenicano Tito Centi, uno dei maggiori tomisti contemporanei, confessava qualche anno fa di non capire in che cosa consista tutta la supposta "profondità filosofica" del pensiero del Nolano. Più rilevanti sono le opere di Tommaso Campanella, ad esempio, che pur viene spesso associato a Giordano Bruno. A proposito di Campanella è da dire che, nonostante la sua posizione dottrinale quanto meno eterodossa, pure fu protetto dal Papa Urbano VIII, che ne favorì la fuga dal Regno di Napoli ove era stato implicato in una congiura. Dopo una vita ricca di peripezie, a motivo delle ostilità che la sua concezione utopica di palingenesi universale suscitava, il filosofo calabro riparò a Parigi dove pubblicò tranquillamente le sue opere. Contrariamente a quanto i più ritengono, morì in terra francese senza subire alcuna persecuzione. Ma torniamo a Giordano Bruno, la cui vicenda è per molti versi esemplare ai fini del nostro discorso. Questo frate domenicano si segnalò subito per le sue opinioni decisamente eretiche sulla verginità della Madonna, sulla transustanziazione, sul culto dei santi, sull'inferno. Si spinse addirittura a sostenere la liceità della fornicazione e della bigamia, perdendosi in confuse teorie sulla trasmigrazione delle anime. Ovviamente le sue posizioni dottrinali richiamarono l'attenzione dell'Inquisizione (siamo nella seconda metà del '500: non si è ancora spenta l'eco della rivoluzione protestante e i massacri conseguenti). Deposto l'abito religioso, Bruno fuggì, peregrinando senza sosta per l'intera Europa.

    Fu a Ginevra, dove si fece calvinista. Qui pubblicò un libello giudicato blasfemo e finì in carcere. Dopo esserne uscito, passò prima in Francia e poi in Inghilterra, dove cercò di introdursi alla corte di Elisabetta. Alla regina non piacquero i suoi scritti adulatori, così che Bruno dovette riparare in Germania. In terra luterana indirizzò sermoni celebrativi a Lutero (l' "Ercole" che aveva sconfitto il "lupo" di Roma), ma il suo carattere ombroso e polemico lo costrinse a cambiare più volte città.

    Fuggito anche dalla Germania, riparò a Venezia che proteggeva volentieri gli eretici. Qui fu ospite per un certo tempo di Giovanni Mocenigo, al quale aveva promesso di insegnare l'arte della memoria di cui si proclamava maestro. Ma il patrizio veneziano, giudicando insoddisfacente il profitto che traeva dalle lezioni e preoccupato per i discorsi eretici religiosi del filosofo, lo denunciò all'Inquisizione. Il governo della Serenissima colse l'occasione per liberarsi dell'incomodo ospite ordinandone l'estradizione a Roma. In questa città ebbe come inquisitore Roberto Bellarmino, poi santo e Dottore della Chiesa. Posto di fronte alle sue tesi erronee, Giordano Bruno ritrattò dichiarandosi colpevole e pentito.

    Quasi immediatamente però, spinto forse dal suo carattere orgoglioso, rinnegò tutto. Allora, nonostante le suppliche di Bellarmino, fu consegnato governatore di Roma che lo reclamava quale eversore dell'autorità costituita (Bruno aveva sempre disdegnato la disputa coi teologi, preferendo predicare direttamente sulle pubbliche piazze). L'autorità civile si premurò di avviarlo velocemente al patibolo, senza dar tempo agli ecclesiastici di reiterare i tentativi (del resto inutili) per indurre Bruno al pentimento.

    Galileo


    Per la vicenda giudiziaria senz'altro più famosa e meno conosciuta, quella cioè relativa a Galileo Galilei, si rimanda al mio scritto "La verità su Galileo" (Fogli, n. 90, settembre 1984). Qui mi limiterò a osservare che la leggenda ha talmente enfatizzato quel processo da trasformarlo arbitrariamente in una requisitoria della religione contro la scienza. Da allora, infatti, nella coscienza molti credenti è radicato un certo complesso colpa e d'inferiorità nei confronti del sapere fisico-matematico.

    Purtroppo solo gli epistemologi, cioè i filosofi della scienza, sanno che Galileo fu processato per le sue posizioni teologiche decisamente eretiche, e non perché asseriva che fosse la terra a girare intorno al sole. Questo era noto fin dal secolo VI avanti Cristo, e Copernico l'aveva teorizzato matematicamente prima di lui. Del resto, il moto della terra poté solo essere intuito da Galileo. La dimostrazione scientifica effettiva fu molto più tarda.

    Si ravvisa ancor oggi nella Chiesa della riforma tridentina la massima espressione dell'intolleranza, ma pochi sanno che Galileo aveva diversi figli (tra cui una suora) avuti da una donna che non sposò mai e che nelle fonti non v'è alcuna traccia di critica al riguardo da parte ecclesiastica. Anzi, la Curia pontificia lo teneva in gran conto, elargendogli a più riprese onori e somme di denaro. Carattere turbolento, passò la vita in perpetuo contrasto coi colleghi (che disprezzava apertamente), invidiosi della sua fama e del suo genio.

    Furono gli astronomi gesuiti a difenderlo e a confermare le sue prime scoperte astronomiche. E furono i colleghi dell'Università a spingerlo a dichiarare pubblicamente che la Sacra Scrittura dovesse essere corretta sulla scorta delle sue scoperte.

    Ma la Bibbia non è un libro scientifico: Bellarmino, che gli era amico e per più anni l'aveva protetto, cercò di comporre la controversia suggerendo a Galileo di insegnare le sue teorie per quel che erano, cioè mere ipotesi matematiche, strumenti inadeguati per trattare di teologia.

    Dapprima Galileo acconsentì e la Curia lo colmò di onori e privilegi. Tuttavia in seguito, reso forse più sicuro dalla sua fama ormai universale, fece circolare il Dialogo dei massimi sistemi in cui la teoria eliocentrica era riproposta in modo a dir poco offensivo per lo stesso Pontefice Urbano VIII (adombrato nella figura di Simplicio).

    Inquisito ancora, inviò certificato medico in cui denunciava malesseri e depressione. Il processo fu rinviato. Quando non fu più possibile differirlo, l'Inquisizione gli permise di alloggiare in casa dei vari cardinali che se ne contendevano la compagnia. La condanna di Galileo consisté nel recitare per tre anni i Salmi penitenziali una volta alla settimana nella sua villa di Arcetri. La pena fu quasi subito commutata, e lo scienziato ricominciò indisturbato a insegnare le sue teorie.

    Tuttavia da quel momento si incrinò l'unità di fede e ragione che san Tommaso e altri pensatori della Scolastica avevano perseguito, e la scienza cominciò a rivendicare quell'autonomia assoluta che rischia oggi di produrre la paventate aberrazioni dell'ingegneria genetica.


    Alcune osservazioni di metodo


    Si è qui cercato non tanto di denunciare una mentalità profondamente radicata in molte coscienze, quanto di offrire spunti volutamente provocatori in merito all'Inquisizione, tali da stimolare e indurre ad approfondire la verità storica. La verità infatti libera, e la Chiesa non ha nulla da nascondere odi cui vergognarsi nel suo passato. Additare per venti secoli agli uomini d'ogni tempo, con mentalità e passioni molteplici e contrastanti, sempre il medesimo messaggio dovrebbe stupire e far riflettere sull'origine dell'istituzione ecclesiale. E tuttavia, sul piano della mera storicità, non è possibile parlare a uomini di secoli diversi e di molteplici nazionalità senza adottare un linguaggio loro conforme. D'altronde, è antico vezzo cercare di dare giudizi di valore avendo come misura la propria mentalità. Gli uomini di oggi subiscono il fascino di concetti quali "democrazia", "libertà", "uguaglianza"; solo pochi "addetti ai lavori" sono consapevoli che tali idee non avevano alcun significato, ad esempio, per gli uomini del XIII secolo (o ne avevano uno del tutto diverso). Così com'è per noi senza significato il gesto di un cavaliere crociato che passava anni di stenti, di fatiche e di privazioni, solo per avere il diritto di aggiungere al suo blasone gentilizio le insegne del proprio re.

    Come argutamente osservava Chesterton, chi non crede più in Dio, lungi dal non credere in niente, finisce col credere a tutto. E, sull'onda della "demitizzazione", si continua a dare per scontata la "secolare connivenza tra Chiesa e potere", dimenticando l'ingiuria di Anagni, la cattività avignonese, la lotta per le investiture, il rifiuto del Papa di sciogliere il matrimonio di Enrico VIII (che provocò lo scisma anglicano), e analoghi altri fatti. Così come si continua a ritenere che i "diritti dell'uomo" siano una conquista della Rivoluzione francese e si dimentica il Terrore, o che prima del 1789 non esisteva neppure la leva militare obbligatoria o, ancora, che i concetti di "persona" e di "dignità umana" sono valori affermatisi con il cristianesimo.

    Altra grave deformazione della verità è quella di ritenere che sia stato il messaggio evangelico a minare dall'interno le strutture dell'impero romano, laddove fu il cristianesimo a salvarne l'idea, la cultura e lo spirito delle istituzioni; o che le Crociate siano state promosse per motivi commerciali e di espansione... coloniale, dimentichi di quanti sovrani, cavalieri e semplici fedeli persero vita e beni nel tentativo di recuperare alla cristianità i Luoghi Santi. Al riguardo canta T. S. Eliot: «Solo la fede poteva aver fatto ciò che fu fatto bene, I l'integra fede di pochi,! la fede parziale di molti./ Non avarizia, lascivia, tradimento,/ invidia, indolenza, golosità, gelosia, orgoglio: / non queste cose fecero le Crociate,/ ma furono queste cose che le disfecero». Ciò che questa digressione ha inteso riaffermare è che non si dà convivenza sociale senza difesa di quelli che si considerano valori comuni. Che il regime democratico, fondato sul pluralismo e sulle "regole del gioco", reprima gli eversori di destra e di sinistra, è cosa che non stupisce nessuno. Orbene, c'è stato un tempo in cui gli uomini si riconoscevano nella Res publica christiana e chiedevano alla Chiesa di essere difesi dai falsi profeti, propagatori di idee non di rado aberranti, tali da minacciare gravemente i fondamenti dottrinali, culturali e istituzionali della società religiosa e civile. Fu a questo compito che sovrintese con mitezza e buonsenso il tribunale dell'Inquisizione.

    La "leggenda nera" dell'inquisizione nasce con l'Illuminismo, con quegli ideologi che, portando alle estreme conseguenze l'infatuazione umanistica per un mitico mondo precristiano, si denominarono "illuministi", cioè coloro che rischiarano l'intelletto liberandolo dall'errore. Essi intesero i secoli fra l'età classica (quale l'immaginavano nei loro slanci letterari: si pensi all'insistenza sulle vantate virtù civiche dei Romani o alla fantasiosa età dell'oro e al mito del buon selvaggio) e quella dei "lumi" come epoca di tenebre, di mera barbarie, favorita dalla "superstizione" cattolica.

    L'Inquisizione venne considerata - e additata - come la carceriera dell'umanità, come un "comitato di salute pubblica" incaricato di scovare ed eliminare il "dissenso", applicando quelle che di volta in volta erano le "direttive" di un presunto Consiglio segreto.

    Ma ovviamente né il cristianesimo è una concezione del mondo, né l'Inquisizione fu un tribunale ideologico. Eppure poté tanto la propaganda che i protagonisti della Rivoluzione francese si affrettarono a emanare un decreto che "liberava" le suore dai conventi. Grande dovette essere la loro sorpresa (soprattutto dopo la lettura dei romanzi di Diderot sulla condizione di plagio in cui si sarebbero trovate le monache) quando si avvidero che solamente una decina di suore accettava la "liberazione", preferendo le altre piuttosto la ghigliottina. La storia attesta che là dove la Chiesa ha perduta la sua incidenza sulla società, il sangue è scorso fiumi. Dove invece fu operante l'Inquisizione, e per tutto il tempo in cui lo fu, ai popoli furono risparmiati gli orrori delle guerre di religione.

    Ricordavo all'inizio l'equivoco in cui spesso s'incorre non distinguendo opportunamente fra Inquisizione cattolica e Inquisizione protestante.


    L'Inquisizione protestante


    Proprio lo scisma luterano offre agli storici un proficuo termine di paragone. Si pensi a quel che accadde ai cattolici nei Paesi separatisi da Roma: in Inghilterra, i "papisti" erano impiccati e arsi (l'ultimo fu bruciato nel 1696, e la discriminazione civile proseguì fino alla prima metà dell'Ottocento; in Germania, i contadini trucidati venivano allineati lungo le strade a monito contro ogni tentativo di emancipazione sociale; a Münster, gli anabattisti di Giovanni da Leyda arrivarono al cannibalismo sotto l'influsso delle "profezie" del loro capo; in Francia, gli ugonotti (vittime poi a loro volta, ma per ragioni politiche) si resero responsabili di inauditi massacri.

    Si consideri altresì il regime teocratico di Ginevra, dove in poco più di un ventennio Calvino mandò a morte una sessantina di persone per bestemmia, idolatria, adulterio. Squadre di "santi" ispezionavano le case, fustigando gli oziosi e arrestando i peccatori. Un fanciullo di dieci anni fu decapitato perché aveva percosso i genitori. Il medico e letterato Michele Servet fu arso vivo avendo modificato - per sbaglio - una parola del simbolo di fede redatto da Calvino. I processi per stregoneria del Massachusetts (i "puritani" del Mayflower portarono in America anche la loro Inquisizione) sono infine troppo famosi perché vi si accenni.

    Rotta insomma la comunione con Roma, e di conseguenza l'unità di dottrina che l'Inquisizione cattolica aveva per secoli preservato, le "Chiese cristiane" si moltiplicarono immediatamente scindendosi, separandosi e inquisendosi l'un l'altra, in un processo che si è espanso in progressione geometrica fino ai nostri giorni. Come i sociologi della religione hanno giustamente rilevato, questa moltiplicazione in sètte e gruppi che si proclamavano unici depositari della verità ha dischiuso la via allo scetticismo e all'incredulità, nonché al materialismo e a tutte le filosofie che comunque vi si sono ispirate. Come da tempo non manca di sottolineare un insigne filosofo, Augusto Del Noce, oggi l'idea stessa di una verità da ricercare è stata rimossa: il problema di Dio non è più neanche un fatto privato; è un "non problema". Il risultato è che la morte di Dio coincide con quella dell'uomo. È questo l'avvertimento che percorre tutto il Magistero dell'attuale Pontefice.


    Verità senza pregiudizi


    In anni in cui la Dottrina sociale cattolica conosce un promettente rigoglio e il laicato cattolico viene provvidenzialmente maturando la consapevolezza che una fede che non diviene cultura assomiglia al fico sterile del Vangelo, sembra più che mai necessario che ognuno contribuisca alla edificazione di una società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio. Per questo, secondo l'alta parola di Giovanni Paolo II, "nel suo più nobile significato la cultura è inseparabile dalla politica, intesa come arte del bene comune, di una giusta partecipazione alle risorse economiche, di una ordinata collaborazione nella libertà". Ma in quest'opera di edificazione non va rinnegato né taciuto il proprio passato. Una civiltà cristiana c'è stata, non è da inventare. Pur con i loro limiti gli uomini del Medioevo concepirono e dispiegarono un grandioso sforzo per fondare l'esistenza su valori trascendenti. Scrisse Leone XIII nell'Enciclica Immortale Dei (1885): «Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato, quando la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in quell'onorevole grado che le conveniva, fioriva all'ombra del favore dei principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il sacerdozio e l'impero, stretti tra loro per amichevole reciprocanza di servizi. Ordinata in tal modo la società recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata a innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare».

    Ecco dunque la necessità di riproporre incessantemente, in nome della solidarietà tra le generazioni, una storia dei secoli cristiani libera da preconcetti e opportunismi. Una storia - e un fare storia - che non sia più solo trastullo d'alto livello per intellettuali, ma che appaghi quella fame di chiara e semplice verità a ragione pretesa dai più giovani. Nell'indirizzarsi a loro, durante una celebre omelia del novembre 1974, il cardinal Stepan Wyszynsky esortava: «È venuto il tempo in cui dovete dire ai vostri educatori e professori: insegnateci la verità e non ci distruggete. Non strappateci la fede. Non annientate il nostro modo di vivere cristiano e morale attraverso uno stolto laicismo del quale nessuno comprende il senso e per il quale viene speso tanto denaro. Non ci togliete la fede nel Dio vivente. [...] È venuto il tempo in cui voi, giovani, nelle università e nelle case degli studenti, dovete avere l'ardire di esigere: non ci strappate la fede perché non ci potete dare nulla di più prezioso in cambio».

    Conformemente a una massima del tempo, gli uomini della cristianità medioevale pensavano sé stessi come nani appollaiati sulle spalle di giganti. Nani sì, ma che potevano veder più lontano proprio perché tenevano nel giusto conto la tradizione. L'Inquisizione fu un istituto storicamente necessario. Se viene studiata correttamente, basandosi cioè sui fatti e non muovendo da pregiudizi o mettendo "le mani avanti" come il Ciampa pirandelliano" la fede del credente avrà un'ulteriore conferma.


    (*) Fogli n. 131/32 - Agosto/Settembre 1988
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    La mite inquisizione

    di Vittorio Viccardi

    Inquisizione! Basta la parola e per i cattolici non c'è che un rimedio: chiedere scusa, contriti, a destra e a manca. Ma la vera storia è un'altra. Scopriamo la mite Inquisizione.

    Non v'è dubbio che l'Inquisizione sia ancora oggi uno degli istituti più demonizzati della storia, di quella della Chiesa in particolare. I libri scolastici la descrivono come strumento efficace, spietato ed infallibile, utilizzato dal Papato per affermare la propria egemonia e per condannare al rogo eretici e miscredenti. E molti tra gli studenti, ovviamente, rimandano a memoria questo insegnamento. Che i tribunali dell'Inquisizione fossero luogo di inenarrabili torture e di sadiche condanne (ci furono, in realtà, ben tre Inquisizioni: la medievale, la spagnola e la romana, ciascuna con una storia propria, ma per i più, purtroppo, questi sono dettagli irrilevanti) è opinione assai diffusa. Questa immagine nasce nel Cinquecento protestante, cresce nel Settecento degli Illuministi e si nutre con la letteratura popolare ottocentesca, ispirata dalla Massoneria. Come si vede, tutte fonti interessate, certamente non amiche della Chiesa. Sarà da vedere quanto siano storicamente attendibili. Gli effetti di tanto accanimento si vedono, eccome, anche in casa cattolica. Al solo pronunciare la parola "Inquisizione" i nostri ammutoliscono, si vergognano, si rifugiano in un imbarazzante "non so che cosa dire". Non sempre è così, meno male. I più recenti studi storici stanno gradualmente modificando questa "leggenda nera" dell'Inquisizione, grazie ad una considerevole quantità di dati di cui si viene a conoscenza, che smascherano le falsificazioni e rendono possibile conoscere la verità.

    Ne emerge una Inquisizione diversa da quella comunemente denigrata, una Inquisizione non scevra da errori ed eccessi, certo, ma pur sempre limitati, circoscritti, subito corretti non appena denunciati. Insomma, sta emergendo con sorpresa una Inquisizione sostanzialmente mite e tutt'altro che sanguinaria.

    Lasciamo parlare i fatti. Nell'immaginario popolare, il termine Inquisizione è sinonimo, in primo luogo, di "tortura". Chi non ricorda il film "Il nome della Rosa", del regista francese Annaud, sceneggiato dalle pagine dell'omonimo libro di Umberto Eco? Quante altre immagini truculente nei film e nei libri: inquisitori sadici, celle buie e profonde, tenaglie e cavalletti, corpi straziati. Ora, qui - va detto chiaramente - ci troviamo di fronte, quasi sempre, ad immagini che rappresentano un autentico falso storico. In primo luogo: 1'inquisito non era affatto alla mercè del sadismo incontrollato di qualche boia occasionale. La tortura applicata dagli inquisitori - si applicava, allora, ovunque era regolata da norme e disposizioni ecclesiastiche molto precise, severe, che ne stabilivano liceità e procedure, rendendola, concretamente, molto meno dura di quanto si possa immaginare. E' vero: la procedura inquisitoriale ha fatto ricorso alla tortura, che fu ordinata con la bolla Ad extirpanda di Papa Innocenzo IV nel 1252: "ll podestà o il rettore della città saranno tenuti a costringere gli eretici catturati a confessare e a denunciare i loro complici". Ma nella bolla, tuttavia, si precisa - e questo si dovrà pur ricordare, qualche volta che la tortura degli imputati non doveva "far loro perdere alcun membro o mettere la loro vita a repentaglio". Dunque, una tortura, si, ma senza spargimento di sangue e senza mutilazione alcuna. Niente a che fare con quel che sulla tortura ci hanno insegnato giudici e aguzzini dei moderni nostri tempi. Non solo: stando alle disposizioni ecclesiali, la tortura non poteva essere decisa arbitrariamente dal giudice inquisitore, ma necessitava del parere favorevole del Vescovo. Il fatto non è di poco conto: fu voluto proprio per scoraggiare qualche inquisitore troppo ansioso di ottenere confessioni, visto che, frequentemente, Vescovo e inquisitore non andavano d'accordo. E ancora: la tortura doveva essere applicata sotto stretto controllo medico, mai a vecchi e minori, e non poteva durare più di 15 minuti. Immaginiamo la quantità industriale di risate che queste norme avrebbero suscitato se proposte agli aguzzini di un lager nazista o comunista. Inoltre, la tortura - era stabilito - si poteva utilizzare una sola volta, non doveva essere ripetuta e la confessione eventualmente ottenuta non aveva alcun valore ai fini del processo, se non era confermata dall'imputato dopo due giorni ed in condizioni normali. L'unico mezzo consentito era la corda "ma sola in presenza di gravissimi indizi: l'imputato veniva sospeso per le braccia e lasciato cadere sul pavimento due o tre volte. Se non confessava veniva liberato"(Rino Cammilleri, Fregati dalla Scuola, p 70). Ora, a ben guardare, queste norme ci svelano che con il termine "tortura" si indicava qualcosa di sostanzialmente diverso da quanto ci hanno fatto vedere tribunali più recenti, questi si veramente crudeli. Nazionalsocialismo e Comunismo, in materia di tortura, non avevano certo nulla da imparare. Val la pena di aggiungere che nei processi inquisitoriali la tortura fu applicata con estrema cautela e solo in casi veramente eccezionali. I dati finora in nostro possesso parlano chiaro. nelle 636 sentenze iscritte nel registro di Tolosa dal 1309 al 1323, la tortura fu applicata una sola volta. A Valencia, dal 1478 al 1530 si celebrarono 2354 processi e la tortura si applico solo 12 volte. Se i fatti hanno un senso, il giudizio storico sull'Inquisizione dovrà essere rivisto. Ne era consapevole anche lo storico Luigi Firpo, laicista doc, non credente, attento al vero storico più che alla propaganda: "(...) gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono le vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamante celle dell'Inquisizione, dove la vita era ritmata da regolamenti severi ma non disumani. Era, per esempio, prescritto che le lenzuola e federe si cambiassero due volte la settimana: roba da grande albergo [...]. Una volta al mese i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di casa avessero bisogno".

    E veniamo all'infamia più grave: la morte per rogo. L'Inquisizione non comminava la morte, per il semplice motivo che non era contemplata nel Codice di diritto canonico. Era una pena stabilita dal diritto penale e veniva eseguita dal braccio secolare, che applicava le pene previste dalle leggi civili. Fu Federico II di Svevia, tutt'altro che amico della Chiesa, a dichiarare per tutto 1'Impero (1231-2) 1'eresia come crimine di lesa maestà e a stabilire la pena di morte per gli eretici. Ogni sospetto doveva essere tradotto davanti ad un tribunale ecclesiastico e arso vivo se riconosciuto colpevole. 0 vero quindi che quando il Tribunale dell'Inquisizione abbandonava un eretico al braccio secolare, questi veniva condannato a morte dalla giustizia secolare, se non si pentiva; ma non era la Chiesa a condannare, ne ad eseguire la condanna. Grazie ai dati documentati storicamente, ci accorgiamo di quanto i tribunali dell'Inquisizione siano stati estremamente benevoli e prudenti nel consegnare al braccio secolare gli eretici non pentiti. Lo storico danese Gustav Henningsen ha analizzato statisticamente 44.000 casi di inquisiti tra il 1540 ed il 1700 ed ha rilevato che vi furono meno di cinquecento esecuzioni; solo 1'1%, quindi, venne giustiziato. Bernardo Guy, severo inquisitore, ha pronunciato dal 1308 al 1323 ben 930 sentenze e abbandonò al braccio secolare solo 42 condannati, a fronte di 139 assolti. Altri dati: 1'Inquisizione di Palmiers dal 1318 al 1324 giudicò 98 imputati e solo cinque di essi furono abbandonati al braccio secolare, mentre 25 furono assolti. Se nella storia ciò che conta sono i fatti, i fatti dicono che 1'Inquisizione fu più mite che crudele. E se stiamo a questi fatti, noi cattolici abbiamo poco da vergognarci. Il resto è propaganda.

    Bibliografia:

    Jean-Baptiste Guiraud, Elogia del1'Inquisizione, Leonardo Mondadori, Milano 1994. Jean-Pierre Dedieu, L'Inquisizione, Paoline, Cinisello B.mo (MI) 1990. Luigi Negri, False accuse alla Chiesa, Piemme, Casale Mon.to (AL) 1997. Franco Cardini [a cura di], Processi alla Chiesa, Piemme, Casale Mon.to (AL) 1994.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  3. #3
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Elogio della Inquisizione

    Jean-Baptiste Guirard

    Invito alla lettura di Vittorio Messori

    Jean-Baptiste Guiraud nasce nel 1866 nel dipartimento francese dell'Aude, corrispondente a parte della storica Linguadoca, con capitale a Carcassonne. Tra i molti fratelli, Paul, docente di Storia Greca alta Sorbona, tuttora ben noto, per i suoi studi, agli specialisti dell'antichità classica. Dopo un buon curriculum di studi a Parigi, alla Ecole Normale Supérieure, Jean-Baptiste fu accolto fra le giovani promesse culturali della nazione celebre Ecole Française di Roma. Qui si dedicò, con intelligenza pari alla tenacia, allo studio del papato medioevale, penetrando per primo in archivi sino ad allora inaccessibili e dando alla luce ponderose opere di erudizione. Tornato in patria, dopo aver insegnato nelle scuole superiori, entrò all'Università di Besançon dove, ai primi del Novecento, ottenne la cattedra di Storia Medioevale. A quel punto, osserva un suo profilo biografico, "la carriera dell'ancor giovane docente sembrava già tutta tracciata: l'inevitabile cattedra alla Sorbona, l'elezione all'Institut, la cravate da commendatore della Legion d'Onore, il prestigio sociale, il benessere economico". Le cose invece andarono diversamente. Cattolico prima per tradizione familiare, ma poi per convinzione via via rafforzata anche dai suoi studi e dal soggiorno romano, temperamento ardente, pur sempre sorvegliato dall'esercizio di studi rigorosi, Guiraud intervenne a viso aperto contro la politica di persecuzione dei cattolici portata avanti dalla Terza Repubblica, la quale, dominata da potenti Gran Maestri massonici, espressione politica delle Logge pìù radicali, nell'anticlericalismo virulento cercava diversivi a scandali come quello di Dreyfus o ai tanti altri, finanziari e politici, che ne rendevano agitata e precaria l'esistenza.

    Il già noto e promettente docente di Besançon non esito a mettersi a capo dli combattivi organismi del laicato cattolico, soprattutto per difendere la "scuola libera " , quella delle congregazioni religiose, contro il monopolio statale che, manu militari , sopprimeva gli istituti confessionali. Giurard pose al servizio dell'opposizione cattolica non solo il suo talento di organizzatore, singolare per un intellettuale del suo livello, ma anche la sua preparazione scientifica, coordinando tra l'altro la redazione di manuali per i vari gradi scolastici che, sotto il titolo di Historie partiale, Histoire vraie, cercavano di ristabilire la verità gravemente travisata, a proposito della storia della Chiesa nei testi ufficiali imposti a tutti i giovani dal monopoIio statale della Repubblica.

    Questa sua lotta gli costerà la carriera universitaria, già messa in pericolo dal taglio giudicato "intollerabilmente cattolico" delle opere, pur rigorosamente scientifiche, pubblicate nel frattempo sui temi di storia religiosa medioevale di cui era specialista.

    Dopo vari ammonimenti e il congelamento sia di avanzamenti che di trasferimenti in sedi più prestigiose, nel 1913 lo stesso ministro dell'Educazione Nazionale gli indirizzava pubblicamente - cosa del tutto inconsueta, sino ad allora, in una Francia che si diceva "maestra di libertà" - una "disapprovazione ufficiale ". Come non mancò di notare lo stesso Guirard, della cultura che della "leggenda nera " sull'Inquisizione cattolica aveva fatto un suo cavallo di battaglia, giungeva un provvedimento di censura delle idee e di repressione di atteggiamenti non in linea con i dogmi ufficiali. Poco dopo, si poneva in congedo dall'insegnamento universitario, e più tardi chiedeva (e naturalmente lo otteneva) la pensione anticipata. Un destino di persecuzione, il suo, che lo accomuna a molti altri, tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e il primo Novecento. Si pensi, per fare un esempio italiano, a quel Francesco Faà di Bruno proclamato beato nel 1988 nel centenario della morte, cui l'Università di Torino negò sempre una cattedra, malgrado i meriti scientifici riconosciuti anche all'estero e le benemerenze di patriota: sua sola colpa, la fedeltà alla Chiesa.

    Costretto a scendere dalla cattedra, Guirard continuò il suo impegno a servizio di una verità cui aderiva interamente nelle redazioni dei giornali; in effetti divenne redattore capo dell'allora battagliero quotidiano cattolico La Croix. Qui conserverà incarichi direttivi sino all'inizio della seconda guerra mondiale, nell'autunno del 1939. A 73 anni ritornerà completamente, ancora una volta con piglio giovanile, a quei suoi studi storici di livello accademico che peraltro non aveva affatto abbandonato nel periodo giornalistico. Accanto ad altre pubblicazioni, Guirard aveva portato avanti il lavoro, iniziato sin dalla giovinezza, negli archivi italiani per una monumentale Storia generale dell'Inquisizione nel Medioevo: uno studio a cui lo portava quasi naturalmente, fra l'altro, l'essere nato e vissuto nelle terre che avevano visto quel dramma cataro che è all'origine della reazione inquisitoriale. Erano apparsi due tomi, forse i meno significativi perché di inquadramento generale del problema, quando un bombardamento, nel 1940, distruggeva sia il materiale documentario accumulato sia. le stesure già avanzate delle altre parti, quelle decisive, della grande opera. A Guiraud restavano altri tredici anni, ma l'età ormai avanzata, l'occupazione tedesca, il caotico dopoguerra gli impedirono di ricostruire quel lavoro di decenni sepolto sotto le bombe.

    Come ha scritto non molto tempo fa un prestigioso specialista, Yves Dossat, "ben pochi storici hanno avuto una così grande capacità di lavoro, ben pochi hanno dato una produzione così importante. Malgrado l'ovvio procedere degli studi, i lavori di Jean-Baptiste Guiraud conservano la loro importanza: è ben difficile studiare numerose questioni di storia religiosa medioevale senza consultare ancor oggi, e attentamente, le sue opere"; concludendo con la constatazione: "Ci ha lasciato un'opera storica di prim'ordine. Ma oltre a questi libri, ci ha lasciato un esempio di coraggio e di amore della verità". Guiraud fu tra l'altro fra i collaboratori di una delle opere più impegnative del contrastato ma - forse proprio per questo - vivissimo cattolicesimo francese dei primi decenni di questo secolo. Si tratta dei quattro volumi, più uno di indici, editi dal parigino Beauchesne sotto la direzione del grande teologo gesuita Ademaro D'Alès, del Dictionnaire apologétique de la foi carbolique: quasi diecimila pagine che, in formato grande e in corpo piccolo, contengono una massa impressionante di notizie, presentate dai nomi migliori della cultura cattolica. Una miniera che, malgrado il tempo trascorso e il cambiamento di clima nella Chiesa, sembra ben lungi dall'essere esaurita. Lo testimonia tra l'altro il fatto che quei volumi, esauriti da gran tempo, sono attivamente ricercati sul mercato delle opere non più in commercio, e una qualche loro rara apparizione sui cataloghi specializzati si risolve in una sorta di gara fra studiosi privati e direttori di biblioteche per assicurarseli. Con un pizzico di malizia è stato più volte notato che molto del materiale di questo grande Dictionnaire sta dietro a non poche pubblicazioni cattoliche anche contemporanee, pur se i "saccheggiatori" non osano citare un'opera che il gusto comune oggi vorrebbe squalificare come "apologetica". Quello in effetti - e con onestà dichiarato esplicitamente già dal titolo - fu il taglio propostosi dai curatori, ma senza mai perdere di vista le ragioni della scienza e della verità. Così fece anche - e non poteva essere altrimenti, visto il pedigree di studioso - Jean-Baptiste Guiraud nelle voci da lui firmate, e in particolare in quella dal titolo Inquisition* tema su cui era già allora tra i massimi studiosi viventi. Da questa voce ricavò - pubblicandolo nel 1929 nella prestigiosa collezione La Vie Chrétienne - un volume dal titolo, ovviamente, L'Inquisition médiévale, che fu tradotta in molte lingue (da noi, nel 1933, dalle Edizioni del Corbaccio) e che ebbe un grande impatto soprattutto negli Stati Uniti, nella versione inglese. Si tratta di una sintesi che, assieme alle sue opere più ponderose, esplicitamente scientifiche, è tuttora citata anche nelle bibliografie divulgative e la cui funzione non è ancora esaurita, visto che l'ultima ristampa francese (presso Tallandier) è del 1978.

    Non aveva invece mai avuto traduzione da noi la voce - pur famosa e molto usata, anche se talvolta in quel modo un po' "occulto" che dicevamo - del Dictonnaire apologétiqtie. Ora l'editore ha pensato (e giustamente, a nostro avviso) di mettere a disposizione un testo accessibile soltanto ai frequentatori di biblioteche specializzate, e che è stato invece pensato e scritto per il pubblico più largo, con intenzioni quasi da "pronto soccorso", da materiale di "primo impiego".

    In effetti, forse ancor più che nel libro che ne trarrà alcuni anni più tardi, l'intenzione di Guiraud è qui divulgativa, informativa: una ricostruzione dei fatti - semplice quanto rigorosa - nel presupposto che per il cattolico non c'è altra "apologetica" possibile che testimoniare per la verità e sottoporre a verifica le idées reçues. Una chiarificazione, questa, particolarmente importante riguardo al nostro tema, che è tra i principali della "leggenda nera" anticattolica creata prima dalla polemica protestante e poi rilanciata e radicalizzata dall'illuminismo settecentesco, e via via da tutti gli anticlericalismi moderni sino a noi. Non a caso, riassumendo una situazione che perdura ormai da un paio di secoli, refrattaria a ogni tentativo di confutazione (anche se, Occorre riconoscere, negli ultimissimi tempi qualcosa sembra cambiare: anche qui un sano e fondato "revisionismo" conquista soprattutto i giovani studiosi>, un libro recente l'argomento inizia così: "Santa Inquisizione ... Quando si pronunciano queste parole, un brivido di orrore corre lungo le schiene dei benpensanti: giudici incappucciati, fanatici e feroci, orride prigioni, atroci torture, roghi da cui s'innalzano le ultime grida disperate di vittime innocenti vengono evocati da questo nome esecrato. Quando lo sentono pronunciare in occasione di qualche discussione, i cattolici arrossiscono e tentano di cambiare discorso".

    Ebbene, il proposito di Guiraud era netto e vigoroso: aiutare i cattolici non a "cambiare", ma ad "affrontare" il discorso.

    Intendiamoci: c'è una certa, seppure comprensibile, forzatura nella scelta editoriale del titolo. Guiraud è uno storico vero, dunque sa come la vicenda umana - quella della Chiesa istituzionale e dei suoi uomini non esclusa - sia sempre, al contempo, in bianco e nero. Dunque, il suo non è tanto un rischioso "elogio dell'Inquisizione", ma un onesto quanto esplicito aiuto alla "comprensione": un capire "come andò davvero". E spesso non andò affatto come tanti raccontavano ai suoi tempi e raccontano ancora (magari, ed è la sconcertante novità di questo tempo ecclesiale, in qualche ambiente cattolico, e non dei più sprovveduti, afflitto da singolare masochismo che scambia il mitico "dialogo" per l'accettazione acritica di ogni accusa infamante alla Chiesa storica).

    Secondo la partizione classica, come si sa, tre furono le Inquisizionì: quella medioevale, dal XII al XVI secolo, presente in tutti i paesi cristiani, a eccezione di Inghilterra, Irlanda e Scandinavia; quella spagnola, instaurata nel 1478 su richiesta dei reali Ferdinando e Isabella (e fu la più longeva, essendo stata abolita ufficialmente solo nel 1834); infine quella romana, istituita da Paolo III nel 1452, che, almeno formalmente, funzionò m Italia (eccetto la Sicilia) fino alla metà del Settecento.

    In queste pagine Guiraud si occupa soltanto della prima Inquisizione, quella medioevale, che è poi quella che più ha solleticato l'ìmmaginario popolare e la fantasia del romanzo noir (come ha confermato, ancora una volta il fenomeno editoriale dell'echiano Il nome della rosa, dove un truculento protagonista è quel Bernardo Gui che nelle pagine che qui seguono puntualmente ritroviamo; e con i suoi panni veri, che mal corrispondono alla trasfigurazione letteraria).

    Ciò che, soprattutto, importa mettere in chiaro è che, proponendo queste pagine, il curatore non ha voluto praticare una sorta di operazione di "recupero archeologico"; non ha inteso mettere a disposizione un testo che magari fu pregevole ma che è ora ormai inservibile, se non per rari storici dell'apologia cattolica. Naturalmente la ricerca è molto avanzata, ma la massa dei materiali "in più" di cui ora disponiamo, e che non erano accessibili a Guiraud, non sembrano avere tolto validità al suo modo di affrontare l'argomento. Di "dettagli" oggi è possibile aggiungerne a iosa, ma probabilmente non modificano in profondo il taglio dato qui, l'andamento generale, l'architettura di questa decisa quanto pacata replica "cattolica". Che poi cattolica non vuole essere e non è' visto che i fatti messi in fila da queste pagine non hanno parte né colore: sono quelli che risultano dai documenti, hanno un'oggettività inconfutabile anche per gli storici di oggi. I quali, semmai, potrebbero aggiungere molti altri elementi a difesa più che a confutazione di Guiraud. Per scegliere un esempio fra mille, basti ricordare quanto osservava qualche tempo fa il medievista Adriano Prosperi in uno studio dal titolo significativo (L'Inquisizione: verso una nuova immagine?): fino a tempi recenti non sono mancati, cioè, gli studiosi che hanno inteso "la condanna al carcere perpetuo - condanna leggera, perché significava in genere un triennio di prigionia e non di più - come un imprigionamento a vita"

    Insomma, chi voglia almeno cominciare a capire "che cosa, e perché, è successo" in quei secoli, troverà qui un punto di partenza che a noi (pur lettori attenti e grati, s'intende, alla bibliografia successiva) non sembra aver perso la sua validità. Un punto di partenza, tra l'altro, in un linguaggio chiaro, vigoroso, divulgativo ma fondato sempre sulla ricerca in biblioteca o in archivio. Un inizio onesto, dunque, e - nei limiti in cui dicevamo - ancora attuale; una salutare provocazione contro i luoghi comuni, per proseguire una ricerca per la quale sarà d'aiuto l'aggiornatissima e abbondante bibliografia data, alla fine del volume, da specialisti contemporanei.

    La ricerca personale aggiungerà, ovviamente, molti altri tasselli; ma crediamo che sia possibile farlo entro l'intelaiatura generale dataci dal "vecchio" Guiraud, cattolico a visiera alzata, che pagò di persona per le sue convinzioni, eppure lontano - da quello storico vero che era - da ogni doppia verità, da ogni forzatura di apologeta fazioso. Un credente autentico ma anche uno studioso rispettato. Dunque, consapevole sempre che, come fu detto da Leone XIII nel 1884, all'apertura dell'Archivio Vaticano (detto "segreto" non tanto perché "inaccessibile" ma perché "privato", sino ad allora a servizio innanzitutto della Santa Sede) ai ricercatori di ogni credo o incredulità: "Né Dio, né la Chiesa, hanno bisogno delle nostre bugie; ciò che occorre non è che la verità, presupposto (parola di Vangelo) di ogni libertà".



    --------------------------------------------------------------------------------

    * Dictionnaire apologétique de la foi catholique, contenant les preuves de la vérité de la réligion et les réponses aux oblections tirées des sciences humaines, diretto da A. D'Alès, ed. Beauchesne, Parigi, 1911-1931, voce Inquisition, t. II, pp. 823 ss.

    Tratto da Elogio della Inquisizione, Leonardo Editore, Milano, 1994, pp. 5-12.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  4. #4
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    L’inquisizione spagnola (*)

    di Francesco Pappalardo

    1. Le origini

    Lo storico napoletano Giuseppe Galasso, prendendo spunto dalla polemica sulle presunte "colpe" della Spagna nel Mezzogiorno d'Italia, denuncia la "leggenda nera" antispagnola, da sempre "[...] permeata di elementi ideologici che hanno fatto fortemente premio non solo sulla ragione storica, ma pressoché su ogni altra ragione. La Spagna baluardo della "reazione cattolica", di un "assolutismo" oppressivo o totalitario, di dominazioni distruttive su popoli e paesi, di irrazionalismo e sfruttamenti economici di ogni genere, di autentici genocidi di popoli e di civiltà, insomma vero e proprio "impero del male", di cui l'"Inquisizione spagnola" era il simbolo più eloquente".

    Proprio sull'Inquisizione spagnola la storiografia, grazie ad approfondite ricerche d'archivio e a un atteggiamento meno prevenuto degli studiosi, sta pervenendo a risultati più equilibrati e più obbiettivi. È significativa la vicenda dello storico inglese Henry Arthur Francis Kamen, di formazione marxista, che nella prima edizione del suo studio L'Inquisizione spagnola - l'unica tradotta in italiano - indicava nei tribunali inquisitoriali la causa principale di un presunto ritardo culturale del paese iberico, mentre nell'edizione più recente sostiene che la Spagna di quel tempo "[...] era una delle nazioni europee più libere".

    Dall'analisi di Kamen emerge che l'Inquisizione è stata espressione del passaggio da una società contraddistinta dalla convivenza fra le diverse comunità religiose a un'altra sempre più contrassegnata da conflitti, e che essa fu la risposta della Chiesa e della Cristianità alla minaccia rappresentata dall'eresia e, successivamente, in Spagna, dalle false conversioni di ebrei e di musulmani.

    Anche Jean Dumont, storico francese specializzato in ispanistica, ritiene che il punto di partenza corretto per parlare dell'Inquisizione spagnola stia nel mettere a fuoco la questione ebraica in Spagna. Nei regni della penisola iberica gli ebrei, molto numerosi, erano soggetti da secoli a uno statuto, non scritto, di tolleranza e godevano di una particolare protezione da parte dei sovrani. Invece, i rapporti a livello popolare fra ebrei e cristiani erano più difficili, soprattutto perché era consentito ai primi non soltanto di tenere aperte le botteghe in occasione delle festività religiose, che a quell'epoca erano molto numerose, ma anche di effettuare prestiti a interesse, in un'epoca in cui il denaro non veniva ancora considerato un mezzo per ottenere ricchezza. La situazione era complicata dalla presenza di numerosi conversos, cioè di ebrei convertiti al cattolicesimo, che dominavano l'economia e la cultura e rivestivano anche cariche ecclesiastiche. In alcuni casi evidenti, gruppi di conversos mostravano che la loro adesione alla fede cattolica era puramente formale e celebravano in pubblico riti inequivocabilmente giudaici. A partire dal 1391 nei regni spagnoli esplodono episodi di violenza popolare contro ebrei e falsi convertiti, che le autorità arginano con difficoltà. Quando Isabella di Castiglia (1451-1504) sale al trono, nel 1474, la convivenza fra ebrei e cristiani è molto deteriorata e il problema dei falsi convertiti è tale che, secondo l'autorevole storico della Chiesa Ludwig von Pastor (1854-1928), era in questione l'esistenza o la non esistenza della Spagna cristiana. In quella situazione si moltiplicano le richieste, provenienti anche da autorevoli conversos, in favore dell'istituzione dell'Inquisizione.

    La Castiglia non aveva mai avuto un organismo che si occupasse specificamente dell'eresia, perché era stata ritenuta sufficiente l'attività dei tribunali ecclesiastici, dipendenti dai vescovi. Invece, l'Inquisizione era stata operante nei domini della corona aragonese dal 1238, ma era del tutto inattiva dal secolo XV. Su sollecitazione di Isabella di Castiglia e del marito Ferdinando d'Aragona (1452-1516) - che avevano promosso invano una campagna pacifica di persuasione nei confronti dei giudaizzanti - il 1° novembre 1478 Papa Sisto IV (1471-1484) istituisce l'Inquisizione in Castiglia e autorizza i Re Cattolici a nominare nei loro Stati alcuni inquisitori di fiducia con giurisdizione esclusivamente sui cristiani battezzati. Pertanto, nessun ebreo è stato mai condannato perché tale, mentre sono stati condannati quanti si fingevano cattolici per ricavarne vantaggi.

    2. La procedura e le pene

    L'attività del nuovo organismo si fonda sulla copiosa legislazione elaborata dai canonisti medievali e riprende, salvo qualche lieve differenza, l'organizzazione, la procedura e la progressione delle pene della prima Inquisizione. Tuttavia, i poteri di nomina e di rimozione degli inquisitori erano concessi alla Corona tramite la figura di un intermediario, l'inquisitore generale, assistito dal Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione.

    L'azione dei primi inquisitori a Siviglia è molto rigorosa ed esercitata, talvolta, al di fuori delle garanzie canoniche, così che la Santa Sede ritiene opportuno intervenire per nominare l'inquisitore generale nella persona del domenicano Tomas de Torquemada (1420-1498), confessore della regina Isabella, sul quale una letteratura di propaganda ha diffuso grandi menzogne. Uomo di costumi integerrimi, nonché uno dei maggiori mecenati e protettori di artisti della sua epoca, Torquemada fu, invece, un inquisitore generale relativamente mite e liberale e s'impegnò per ottenere ampie amnistie, come quella del 1484.

    Lo storico francese Bartolomé Bennassar, confrontando i tribunali inquisitoriali con le corti civili dell'epoca, descrive l'Inquisizione spagnola in questi termini: "Senza alcun dubbio più efficace. Ma anche più esatta, più scrupolosa [...]. Una giustizia che esamina attentamente le testimonianze, che le sottopone a uno scrupoloso controllo, che accetta liberamente la ricusazione da parte degli accusati dei testimoni sospetti (e spesso per i motivi più insignificanti); una giustizia che tortura raramente e che rispetta le norme legali, contrariamente ad alcune giurisdizioni civili [...]. Una giustizia preoccupata di educare, di spiegare all'accusato perché ha errato, che ammonisce e consiglia, le cui condanne a morte colpiscono solo i recidivi".

    Lo studioso danese Gustav Henningsen, dopo aver analizzato statisticamente circa quarantamila casi di inquisiti fra il 1540 e il 1700, rileva che soltanto l'1% di essi fu giustiziato. Lo storico statunitense Edward Peters conferma questi dati: "La valutazione più attendibile è che, tra il 1550 e il 1800, in Spagna vennero emesse 3000 sentenze di morte secondo verdetto inquisitoriale, un numero molto inferiore a quello degli analoghi tribunali secolari".

    3. Indulgenza verso la stregoneria

    La relativa mitezza dei tribunali inquisitoriali emerge anche dall'atteggiamento tollerante tenuto nei confronti della stregoneria, proprio nel periodo in cui dilagava in Europa la fobia antistregonica, legata direttamente alla diffusione dell'occultismo e del pensiero magico nel Rinascimento e alla psicosi del demoniaco, indotta dalla Pseudo-Riforma protestante. È ormai certo che in Spagna fu proprio l'Inquisizione - dopo una prima incontrollata diffusione di timori popolari e di repressione statale - a impedire lo sviluppo di una vera e propria caccia alle streghe, così come è poco noto che a Roma l'Inquisizione fece giustiziare per stregoneria una sola persona, nel 1424. È significativo, inoltre, che furono i principi più legati ai valori cavallereschi e feudali ad attestarsi su posizioni di moderazione e di scetticismo verso i supposti poteri delle streghe, mentre la parte più "progressista" della cultura ufficiale sposò la causa dell'intolleranza e della persecuzione in nome del progresso della ragione. Da parte loro, i Pontefici raccomandarono sempre agli inquisitori di limitare il loro interesse per gli stregoni ai soli casi in cui fossero presenti elementi sacrileghi o idolatrici, cioè quando, alla superstizione, potessero essere attribuiti con evidenza i caratteri dell'eresia.

    L'Inquisizione spagnola interviene per la prima volta nel 1526, a seguito della persecuzione scatenata dalla popolazione di Navarra negli anni precedenti; la maggioranza degli inquisitori si pronuncia a favore di una politica di clemenza, sollecitando inoltre l'invio di predicatori per istruire i superstiziosi. La successiva ondata contro le streghe si verifica nel 1610, ancora in Navarra. L'emozione suscitata dal dilagare dei fenomeni attribuiti alla magia investe perfino gli inquisitori di Logrono, ma interviene il Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione, annullando tutte le sentenze e consigliando maggiori precauzioni nel prosieguo delle indagini.

    4. Popolarità dell'Inquisizione

    Il ruolo svolto dall'Inquisizione spagnola, che godette sempre di grande popolarità, è decisivo non soltanto per preservare il paese da quella sanguinosa fobia di massa costituita dalla caccia alle streghe, ma anche e soprattutto per assicurare la pace sociale e religiosa alla Spagna. Infatti quel tribunale, colpendo una percentuale ridotta di conversos e di moriscos, cioè musulmani diventati cristiani solo per opportunismo, certifica che tutti gli altri erano veri convertiti, che nessuno aveva il diritto di discriminare o di attaccare con la violenza, ed evita un bagno di sangue. Inoltre, contribuendo alla repressione dell'eresia e sostenendo l'operato della Contro-Riforma, svolge una preziosa azione educativa sul basso clero e il resto della popolazione, confortandone la fede e la morale. Non può essere sottovalutata la portata di tale impresa, che costituisce una nazione spiritualmente compatta di fronte alla Francia lacerata dalle guerre di religione, all'Inghilterra sulla strada dell'eresia e al sultano difensore del mondo islamico. Inoltre, l'Inquisizione non ostacola mai le grandi imprese culturali dei secoli XVI e XVII; anzi, ripiegandosi su sé stessa, la Spagna giunge in quegli anni al culmine del suo splendore. Personaggi come il giurista Francisco de Vitoria (1492-1546), i teologi Domenico de Soto (1495-1560), Melchor Cano (1509-1560) e Francisco Suarez (1548-1617), i drammaturghi Felix Lope de Vega (1562-1635) e Pedro Calderón de la Barca (1600-1681), il romanziere Miguel de Cervantes (1547-1616), i pittori El Greco (1545-1614), Bartolomé Murillo (1617-1682) e Diego Velázquez (1599-1660) dominano la cultura europea e danno vita al cosiddetto siglo de oro spagnolo. Anche la vita religiosa conosce la sua epoca aurea, attraverso le figure di sant'Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, di san Giovanni di Dio (1495-1550), fondatore dell'Ordine degli Ospedalieri, dei mistici santa Teresa d'Avila (1515-1582) e san Giovanni della Croce (1542-1591), riformatori dell'ordine carmelitano, del francescano san Pietro di Alcantara (1499-1562) e del gesuita san Francesco Borgia (1510-1572).

    Pertanto, non fu un'impresa facile sopprimere l'Inquisizione. Soltanto con la diffusione dell'illuminismo e con la laicizzazione della monarchia, con l'invasione napoleonica e con la propaganda liberale si perviene alle soppressioni del 1813 e del 1834, che suscitano l'opposizione degli spagnoli di tutti i ceti, per i quali l'Inquisizione era il simbolo di quanto costituiva l'identità del paese, cioè la fedeltà incondizionata al cattolicesimo.



    --------------------------------------------------------------------------------


    Per approfondire: vedi Henry Kamen, L'Inquisizione spagnola, trad. it., Feltrinelli, Milano 1973; e Bartolomé Benassar, Storia dell'Inquisizione spagnola dal XV al XIX secolo, trad. it., Rizzoli, Milano 1985; vedi pure, sinteticamente, Jean Dumont, L'Inquisizione fra miti e interpretazioni, intervista a cura di Massimo Introvigne, in Cristianità, anno XIV, n. 131, marzo 1986, pp. 11-13; vedi elementi molto utili nelle Integrazioni bibliografiche - redatte da Marco Invernizzi e da Oscar Sanguinetti - in appendice a Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953), Elogio della Inquisizione, trad. it., Leonardo, Milano 1994; una ricostruzione dell'opera e della figura di Isabella di Castiglia, in Joseph Perez, Isabella e Ferdinando, trad. it., SEI, Torino 1991, che si sofferma su La Spagna inquisitoriale, pp. 267-318; il rapporto dell'Inquisizione cattolica con la stregoneria, in Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell'Italia della Controriforma, Sansoni, Firenze 1990; e in Gustav Henningsen, L'avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, trad. it., Garzanti, Milano 1990.


    --------------------------------------------------------------------------------

    (*) G. Cantoni (a cura di), Voci per un "Dizionario del pensiero forte", Cristianità, Piacenza 1997, pp. 137-42
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  5. #5
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    L’inquisizione medioevale (*)

    di Francesco Pappalardo

    1. Le origini

    È opinione comune che il tribunale dell'Inquisizione sia stato lo strumento ordinario utilizzato dalla Chiesa cattolica per combattere l'eresia. In realtà, garantire l'ortodossia è compito anzitutto dell'episcopato, cui spetta non solo insegnare le verità della fede, ma anche difenderle contro quanti le insidiano; inoltre, soltanto entro certi limiti è corretto parlare di un tribunale inquisitoriale. Infine, occorre specificare che lo stesso nome spetta sia all'istituzione sorta nel secolo XIII, la cosiddetta Inquisizione medioevale, sia all'Inquisizione spagnola, creata da Papa Sisto IV (1471-1484), nel 1478, su sollecitazione della regina Isabella di Castiglia (1451-1504) e di re Ferdinando d'Aragona (1452-1516), sia alla Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione, istituita da Papa Paolo III (1534-1549) nel 1542. L'Inquisizione nasce verso la fine del Medioevo propriamente detto come risposta della Chiesa agli eccessi di movimenti ereticali, che non si limitavano a propugnare deviazioni di contenuto esclusivamente teologico - contrastati fino ad allora sul piano dottrinale e solo con mezzi spirituali -, ma insidiavano mortalmente la società civile. La ferma riprovazione dei civili contro le vessazioni degli eretici costringe le autorità ecclesiastiche a intervenire, anzitutto per controllare e per frenare una reazione nata dal popolo e gestita, non sempre con il necessario discernimento, dai tribunali laici, che si illudevano di risolvere il problema inviando con disinvoltura gli eretici al rogo. Oggi è difficile immaginare il profondo malessere suscitato nella Cristianità dalla diffusione del catarismo, che, sotto il fascino esercitato dall'apparente austerità di vita dei suoi proseliti, nascondeva un'ideologia sovversiva. Il pericolo era rappresentato soprattutto dalla condanna del mondo materiale, che implicava il divieto assoluto di procreare e, come culmine della perfezione, il suicidio rituale, e dal rifiuto di prestare giuramento, che comportava il dissolvimento del legame feudale, uno dei capisaldi della società medievale. Dunque, considerata l'omogeneità religiosa della società del tempo, l'eresia costituiva un attentato non solo all'ortodossia ma anche all'ordine sociale e politico. Lo storico protestante Henry Charles Lea (1825-1909), pur poco benevolo nei confronti dell'Inquisizione, scrive che, in quei tempi, "[...] la causa dell'ortodossia non era altro che la causa della civiltà e del progresso". L'autorità temporale e quella spirituale, dopo aver agito a lungo separatamente - la prima con i suoi tribunali, l'impiccagione e il rogo, la seconda con la scomunica e le censure ecclesiastiche - finiscono per unire i loro sforzi in un'azione comune contro l'eresia. L'Inquisizione medioevale, dunque, è definita dallo storico francese Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953), come "[...] un sistema di misure repressive, le une di ordine spirituale, le altre di ordine temporale, emanate simultaneamente dall'autorità ecclesiastica e dal potere civile per la difesa dell'ortodossia religiosa e dell'ordine sociale, ugualmente minacciati dalle dottrine teologiche e sociali dell'eresia". Le tappe attraverso cui prende corpo il nuovo organismo sono la costituzione Ad abolendam di Papa Lucio III (1181-1185), del 1184, che obbliga tutti i vescovi a visitare due volte l'anno le loro diocesi alla ricerca, inquisitio, degli eretici; l'istituzione della cosiddetta Inquisizione "legatina" da parte di Papa Innocenzo III (1198-1216), che invia i monaci dell'ordine cistercense a predicare nei paesi più colpiti e a disputare pubblicamente con gli eretici, la costituzione Excommunicamus di Papa Gregorio IX (1227-1247), del 1231, con cui sono nominati i primi inquisitori permanenti, scelti in preferenza fra i domenicani e i francescani. La qualità costitutiva del nuovo organismo non era nella natura del delitto o in quella della pena e neppure nella procedura, ma nella figura del giudice delegato in materia ecclesiastica criminale. Non si provvede, pertanto, all'istituzione di un tribunale speciale per una determinata categoria di reati o di rei - in questo senso, per tutto il Medioevo, un tribunale dell'Inquisizione non è mai esistito -, ma alla nomina di un giudice straordinario, la cui competenza si affianca a quella del giudice ordinario, il vescovo. Va ricordato, infine, che gli inquisitori erano competenti a giudicare solo i battezzati e che, dunque, gli ebrei e i musulmani non ricadevano sotto la loro giurisdizione.

    2. La procedura

    L'Inquisizione, grazie alla prescrizione, sempre rispettata, di mettere per iscritto le fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze, è una delle prime istituzioni del passato su cui è disponibile una quantità di dati tale da rendere impossibile ogni travisamento storico, sia relativamente all'organizzazione sia alla prassi adottata. Infatti, gli studiosi che negli ultimi anni hanno cominciato a esplorare l'imponente documentazione archivistica, si sono trovati, con stupore, al cospetto di tribunali dotati di regole eque e di procedure non arbitrarie, di corti giudiziarie pronte a sconsigliare l'uso della tortura o a scoraggiare denunce infondate e delazioni, di organismi molto più miti e indulgenti dei tribunali civili del tempo. Inoltre, sebbene certa propaganda insista sul carattere ideologico e totalitario dell'Inquisizione, è sempre più evidente l'abisso esistente fra i metodi propri di questa istituzione e i sistemi di controllo delle persone e di manipolazione delle coscienze messi in atto negli Stati moderni. E falsa è l'immagine dell'inquisitore feroce e ignorante: gli inquisitori erano, in genere, persone dotte, oneste e di costumi irreprensibili, poco inclini a decidere in fretta e arbitrariamente la sorte dell'imputato, volti invece ad accordare il perdono al reo e a farlo rientrare in seno alla Chiesa. L'Inquisizione del secolo XIV inventa la giuria, consilium che consente all'imputato di essere giudicato da un collegio numeroso, e altri istituti in favore del condannato, come la semilibertà, la licenza per buona condotta e gli sconti di pena. Falsa è anche l'affermazione secondo cui si faceva un uso generalizzato e indiscriminato della tortura, cui gli inquisitori del secolo XIV, a differenza dei giudici civili, ricorrevano raramente e nel rispetto di regole molto severe. L'immaginario secondo cui i tribunali inquisitoriali erano teatro di raffinatissime scene di crudeltà, di modi ingegnosi di infliggere l'agonia e di un'insistenza criminale nell'estorcere le confessioni, è l'esito della propaganda degli scrittori a sensazione, che hanno sfruttato la credulità di molti. Falsa, infine, è l'immagine dell'Inquisizione come tribunale sanguinario. Infatti, lo spoglio statistico delle sentenze, da cui si ricava la bassa percentuale delle condanne, soprattutto di quelle alla pena capitale, ha ormai dimostrato l'infondatezza di questa tesi. L'Inquisizione perseguiva lo scopo di correggere e di riavvicinare l'eretico alla fede; a questo scopo gli inquisitori imponevano penitenze di ordine spirituale, che davano al reo la possibilità di emendarsi, attenuavano le pene più gravi quando ravvisavano in lui indizi di ravvedimento e abbandonavano al braccio secolare, cioè alla morte, i recidivi che, essendo tornati ai loro errori, facevano perdere ogni fiducia nella loro conversione e nella loro sincerità. La pena capitale non trovava esecuzione rigorosa presso l'Inquisizione e la sentenza era spesso modificata, in netto contrasto con l'immancabile esecuzione del colpevole da parte dei tribunali secolari e con la crudeltà degli organismi inquisitoriali nei paesi protestanti. Dall'esame degli archivi risulta, per esempio, che nella seconda metà del secolo XIII gli inquisitori di Tolosa pronunciarono condanne a morte nella misura dell'1% delle sentenze emesse. Inoltre, gli studiosi hanno completato lo spoglio dei processi inquisitoriali di Bernard Gui (?-1331) - il domenicano calunniato nel romanzo Il nome della rosa, di Umberto Eco, del 1980, e nel film omonimo del regista Jean-Jacques Annaud, del 1986 - constatando che su novecentotrenta imputati solo quarantadue furono rimessi al braccio secolare, mentre centotrentanove vennero assolti e gli altri condannati a pene minori, spesso di straordinaria mitezza. Raggiunti i suoi scopi con la distruzione dell'eresia, l'Inquisizione medievale declina ovunque lentamente e, sottoposta sempre più al controllo del potere secolare, scompare da sola, in epoche diverse. La svolta più significativa è compiuta dalla monarchia francese, che sottrae gradualmente agli inquisitori la competenza in materia d'eresia e l'affida ai tribunali reali e al parlamento; durante il grande scisma d'Occidente, anche la facoltà teologica dell'università di Parigi rivendica l'esame e il giudizio sui delitti di eresia. Così, l'Inquisizione in Francia diventa una sigla di cui si appropria il potere politico e su cui la Chiesa non ha più potestà. I tribunali che processano i templari nel 1307 e santa Giovanna d'Arco (1412-1431) non rappresentano più la vera Inquisizione, ma sono espressione del potere "laico".

    3. L'Inquisizione romana

    Nel secolo XVI, di fronte al pericolo rappresentato dalle nuove eresie di Martin Lutero (1483-1546) e di Giovanni Calvino (1509-1564), che devastavano le più fiorenti comunità cristiane d'Europa, la Chiesa cattolica deve intervenire ancora una volta con energia, dopo aver sperimentato invano un atteggiamento conciliante. Il 21 luglio 1542, con la bolla Licet ab initio, Papa Paolo III (1534-1549) riorganizza il sistema inquisitoriale medioevale e istituisce la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione o Sant'Uffizio. In sostanza, l'autorità dell'Inquisizione romana è limitata agli Stati della penisola italiana, dove ha costituito un bastione invalicabile contro ogni deviazione dottrinale e ha difeso il patrimonio spirituale del popolo italiano, contribuendo alla vittoria della Contro-Riforma sull'Umanesimo, sul Rinascimento e sulla Pseudo-Riforma protestante. La storia di questa istituzione non è stata ancora studiata in modo adeguato. Infatti, il carattere anticattolico dell'unificazione dell'Italia ha ridato fiato alla polemica illuminista e alla propaganda protestante, che dipingevano questo organismo come simbolo dell'oscurantismo, conferendo un carattere ideologico alla ricostruzione storica. Uno studio rigoroso delle fonti documentarie avrebbe contribuito non poco a sfatare i luoghi comuni sull'Inquisizione romana. Lo storico Luigi Firpo, esponente di rilievo della cultura laicista, uno dei pochi studiosi che ha avuto accesso anche ai documenti riservati del Sant'Uffizio, intervistato dallo scrittore Vittorio Messori, si è espresso così: "Sono sicuro che l'apertura di quell'archivio, sinora assai limitata anche per esigenze organizzative, gioverebbe molto all'immagine della Chiesa [...]. Aprendo a tutti gli studiosi quelle carte, cadrebbero altri pezzi dell'abusiva leggenda nera che circonda l'Inquisizione". Riorganizzata da Papa san Pio X (1903-1914) con la costituzione Sapienti consilio, del 29 giugno 1908, la vecchia Inquisizione è stata riformata da Papa Paolo VI (1963-1978) con il motu proprio Integrae servandae, del 7 dicembre 1965, che ne ha anche mutato il nome in Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede. La riforma ha modificato le procedure del Sant'Ufficio, ma ne ha confermato il compito primario: "tutelare la dottrina riguardante la fede e i costumi di tutto il mondo cattolico" (n. 29), soprattutto mediante la promozione della sana dottrina.



    --------------------------------------------------------------------------------


    Per approfondire: vedi un'introduzione, in Leo Moulin (1906-1996), L'Inquisizione sotto inquisizione, trad. it., a cura dell'Associazione Culturale ICARO, Cagliari 1992; i risultati della rinnovata ricerca storica - poco noti al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori -, in Brian van Hove S.J., Oltre il mito dell'Inquisizione, in La Civiltà Cattolica, anno 143, n. 3419, 5-12-1992, pp. 458-467; e n. 3420, 19-12-1992, pp. 578-588; vedi pure la voce Inquisition, scritta da Jean-Baptiste Guiraud per il Dictionnaire apologétique de la foi catholique, edito fra il 1911 e il 1913, trad. it. con il titolo Elogio della Inquisizione, Leonardo, Milano 1994, a cura di Rino Cammilleri, con un invito alla lettura di Vittorio Messori e con preziose Integrazioni bibliografiche, redatte da Marco Invernizzi e da Oscar Sanguinetti, rassegna ragionata e aggiornata delle correnti storiografiche sul tema; e una sintesi nel mio Lo "scandalo dell'Inquisizione". Tra realtà storica e leggenda storiografica, AA. VV., Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, a cura di Franco Cardini, 3a ed., Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1995, pp. 353-371.


    --------------------------------------------------------------------------------

    (*) G. Cantoni (a cura di), Voci per un "Dizionario del pensiero forte", Cristianità, Piacenza 1997, pp. 131-6.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 

Discussioni Simili

  1. Risposte: 10
    Ultimo Messaggio: 31-10-22, 15:51
  2. Odessa e la leggenda nera
    Di Giò nel forum Destra Radicale
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 04-04-12, 20:55
  3. la leggenda nera contro la Spgna
    Di Princ.Citeriore (POL) nel forum Regno delle Due Sicilie
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 19-02-06, 02:48
  4. Leggenda nera sul Medioevo
    Di Caterina63 nel forum Cattolici
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 20-05-05, 13:43
  5. La leggenda nera
    Di nel forum Centrodestra Italiano
    Risposte: 12
    Ultimo Messaggio: 17-03-04, 10:39

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito