NOAM CHOMSKY




«Questa amministrazione trascina il mondo nella direzione sbagliata»


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON - «La dichiarazione che l'Iraq è in violazione materiale della risoluzione 1441 è una dichiarazione di guerra, permette a Bush di accelerarne i preparativi, anche se il presidente sostiene di non averla ancora decisa. Non mi sorprende, lo aveva già detto tre mesi fa, quando rese chiaro che non avrebbe prestato alcuna attenzione all'Onu e agli alleati che si oppongono al conflitto. Il presidente ammonisce gli europei che è pronto ad agire da solo e il Palazzo di Vetro di New York che sarà rilevante soltanto se appoggerà l'invasione dell'Iraq».
Al telefono dalla sua abitazione Noam Chomsky, uno dei massimi linguisti della storia e uno dei maestri del pensiero liberal americano, e in quanto tale ostracizzato dall'amministrazione, ha un tono pacato, ma rivolge a Bush accuse brucianti: di violare il diritto internazionale e la volontà popolare, aumentare il pericolo del terrorismo, destabilizzare il Golfo Persico e il Medio Oriente.
Ma i sondaggi americani sono favorevoli al presidente.
«No, dicono che la sua popolarità è ancora abbastanza alta ma condizionano la guerra all'autorizzazione dell'Onu. E se si esaminano i sondaggi di sei mesi fa, si vede che la popolarità di Bush è calata e l'opposizione alla guerra è aumentata. Non era mai successo: l'opposizione al conflitto del Vietnam nacque dopo qualche anno di combattimenti».
Che cosa significa? Che si può ancora evitare la guerra?
«L'unica speranza è la resistenza del pubblico sulle due sponde dell'Atlantico. Per la prima volta, la maggioranza è contraria alla nostra amministrazione non solo in Europa ma anche in America. Sono reduce da un viaggio in Germania, in Gran Bretagna e Turchia dove le proteste contro Bush crescono di giorno in giorno. Purtroppo, qualche governo europeo è disposto a schierarsi con lui. Bisogna che la gente scenda in piazza e li fermi».
A quali governi allude?
«A quello dell'obbediente Gran Bretagna naturalmente, ma anche a quelli della Spagna e dell'Italia. Mi sembra che il premier spagnolo Aznar e il premier italiano Berlusconi vogliano essere degli altri Blair».
Quindi lei non crede che gli alleati dissuaderanno Bush dall'attaccare l'Iraq.
«Alcuni ci stanno provando, come ci sta provando qualche leader politico americano, dall'ex presidente Jimmy Carter al senatore Edward Kennedy, ma senza risultati. I richiami sono molto duri: questa amministrazione trascina il mondo nella direzione sbagliata; il suo unilateralismo e militarismo non servono».
Come mai?
«Innanzitutto, non c'è più il deterrente dell'Urss dall’altra parte dell'Atlantico. In secondo luogo, è il copione di tutte le amministrazioni di falchi che abbiamo avuto dai tempi del presidente Nixon. Bush figlio si è circondato di ultrà conservatori, uomini del padre o di Reagan, con una strategia precisa per realizzare i loro programmi e per restare al potere».
Che strategia sarebbe?
«Quella di denunciare pericoli, di creare emergenze ogni uno o due anni. Pensi a Reagan: nell'83 sbarcò a Grenada con il pretesto che si era alleata a Cuba e che minacciava i Caraibi; poi combatté i sandinisti in Nicaragua perché il comunismo non doveva arrivare al Texas; infine bombardò la Libia. S'inventò che avevamo i terroristi nelle strade».
Ma alcuni alleati condivisero le sue opinioni.
«Più che condividerle, le tollerarono. Al G7 dell'86 a Tokio, l'Europa criticò la politica anti-libica di Reagan. Il presidente fece circolare una velina con su scritto: o ci appoggiate, o faremo tutto noi "pazzi americani". Pazzi americani, parole testuali».

E. C.


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