La mattina stava benone. Il pomeriggio doveva spiegare alla plebe i successi del governo nel 2002, ma gli ha preso un improvviso raffreddore, come succedeva una volta ai capi dell'URSS quando venivano esautorati.
Purtroppo nel 2003 c'è il rischio di bancarotta e qualcuno della CDL se ne sta accorgendo.
Non c'è più niente di certo, nella vita: neanche la leadership di Berlusconi.
Corriere della Sera, 20.12.2002
Un malore improvviso e un capo dello Stato offeso
La leadership del Cavaliere sotto esame degli alleati
Timori per i conti pubblici e per il sistema bancario dopo le cartolarizzazioni
ROMA - Solo i bagliori della guerra potrebbero oscurare le crepe che attraversano la maggioranza, solo la polvere di un conflitto internazionale potrebbe coprire le difficoltà di un governo che sembra aver perso smalto. Ne parlano sottovoce i maggiorenti del centrodestra, ormai certi di un intervento militare in Iraq, ma altrettanto consapevoli che il prossimo sarà un anno comunque decisivo per la coalizione, e non solo perché precederà la lunga stagione elettorale, ma soprattutto perché i risultati del 2003 potrebbero decretarne la sorte, finendo per incidere sui futuri assetti nella Cdl. E’ dunque la leadership di Berlusconi a essere sotto esame. Chiusa la parentesi della Farnesina e registrato l’assetto ministeriale con una sorta di «monocolore azzurro», il premier non ha più alibi: dovrà esercitare il suo primato, trovare il punto di sintesi tra le varie anime della maggioranza, rilanciare l’azione del governo. Tutti problemi ai quali non è riuscito finora a dare soluzione, e a cui non potrà sfuggire trincerandosi nel rapporto diretto con l’elettorato. Sotto questo aspetto il raffreddore accusato ieri dal Cavaliere rappresenta la metafora delle condizioni in cui versa il centrodestra. E se è vero quanto raccontano coloro i quali lo avevano visto in mattinata, se è vero che Berlusconi era in perfetta forma, appare chiaro che si è trattato di un raffreddore salutare. Erano troppe le questioni aperte perché si esponesse al vento della conferenza stampa di fine anno: una Finanziaria ancora sotto l’esame del Parlamento e sotto schiaffo del Colle, una serie di nodi politici irrisolti nella maggioranza, e soprattutto le tensioni con Ciampi sul metodo e sul merito delle riforme. Ora, siccome proprio sulle riforme si stanno scaricando tutti i malesseri della coalizione, anche un solo cenno avrebbe potuto incrinare ulteriormente i rapporti tra gli alleati. Il premier ha capito che sarebbe stato inutile rischiare, così è stato indotto a rinviare l’appuntamento.
Il fatto è che prima o poi Berlusconi dovrà affrontare quei problemi. A partire dal rapporto con il presidente della Repubblica, che - per usare le parole di un esponente della maggioranza - «considera il presidenzialismo un’offesa personale e la devolution un’offesa al Paese», espressione colorita dietro cui s’intuisce che il Colle ha deciso di porsi come punto di mediazione tra i due poli. Certo, l’esternazione di mercoledì è parsa a molti - compresi i centristi - fin troppo irrituale, ma altrettanto chiara. Dicono che Ciampi sia preoccupato di una possibile forzatura da parte del premier, una forzatura che andrebbe di pari passo con un eventuale insuccesso nell’azione di governo, che insomma Berlusconi potrebbe tentare attraverso l’affondo sulle riforme di nascondere le carenze di gestione.
Le difficoltà sul versante economico sono tema di discussioni anche accese nel governo e nella maggioranza. Non c’è solo la fatidica trimestrale di cassa a tenere in allarme la Cdl, «il rischio - spiega un autorevole esponente della coalizione - è che il prossimo anno, oltre i conti pubblici possa entrare in crisi anche il sistema bancario, già oggi in affanno, ma che domani potrebbe finire in ginocchio per la cartolarizzazione varata da Tremonti che ha coinvolto il mondo creditizio». Nei mesi scorsi sul ministro dell’Economia si era concentrato l’attacco dei centristi, e non è detto che l’operazione sia terminata. Anzi, dentro An c’è chi guarda alle mosse dell’Udc con una certa inquietudine: Berlusconi potrebbe approfittare della spaccatura tra Fini e Casini, per stringere un patto con il presidente della Camera, «un patto che avrebbe come punto di riferimento la comune identità popolarista europea».
Epperò serve la logica del « divide et impera » al Cavaliere? Una simile iniziativa non solo metterebbe in fibrillazione la destra, ma provocherebbe anche una reazione di Bossi. Il fatto è che proprio An e Lega sono le vittime della «triangolazione istituzionale» Ciampi-Pera-Casini, e in questo gioco potrebbe alla fine inserirsi anche Berlusconi. Oggi non è così e Fini si sta adoperando in modo da scongiurare questo scenario, perciò si schiera a difesa dell’esecutivo «che sta tenendo fede al programma» e che «durerà tutta la legislatura». Per verificare se l’asse tra il premier e il suo vice reggerà, basterà osservare la sfida sulla Rai: «Sarà quella la cartina di tornasole», dicono dentro An. Il Cavaliere darà il via libera alla capitolazione di Baldassarre o cercherà di trovare una mediazione? In fondo non è viale Mazzini sotto esame, è la sua leadership.
Francesco Verderami