«Serve lo sciopero generale per salvare l'industria italiana»
Intervista a Maurizio Zipponi, segretario della Fiom di Milano


Rina Gagliardi

«Ormai siamo a un punto in cui il conflitto sociale pone alla politica una domanda ineludibile: qual è il destino del sistema industriale di questo Paese? Salvarla, con piani e progetti veri, dovrebbe essere per tutti la priorità delle priorità». A poche ore dall'ennesimo incontro «decisivo» per la Fiat, a palazzo Chigi, Maurizio Zipponi non è ovviamente incline ad alcuna forma di ottimismo: ribadisce che quello della Fiat rischia di essere il crac industriale e finanziario più grave del dopoguerra, analizza le crisi a catena che si stanno già producendo, ripropone lo sciopero generale come prossima tappa "obbligata" dello scontro. Seguiamo il ragionamento del segretario della Fiom milanese, che è allo stesso tempo, come sempre, molto concreto e molto strategico.

Dalla crisi della Fiat non si può uscire senza un intervento pubblico sostanzioso: mi pare che il sindacato, diversamente dai partiti, converga ampiamente su questa posizione, che però non riesce a trovare il consenso necessario nel governo. Tu che ne dici?

Una decina di giorni fa, mi è capitato di partecipare alla trattativa con una multinazionale dell'energia: la Abb, a capitale prevalentemente svizzero e svedese - un'impresa che ha 165 mila dipendenti sparsi nel mondo e che vive una crisi finanziaria di proporzioni analoghe a quelle della Fiat. Stanno saltando insomma le sue attività in moltissimi paesi, e in particolare negli Usa. I dirigenti di questa impresa mi hanno spiegato che hanno deciso di ricorrere a un articolo della Costituzione americana (o del sistema legislativo federale): secondo questa norma, lo Stato può congelare per un anno i debiti dell'impresa, in modo che essa possa usare questo tempo per salvarsi, rilanciare l'attività, trovare, insomma una soluzione. La logica è che la salvaguardia di un patrimonio industriale e produttivo (e occupazionale) ha la priorità sulle regole finanziarie. Perché cito questa esperienza? Perché mi ha colpito che, nel Paese dell'ultraliberismo, della destra al potere, delle leggi concepite su misura del mercato, esistano in realtà strumenti che limitano esplicitamente il potere del mercato - appunto, il mercato non può "mangiarsi" tutto, sempre, quando e come vuole. Mi pare un esempio interessante, ed eloquente, proprio in una vicenda come quella della Fiat.

Molti, anche a sinistra, si oppongono a ogni tipo di intervento pubblico, sostenendo che la casa di Corso Marconi ha già succhiato ad abundantiam alle casse dello Stato. E sostengono, ancora, che si tratta, magari di accelerare l'acquisto da parte di General Motors, interlocutore in qualche modo "obbligato"....

Ma la General Motors non risolverà mai la crisi della Fiat! Lo ha dichiarato con grande chiarezza, in un'intervista al Corriere della sera, proprio il suo presidente: non abbiamo alcun interesse strategico per la Fiat, ha detto. Quel che resta del patrimonio della Fiat Auto servirà, al massimo, alla produzione e all'assemblaggio di alcune componenti. Non si capisce perchè queste dichiarazioni siano state interpretate, "spacciate" mi vine da dire, nel senso opposto a quello reale. Vuoi, del resto, un'altra prova? L'accordo firmato in Germania tra la Opel e i sindacati metalmeccanici, l'Ig-Metall: esso stabilisce in termini molto precisi l'entità della produzione e il numero degli stabilimenti Opel da qui ai prossimi anni. La Opel, per chi non lo sa, è ormai Gm, ed è evidentemente il suo prodotto di punta in Europa. Questo accordo rende ancor più "sovrabbondante" la sorte della Fiat Auto, dal punto di vista della General Motors.

Che cosa rischia, allora, di succedere?

Quello che alcuni di noi hanno paventato fin dall'inizio: la Fiat è il più grande crac industriale e finanziario della storia d'Italia. Gli ottomila lavoratori da oggi (ieri sera, ndr) in Cassa integrazione, non sono che l'inizio: dopo Termini Imerese, toccherà a Mirafiori, e poi a Cassino. Melfi e Alfa si ridurranno a reparti staccati, a dependances italiane della Opel-Gm. Le conseguenze sono disastrose, non solo nell'indotto Fiat, ma in tutto il Paese. Vorrei ricordare la crisi della Marconi, che coinvolge duemila dipendenti, e quella della Alstrom (l'impresa di trasporti francese alla quale è stato "venduto" il Pendolino) che ha annunciato la ristrutturazione dei suoi uffici milanesi - centinaia di posti di tecnici e ingegneri a rischio.

"Che fare" è la domanda da cui non si sfugge. Mi pare di capire che tu hai qualche perplessità sulla proposta di nazionalizzare la Fiat

Ho perplessità solo di carattere nominalistico: "nazionalizzazione" è una parola astratta, che rinvia a una dimensione macroeconomica in questo momento poco afferrabile. In realtà, di fronte al ricatto della Fiat (o accettate il nostro piano e ci date la cassa integrazione, senza garanzie di sorta, o vi accollate un gravissimo disastro sociale), anche questo Governo una possibilità ce l'ha: si chiama legge Prodi. La sua attuazione ha già consentito di salvare molti illustri marchi. La logica di questa legge è che l'azienda è un bene collettivo da tutelare: non siamo molto lontani dalle leggi americane. Si tratta quindi di procedere al congelamento dei problemi finanziari, e di procedere in uno o due anni a un piano di rilancio.

E intanto?

Intanto si tratta di respingere il piano presentato dall'azienda, bloccando le procedure invocate dalla drammatizzazione dei dirigenti. Si tratta, poi, di mantenere salda l'unità sindacale - a questo proposito, è importante la dichiarazione di Spagnolo (Fim), che stronca alla radice ogni ipotesi di accordo separato. Dovremo infine andare a costituire un vero fondo di solidarietà, in vista di uno sciopero generale promosso dalle tre confederazioni.

Uno sciopero generale con quale contenuto?

Salvare l'industria italiana: questa mi pare la questione cruciale. Stiamo andando ad una vera crisi di sistema: vanno a Patrasso non solo le imprese ad alta tecnologia, o a media (come l'automobile), ma anche le imprese più tradizionalmente meditarranee. Vedi il caso Cirio: non sappiamo fare più neppure i pomodori. Questa crisi, lo sappiamo, viene da lontano, viene dagli Usa, dove un anno fa ci sono stati rovesci colossali, come la Worldcom e la Enron. Ma negli Usa hanno molte risorse: per esempio, la guerra. Qui da noi, scusatemi il cinismo, questa possibilità non è data (o è data solo a livello politico, non produttivo). Perciò, non abbiamo scelta. La politica non ha scelta.

Liberazione 6 dicembre 2002
http://www.liberazione.it