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  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Gianni Vattimo - Il vecchio Marx mi ha detto

    Il vecchio Marx mi ha detto

    di Gianni Vattimo

    Ciò che stupisce di più i tanti di noi che non provengono da un’esperienza di militanza comunista, perché si rifiutavano di credere alle «profezie» di Marx - soprattutto a causa dei crimini del socialismo reale - è la sempre più evidente verità, sia pure in qualche senso distorta, o quasi allegorica, proprio di quelle previsioni.
    Così, quando leggiamo in statistiche attendibili che negli ultimi anni, in una società capitalistica «modello» come quella degli Usa, la ricchezza si è concentrata nelle mani di un sempre minor numero di straricchi, e che il divario tra ricchi e poveri si è allargato invece di ridursi, non possiamo non ripensare con meno scetticismo alla previsione marxiana circa la progressiva proletarizzazione del mondo. Non vale niente qui l’obiezione che nei sistemi socialisti era, o sarebbe, peggio.
    Le soluzioni di Marx forse non hanno funzionato e non funzionerebbero, ma la sua analisi del destino del capitalismo non è poi così priva di senso.
    Si dice che l’impoverimento di grandi masse di proletari in paesi ricchi come gli Stati Uniti è solo un fatto relativo: se i ricchi sono sempre meno numerosi e più ricchi, non vuol dire che i poveri non abbiano visto migliorare le loro condizioni in termini assoluti, è solo il rapporto con la sezione di società a reddito più alto che produce l’apparenza dell’impoverimento. Già; ma intanto la povertà è sempre stata un fatto relativo, e oggi soprattutto condizionata dalle aspettative di consumo che, se stimolate e frustrate producono effettivamente più infelicità e cioè povertà.
    Poi: sarà solo così, quando assistiamo a crisi industriali come quella della Fiat, che non è un fatto tanto eccezionale anche se in altre situazioni riesce ancora a non manifestarsi in modi tanto devastanti? Forse non è solo colpa del management, della scarsità di investimenti, di errori e omissioni della proprietà. Non ci sarà qualcosa di più radicale - il fatto stesso che il capitalismo è sempre fiorito nutrendosi delle proprie crisi, ma in condizioni diverse da quelle intensamente globalizzate in cui viviamo noi? Nel mondo della globalizzazione è diventato apparentemente più facile spostare produzioni da una regione all'altra, inseguendo i bassi costi della mano d'opera. Ma gli intervalli in cui questa differenza di costi si può sfruttare diventano, proprio a causa della globalizzazione, sempre più brevi. Non è più il tempo in cui la banca Fugger realizzava alti guadagni procurandosi (era con piccioni viaggiatori?) notizie anticipate sull'andamento dei raccolti in lontane parti del mondo. Per non parlare del peso che anche le opinioni pubbliche e i fattori di immagine hanno sempre più spesso sui comportamenti dei consumatori: i palloni fabbricati da bambini in India non si vendono più tanto liberamente e facilmente come qualche tempo fa. Si aggiunga ancora che gli alti profitti dell'economia capitalistica sono sempre stati favoriti dal basso costo delle risorse naturali; ma oggi anche l'acqua e l'aria ormai costano.
    Se la sinistra, come si lamenta spesso, esagerando (infatti: che cosa è il progetto di Prodi del 96, che cosa sono le tante proposte del Social Forum di Firenze di qualche settimana fa? ), non ha un programma è anche e soprattutto perché si rifiuta di prendere atto di questa rinnovata "verità" di Marx; ossia della crisi non puramente temporanea dell'organizzazione capitalistica dell'economia. D'accordo, non potremmo dire precisamente in che cosa tale organizzazione e la sua crisi consistano. Quel che vediamo, però, forse basterebbe a fornire la base di una discussione; magari anche riferendosi ad "autorità" non sospette come quella di Stiegliz; e guardando alle difficoltà concrete in cui si dibattono le economie del mondo "sviluppato". Certo, gli stessi liberali hanno ormai di molto annacquato la loro fede nel potere salvifico del mercato. Ma forse unicamente per convincersi che questo potere non è affatto finito, solo ha bisogno di sostegni, regole, aiuti vari per farsi valere. Persino la parola d'ordine della competitività ad ogni costo rientra in questa logica di prolungamento della vita del capitalismo: se recuperiamo competitività, reggeremo ancora una decina d'anni, in attesa che altri paesi si siano attrezzati per batterci. Ma fino a quando? E, soprattutto, a prezzo di quali e quanti licenziamenti, casse integrazione, famiglie sul lastrico, riduzione di provvidenze sociali, suicidi attuati o minacciati da persone che, senza lavoro, non hanno davvero più niente di che, e per che, vivere? Se non qui, ora, in India o in Africa, fino a che la logica del mercato non metterà noi nelle stesse condizioni. Magari riproducendo quello che accade entro la grande società ricca degli Usa; se il numero dei ricchi è destinato a restringersi sempre più, siamo poi sicuri che noi ci rientreremo? E anche se fosse, non saremmo dei ricchi sempre più militarizzati, per difenderci dalla realizzazione di quell'altra "falsa" profezia di Marx, quella sulla rivoluzione del proletariato mondiale divenuto universale?

    l'Unità 14 dicembre 2002
    http://www.unita.it

  2. #2
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    Predefinito

    Ho letto anche io con interesse l'articolo di Vattimo su Marx.
    Come ho rilevato la estrema contraddizione tra le cose scritte nell'articolo e l'impostazione politica della maggior parte degli articoli del giornale, se Vattimo crede veramente in quello che ha scritto farebbe meglio a cambiare aria, dato che nel resto del giornale non vi è un articolo che si basa su di una visione della società alla quale lui sembra aderire

 

 

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