Rapporto dell'istituto di ricerca, il presidente De Rita ai politici
"Diamoci una calmata, rischiamo davvero il declino"
Il Censis: "Ecco l'Italia di oggi
un Paese con le pile scariche"
Il ritratto di una nazione che adora cellulari, tv e consumi
ma che si chiude nei piccoli centri e non ha mobilità sociale
ROMA - L'Italia galleggia e non sa reagire di fronte a un futuro smorto. E' questo il ritratto del nostro Paese stilato dal rapporto annuale del Censis. Il ritratto di un sistema che vive una prolungata bassa congiuntura e che non sa che cosa fare. Un Paese "con le pile scariche", come dice il presidente Giuseppe De Rita che, tralasciando la prudenza istituzionale, lancia un ammonimento a tutte le forze politiche: "Diamoci una calmata, manteniamo la testa fredda perché il rischio più grosso per il nostro Paese è il declino e la deriva della sua struttura industriale e produttiva". De Rita parla di "galleggiante stazionarietà", "generale mancanza di aspettative", mancanza di "mobilitazione di interessi e impegni individuali". Un'Italia delusa, disillusa, intorpidita che ha di fronte "un orizzonte smorto".
Non bastano quindi gli ottimismi di facciata per determinare una inversione di rotta. "La nostra società - dice ancora De Rita - presenta oggi una stazionarietà prolungata senza contraccolpi di reattività", "siamo dentro una prolungata bassa congiuntura". E ci trasciniamo "un deficit forte degli interventi (di politiche settoriali come di azioni puntuali) che dovrebbero garantire accumulazione continuata" di quelle pile che sono scariche.
Queste pile scariche sono soprattutto quattro. Primo: "La penalizzazione indotta dalla mancanza di un coerente insieme di trafori alpini, la debolezza della nostra rete ferroviaria, i "veri e propri blocchi quotidiani di mobilità" su strade e autostrade, le carenze idriche. Secondo: "Il deficit di innovazione logistica che penalizza fortemente il nostro livello di sviluppo e le nostre sfide di competitività. Terzo: "Su tutto il fronte dell'innovazione il sistema presenta scarsa accumulazione": dalla scuola all'università "in progressivo smottamento verso una sorta di sua liceizzazione", all'attività di ricerca scientifica. "L'accumulazione di capitale umano e di innovazione - scrive il Censis - è oggi in Italia a troppo basso livello per le ambizioni, anche di puro consolidamento, dello sviluppo fin qui costruito". Quarto: "il sistema non ha una sua capacita di fare politica di sostegno alla internazionalizzazione del paese".
Queste quattro carenze strutturali, scrive il Censis, "fa pensare a molti che il declino sia inevitabile, visto che l'autonoma vitalità dei tanti soggetti economici e sociali non ha capacità reali di fare ad esse da contrappeso".
La collaborazione 'pubblico-privato' che molto potrebbe fare non sembra in grado, allo stato dei fatti, di imprimere la spinta necessaria. Le "istituzioni settoriali coinvolte" sono in una fase di riforma che darà i frutti nel medio periodo ma che oggi "le rende fragili". E "il rapporto-pubblico privato, essenziale per fare accumulazione di sistema è di difficile rimessa in moto" visto che sono state smantellate "le presenze pubbliche precedenti (anche con qualche buona motivazione) senza stabilire un nuovo necessario regime di vitale rapporto tra pubblico e privata".
Sul fronte sociale il rapporto sottolinea "una generale mancanza di aspettative": "non sembra funzionare - si legge nel rapporto - quella mobilitazione di interessi ed impegni individuali" e "le tensioni collettive sono più politiche e infrapolitiche che sociali". "Si va quindi affermando - sottolinea il Censis - una inerzia piccolo-medio-borghese che di fatto nasconde un fenomeno inquietante: l'assenza di reattività".
"Siamo stati delusi dalle promesse inarrestabili della new economy, dalle magnifiche sorti della finanziarizzazione, da quei processi di privatizzazione e liberalizzazione che avrebbero dovuto liberare nuove opportunità e nuove energie e che invece si sono rivelati affari di pochi per pochi".
Lo stesso 'galleggiamento' si riscontra a livello istituzionale: secondo la fondazione "non abbiamo saputo portare a termine una reale riforma istituzionale, le vecchie istituzioni sono diventate rinsecchite e senza ruolo, l'assetto dei poteri si è adattato più alle prepotenze di alcuni di essi che a un organico loro ridisegno".
(6 dicembre 2002)
da www.repubblica.it