E' umida e uggiosetta Verona martedì 17 dicembre. Il cielo minaccia e incombe grigio scuro dalla mattina, il pomeriggio è stato in linea con le prime ore del giorno, e quando alle sette e cinquantaquattro mi precipito fuori di casa (in ritardo) per andare a conoscere colui che per tredici mesetti è stato, al massimo, una voce ben nota al telefono, le prime gocce di pioggia già lasciano grosse impronte sui marciapiedi.
Mr mi aspetta ai portoni Borsari, ma poi quando ci arrivo, trafelato e ansimante, scopro che lui è anche più in ritardo di me e che sarò io ad aspettare lui. Il caso ha fatto di tutto per impedire il nostro incontro nella splendida città di Teodorico. Un annetto fa, la volontà dei miei di deviare verso l'Emilia. Quest'anno, una bella indigestione per il tapino, che a quanto pare è stato preso da convulsioni, spasmi, dolori lancinanti e quant'altro neanche due ore prima dell'appuntamento. Incontro annullato dunque? No, rimandato a sera. Ora piove, poi verrà giù a dirotto, eccetera eccetera: insomma, una sfiga divina.
Arriva Andrea, decisamente più alto di me (fastidioso), probabilmente più magro (fastidiosissimo); la prima cosa che riesce a dirmi è che mi dava dieci chili in meno (aargh). Insomma, devo essere sembrato tracagnotto e cicciottello. Bene. Io attacco a macchinetta con le chiacchiere e lui accondiscende, lasciandosi invadere dal ciclone Franci.
Un caffè in un microscopico quanto pittoresco baretto due passi più in là, di quelli che piano piano stiamo perdendo come si perdono le cose dei nostri cari negli angoli muffiti delle stoffitte, quelli che fanno da musei, da magazzini e da Forum (non virtuali eheheh) nello stesso tempo, dove anche se ci passi sul tardino trovi sempre qualcuno che scambia una battuta col barista o che sorseggia un the al banco. (E infatti ci ripasso il giorno dopo, alle due del pomeriggio, quando metà dei negozi hanno le saracinesche abbassate, e puntualmente ecco il visitatore di turno: sì, proprio quello che a Cortina non c’è e mai c’è stato... Sigh). Io guardo tutto e tocco pure, come un bambino. Poi compro un pacchetto di ultradolci caramelle al the e ce ne andiamo.
Piove sempre più, ma tanto nei piani c’è il cinema in Via Mazzini, con Aldo Giovanni e Giacomo. E’ bello fermarsi a guardare un film quando fuori piove, anche se a dire il vero in confronto al gelo polare ampezzano Verona stasera ci regala una brezza quasi tiepida.
Al, John e Jack: decisamente carino; ecco, carino è proprio la parola giusta. Senza infamia, qualche lode e tante risatine, seppure tirate per i capelli. Il mio commilitone si diverte anche più di me, ma poi fa a tutti i costi il critico cinematografico e all’uscita altro non sa fare che commentare con sdegno: “sì sì, CARINO, ma era meglio il precedente”. Sempre Mr, sempre lui. Mai che ti regali uno straccio di soddisfazione. Tu dici A e lui dice B. Ma se è A e non ci cono dubbi, dirà A e mezzo, A.5, A/B o più semplicemente non dirà nulla.
Corsa sotto la pioggia (adesso quasi scroscia), tra Piazza delle Erbe, la attigua Piazza Dante, poi una serie di viuzze di cui non ricordo più nulla, infine approdiamo in un baretto niente male, anche se vengo preventivamente avvisato che si tratta praticamente di un ritrovo per froci. Ragion per cui restiamo giusto il tempo di lanciare un’occhiatina al culo dell’unica eterosessuale (…puntualmente accompagnata dal nerboruto fidanzato) presente nel locale oltre ai baristi, e poi scappiamo via. L’idea di dargli qui il mio pensierino natalizio (“Lezioni di stile”, Raymond Queneau, libercolo delizioso tradotto nientepopodimeno che da Umberto Eco) è quantomai infelice, tantochè Andrea praticamente non lo guarda nemmeno, mi rifila carte e buste e se lo intasca. Sì, l’eventualità di essere scambiati per due recchioni non è affatto remota, quindi meglio andare. L’altro locale in cui il mio Cicerone mi conduce, non prima di una visita a tempo di record al suo Liceo (a tempo di record davvero), è un divertente e scalcinato pub americano vicino a Porta nuova. Il sottoscritto ne approfitta per un hot dog con pancetta, fregandosene del fatto che è quasi mezzanotte. Tipico, anzi, obbligatorio, direi.
Tutti gli altri possibili itinerari vengono rimandati a quando Verona vorrà concederci un tempo decente. Di occasioni per passare nella città veneta che in assoluto preferisco ce ne saranno un sacco. Altra corsetta, passando per il Ponte Vecchio, poi saluti, ciao, ci vediamo, a presto, ehi aspetta ti stavi scordando il libro (mossa preparata con astuzia? Mah…), eccetera eccetera.
Quindici ore dopo, in treno, una ragazzina allegra e niente male me ne ha combinata una. Il discorso filava liscio liscio, ci eravamo appena conosciuti, sembrava simpatica e perché no, neanche tanto stupida. Ma poi se ne esce: “sì sì, comunque la più vivibile qua in zona è Padova, senza dubbio”.
Fatale errore!
Adios, amica cara. Osasti ignorare la città sull’Adige, le preferisti una Padova sempre più delabrè, col suo lugubre Prato della valle e il suo dialetto strascicoso e indolente. Ripeto: fatale errore.