Pubblichiamo ampi stralci del parere proposto dalla leghista Carolina Lussana e approvato dalla giunta per le autorizzazioni alla Camera
La Giunta per le autorizzazioni, presa cognizione: - della lettera dell’avvocato Brigandì in cui si sostiene che durante una perquisizione, svoltasi il 18 settembre del 1996 presso la sede di Milano della Lega Nord, sarebbe stato perquisito il domicilio di un parlamentare, senza l’autorizzazione prescritta dall’articolo 68, secondo comma, della Costituzione; presa cognizione:
- della sentenza del pretore di Milano del 22 luglio 1998 con cui i menzionati parlamentari sono stati condannati per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale;
- della sentenza della corte d’appello del 10 novembre 2001, con cui è stata confermata la colpevolezza emessa in primo grado;
considerato che:
- l’articolo 68, secondo comma, della Costituzione vieta che siano disposte o eseguite perquisizioni personali o domiciliari nei confronti dei membri del Parlamento senza l’autorizzazione della Camera d’appartenenza; - nel corso dell’esecuzione dell’atto - durante il quale s’intendevano perquisire dei locali siti nel seminterrato dello stabile di via Bellerio 41 - gli esecutori dell’atto hanno riscontrato che su una porta a vetro chiusa era affisso un foglio di carta con nastro adesivo trasparente recante la scritta “ufficio dell’onorevole Maroni” e che - chieste istruzioni all’autorità giudiziaria e su conforme indicazione di questa - essi hanno proceduto ugualmente all’accesso;
- l’ordine dell’autorità giudiziaria di procedere all’esecuzione della perquisizione deve ritenersi illegittimo, poiché la valutazione secondo la quale il foglio affisso alla porta doveva considerarsi un “sotterfugio” deve considerarsi errata, dal momento che la Costituzione non prescrive particolari formalità per la designazione del domicilio dei parlamentari;
- l’argomento per cui il deputato Maroni aveva precedentemente negato di disporre di un locale all’interno della sede di via Bellerio non può essere ritenuto decisivo poiché tale affermazione era stata fatta in chiave solo ironica e polemica. Del resto, la sentenza d’appello a pagina 13 afferma che il locale nella disponibilità del deputato Maroni era collocato “in ala del tutto distinta dagli uffici del partito, siti ai piani superiori dello stabile, e in seminterrato, tra l’altro neppure ricompreso nella locazione stipulata dalla finanziaria Pontidafin srl, proprietaria dell’intero immobile, con la Lega Nord”. È chiaro pertanto che il deputato Maroni, nel negare di avere disponibilità di locali nella sede del partito, aveva detto il vero;
- del resto, si evince dalla riapertura del verbale della perquisizione dell’abitazione di Corinto Marchini del 18 settembre 1996, steso dagli ufficiali di polizia giudiziaria procedente, che lo stesso Marchini aveva dichiarato che nella sede menzionata “altri esponenti politici hanno locali in uso come propri uffici”;
- la stessa sentenza della corte d’appello di Milano, alla pagina 13 afferma che “di fatto solo a seguito dell’istruttoria dibattimentale e per quanto affermato da taluni testi indotti dalla difesa, appare confermato che la stanza in questione era stata in effetti assegnata da alcuni giorni e in via provvisoria - nell’attesa della ristrutturazione dei locali definitivi - all’onorevole Maroni”, e a pagina 14, pur opinando che al locale in questione non spettava la tutela di cui all’articolo 68, secondo comma, della Costituzione, riconosce che esso “[faceva] capo a un parlamentare”;
- la condotta dei deputati condannati con le sentenze del pretore di Milano del 1998 e della corte d’appello di Milano del 2001 deve considerarsi scriminata dall’articolo 4 del decreto luogotenenziale n. 288 del 1944 come reazione legittima ad un atto illegittimo e dunque arbitrario della pubblica autorità. Tale elemento non può non ripercuotersi sull’accertamento della colpevolezza contenuto nelle predette pronuncie;
poiché l’istruttoria svolta fa ritenere che la sfera di attribuzioni della Camera sia stata lesa:
esprime l’opinione che la Camera debba elevare un conflitto d’attribuzioni nei confronti dell’autorità giudiziaria di Verona, affinché la Corte costituzionale affermi che non spettava all’autorità medesima in assenza della prescritta autorizzazione della Camera effettuare la perquisizione del domicilio dell’onorevole Roberto Maroni, deputato al momento del fatto, con le conseguenze di natura processuale che tale decisione comporta.