Nel rispetto del tempo concessomi tratterò solo alcuni aspetti della sanità anche perché penso di averne una conoscenza abbastanza ordinata ed è un tema che si correla bene con le analisi sulla base delle quali sono stati indicati molti degli obiettivi di principio da perseguire. Nella sanità è più chiaro che in altri settori del welfare il fatto che fra il desiderio e la possibilità di realizzarlo si inframmettono alcuni problemi di cui quello delle risorse è molto rilevante. È noto infatti che le risorse in sanità sono per definizione insufficienti perché non è possibile soddisfare pienamente una domanda di salute tendenzialmente infinita. Questa situazione costringe la dirigenza politica ad operare delle scelte, e queste scelte possono non essere coerenti con gli obiettivi di giustizia e di coesione sociale per cui ne risulterebbe scardinato il sistema di sicurezza.
Un dato oggettivo: la crisi della sanità che percepiamo oggi tenderà ad accentuarsi per l’insufficienza del finanziamento. Livia Turco ricordava opportunamente che l’Ulivo ha fatto la proposta di portare il Fondo sanitario nazionale al 7% del Prodotto Interno Lordo, finanziare un fondo per i non autosufficienti ed un fondo per l’edilizia sanitaria al Sud: si tratta di almeno 30.000 miliardi di lire. Ma c’è la disponibilità? E’ una soluzione, diciamo così, di intenzione politica perché non è possibile che nella finanza pubblica vi sia una ulteriore disponibilità di circa 30.000 miliardi di lire. Il problema non è marginale perché certamente questo atteggiamento consente di aggredire la politica del Governo ma non è oggettivamente una soluzione di governo della sanità. Se, però, il problema più acuto in questo momento della sanità – e non intendo con ciò sottovalutare l’aspetto della welfare society - è quello della dotazione finanziaria, se 150.000 miliardi di lire nel 2003 non sono sufficienti, la sinistra ha o no il problema di aumentare la dotazione finanziaria del Servizio sanitario nazionale? Se non lo fa, infatti, il sistema entra in tensione, si squilibra ed emergono soluzioni di privatizzazione del rischio di salute che sono l’opposto di quello che vuole la sinistra.
Può chiedere l’aumento delle tasse? Può non parlare di riduzione delle tasse, vista la situazione di non pochi servizi pubblici essenziali, ma certo non chiederne l’aumento. Se questo non è opportuno bisogna pensare ad altro. È stato accennato, ma ha provocato uno scontro politico, che un meccanismo di entrata di danaro nel sistema sanitario potrebbe realizzarsi a fronte di una destinazione vincolata: il fondo per i non autosufficienti. Queste persone stanno in realtà a cavallo fra sanità ed assistenza, e la mancata soluzione dei loro problemi li porterà a premere sul sistema sanitario e ne verranno così accentuati i presupposti di crisi. Credo si debba sostenere la costituzione di un fondo per l’assistenza ai non autosufficienti mediante un’assicurazione obbligatoria, regolata e garantita dallo Stato, oppure con una tassa di scopo. Per questo non ho condiviso l’attacco al ministro Sirchia quando propose l’assicurazione obbligatoria: sarebbe stato opportuno rilanciare sui meccanismi di regolazione e garanzia e sullo sgravio per i gruppi economicamente più deboli.
Intendo dire che affrontare i problemi della sanità oggi richiede l’assunzione di responsabilità politiche su aspetti basilari come la disponibilità finanziaria e se noi non lo facessimo ci precluderemmo il titolo a riformulare ed a proteggere il disegno generale di tutela della salute.
È ben spiegato in economia sanitaria che il tasso incrementale della spesa rispetto al beneficio, quando il sistema sanitario ha raggiunto livelli tecnici elevati, richiede grande investimento monetario ma con un beneficio proporzionalmente minore.
Se la sinistra non riesce a introdurre nel sistema sanitario un aumento del flusso finanziario senza creare squilibri, rispetto all’obiettivo di universalità ed uguaglianza delle prestazioni, il sistema va incontro a meccanismi di scardinamento. E se questo accade, i discorsi che noi ci facciamo sul welfare society, che certamente è un aspetto da ben considerare e perseguire, diventano oggettivamente marginali nel senso che il sistema sanitario traballerà a tal punto che non ammetterà soluzioni pur utili come questa.
Vorrei farvi una seconda osservazione: è chiarissimo che bisogna eliminare le spese non utili o poco redditizie a fronte d’altre, ma allora perché ci opponiamo alla chiusura di una parte dei troppo numerosi piccoli ospedali? E’ inequivocamente dimostrato che dove l’assistenza è stata consistentemente trasferita dall’ospedale sul territorio il deficit del Servizio sanitario nella regione o è diminuito od è scomparso. L’ospedale, non strettamente funzionale alla disponibilità di prestazioni di cura, non deve essere tenuto aperto. A questa funzionalità effettiva deve essere ispirato l’assetto del sistema ospedaliero e misurato nella distribuzione territoriale, considerato anche il sistema di comunicazioni, e nei vari livelli di eccellenza. Occorre assumere questa responsabilità non solo per motivi di bilancio ma anche perché, contrariamente a quanto a volte è diffuso nella popolazione, la sicurezza non dipende da un ospedale sotto casa ma dalla sua qualità. In questo quadro di ragionamento è chiaro che la lotta agli sprechi deve essere condotta con determinazione ed in questo contesto vanno avversate le prestazioni non adeguate agli obiettivi di cura. A quest’ultimo proposito cito un esempio per tutti: l’Azienda per i servizi sanitari regionali stima documentatamente che prestazioni fornite in ricovero ordinario invece che, come sarebbe opportuno, in day-hospital comporti una spesa di 1.000 miliardi di lire in più ogni anno.
Questa considerazione mi porta ad un’ultima osservazione: se abbiamo il problema di impiegare proficuamente la disponibilità finanziaria tendenzialmente insufficiente non basterà dire che non bisogna sprecare, sarà opportuno riconsiderare la filiera delle responsabilità nella gestione delle risorse. Non bisogna certo cedere ad eventuali richieste corporative delle categorie mediche, ma è indispensabile avere una idea precisa della non sostituibile responsabilità professionale non solo, ovviamente, nella cura ma anche nella gestione delle risorse. Si dice spesso: il paziente può molto di più sulla sua salute di quanto non possa il medico; in riferimento alla spesa il medico può molto di più di quanto non possa il paziente. Occorre responsabilizzare, concedendo poteri adeguati, i medici rispetto alla tipologia ed alla modalità della spesa perché diversamente avremo difficoltà serie a gestire l’equilibrio finanziario del sistema sanitario e potrebbe non bastare neppure l’aumento di flusso in entrata che è, peraltro, oggettivamente indispensabile.
Giorgio Bogi