Sulla carta, oltre sette dipendenti per ogni malato. In realtà, uno scandalo. E non solo della Sanità
Il «miracolo» di Gioia Tauro: 7 ospedali per 200 posti letto
GIOIA TAURO - Se volete vedere come sta sprofondando un pezzo d'Italia, a pochi chilometri da dove vogliono piantare i piloni dello strabiliante Ponte di Messina, fatevi un giro tra i sette ospedali della Piana di Gioia Tauro. L'unico posto al mondo dove i malati rischiano di restare soffocati dalla mancanza di aria dovuta alla torma di dipendenti che gli si affollano intorno: 7,5 per ogni letto. Sulla carta. In realtà non solo esistono oltre 10 medici e infermieri e impiegati per ogni ricoverato reale, ma il poveretto è spesso abbandonato in condizioni di fetido degrado. Uno sfasciume ammorbante. Che ha inghiottito nel 2001 (per quest'anno già finito non esiste manco il bilancio preventivo) 364 miliardi di vecchie lire. Cioè 1.153 euro per ogni abitante: più di quanto ha assorbito un altoatesino per avere cliniche e laboratori pubblici tirati a lucido, macchinari d’eccellenza e servizi da Grand Hotel.
All’ospedale di Taurianova, dove si arriva solcando un bosco di ulivi sopravvissuti miracolosamente (per ora) alla cementificazione sgangherata e cancerosa che ha stravolto la piana, erano ricoverati l’altra settimana 2 bambini in pediatria e 18 adulti in medicina. Fine. Tutti così sfortunati (economicamente) da non potersi permettere un letto in una clinica privata e insieme così fortunati (fisicamente) da non essere costretti a uno di quei viaggi della speranza che nel 2000 hanno costretto 56.686 calabresi (uno ogni 36 abitanti) a peregrinare per curarsi lontano dalla loro regione. Una quota mostruosa: quasi doppia di quella dei campani (uno su 65 abitanti) e più che doppia rispetto a quella dei siciliani (uno su 74) nonostante le vistose carenze delle rispettive strutture sanitarie.
Le madonnine che, da capitelli stracolmi di candele e luminarie, presidiano i due reparti rimasti aperti, non hanno evidentemente potuto fare molto. Tutto l’ospedale, fatta eccezione per la dialisi (l’unico gioiello del panorama: un fiore nel fango), pare un lazzaretto evacuato. Chiuso per lavori, dicono. Da anni. Ma quali lavori? Quando? Con che soldi? Boh. A pediatria lavorano in una quindicina, a medicina in una ventina. Ma ogni ipotesi di chiudere l’ospedale semivuoto è sdegnosamente respinta: cosa ne direbbe l’anima del compianto Francesco Macrì, detto don Ciccio Mazzetta, che ai bei tempi arrivò ad assumere nell’allora Usl 27 un migliaio di dipendenti? Ai suoi funerali, mesi fa, c’era tutto il paese. E la Gazzetta del Sud arrivò a elogiarlo come un «eroico antieroe» per la «grandissima dignità» con la quale aveva saputo «affrontare e sopportare una detenzione lunga e ingiusta» dovuta al fatto che i giudici, che schifo, l’avevano condannato per una miriade di reati senza riconoscergli quel «ritenuto medesimo disegno criminoso» che avrebbe portato «all’irrogazione di una sola o di poche condanne».
Povero don Ciccio! Una vittima fu: di un complotto per «nascondere la corruttela lombarda e nordista» e infangare un uomo che a forza di assumere aveva «creato una generazione benestante di famiglie spesso a doppio reddito e oggi a doppia pensione». Un popolo di centinaia di reduci indifferenti alle accuse di collusione del loro eroe con gli ambienti mafiosi. Fedeli al ricordo di don Ciccio almeno quanto i parenti: la sorella Ada primario a pediatria, la sorella Olga (già sindaco, di una giunta sciolta per mafia) ufficiale sanitario, la sorella Antonella medico a psichiatria, il cognato Totò camice bianco a medicina, il nipote Orlando specialista in dialisi. Decisi tutti a resistere a ogni ipotesi di ristrutturazione degli ospedali della Piana che non veda come cuore pulsante la loro cittadella: Taurianova, già sede degli Ospedali Riuniti della Piana. Vuoto involucro di un incerto futuro.
Per non parlare degli altri ospedali, fotografati dal Tribunale per i diritti del malato con rapporti rimasti negli anni tragicamente attuali.
Quello di Polistena ha «la peggior cucina del mondo» (chiusa dal Nas) e «la peggior lavanderia del mondo».
Quello di Oppido Mamertina ha «un parcheggio che è una discarica», «condizioni strutturali fatiscenti e pericolose», «stanze di degenza fino a 12 posti letto con mura scrostate».
Quello di Cittanova, dopo essere stato totalmente rinnovato, non è mai stata riaperto.
Quello di Palmi ha una camera iperbarica assediata da pazienti ma, smantellati per degrado un reparto dopo l’altro, è tutto intorno fatiscente e i lavori di ristrutturazione sono sospesi da anni anche se troneggia un cartello con la data di scadenza scaduta: 2000.
Quello di Gioia Tauro, prima ancora che si decidesse se doveva restare aperto o essere chiuso, è stato rifatto nuovo nuovo ma si sono scordati di metterci il riscaldamento: i malati stanno imbacuccati sotto le coltri al gelo, i parenti portano coperte di rinforzo da casa e la sala operatoria di chirurgia, come ha denunciato il primario Domenico Saraceno, non ha neppure l’acqua calda.
Quanto a quello di Rosarno, l’ultima volta che il sindaco Giuseppe Lavorato (un signore di stampo antico sempre più sofferente in un paese asfissiato dalle cosche) ci ha portato l’assessore alla Sanità Giovanni Luzzo, pochi giorni fa, non aveva neppure le chiavi del cancello: iniziato nel 1965 e costato decine di miliardi, non è mai stato aperto perché, sul più bello che era pronto con il suo avveniristico eliporto e le sue sale operatorie attrezzate, fu svuotato degli arredi, dei macchinari, degli infissi, dei servizi igienici e totalmente cannibalizzato.
Tiriamo le somme? La gente di questa povera Piana ha teoricamente 7 ospedali nel raggio di una trentina di chilometri e cioè uno ogni 23 mila abitanti contro un rapporto di uno ogni 52 mila in Lombardia oppure uno ogni 55 mila in Umbria, dove è già in corso la riduzione a 2 ospedali d’eccellenza più 3 piccoli così che ce ne saranno uno ogni 167 mila. Sette ospedali virtuali (più Villa Fazzari, requisita per una cifra stratosferica come «centro per disabili mentali» ma mai aperta e abbandonata allo sfascio, più una clinica privata profumatamente convenzionata) ma in realtà un po’ mezzi chiusi, un po’ chiusi del tutto, un po’ mai aperti.
E tutti (con rare isole specialistiche) in condizioni pessime. Segnate da scandali che gridano vendetta a Dio.
Il conto dei dipendenti, vi sembrerà impossibile, non si conosce. Sulla carta sono 1.758 per un totale fra tutti gli ospedali (poi ci sono gli ambulatori e il resto, si capisce, ma questo vale per tutta l’Italia) di 234 posti letto: 7,5 a letto, contro una media nazionale di 2,9 che scende al 2,3 in Puglia e sale al 3,6 nell’intera Calabria. Ma è tutto teorico. In realtà i posti letto reali sono circa 200 (contro i 708 previsti dal vecchio piano sanitario) e dei dipendenti lo stesso sindacato dice di aver perso il conto: «Dovremmo essere oltre duemila perché abbiamo continuato ad assumere gente talvolta senza che manco fossero aperti dei reparti», denuncia Vincenzo Fidale, segretario della Cgil. «Ma non ce lo vogliono dire, quanti siamo. L’abbiamo chiesto mille volte e di questi silenzi abbiamo informato anche la Finanza: niente».
Eppure, nonostante gli esuberi, la pulizia dei nosocomi è stata affidata per più di 3.000 euro al giorno (i risultati ve li raccomando) a una società esterna e gli oltre trecento ausiliari che dovrebbero occuparsene sono a concorso per passare a mansioni superiori. A un’altra società esterna, nonostante la massa di 180 «amministrativi», è appaltata la stesura del bilancio e a un’altra ancora la composizione delle buste paga. Così come a una ditta esterna, per 667 mila euro l’anno, è stata delegata la lavanderia, che pure poteva contare su 35 persone che evidentemente non ce la facevano a buttare in lavatrice sette paia di lenzuola ciascuno al giorno. Quanto al servizio mensa centralizzato, è stato dato in appalto a un privato per quasi quattro miliardi di vecchie lire l’anno e una spesa di 45 mila lire al giorno a paziente: avrebbero potuto occuparsene le sole cucine dell’ospedale di Gioia Tauro ma 27 cuochi diplomati (8 ricoverati a testa) erano evidentemente pochi.
Per non parlare degli altri sprechi. Uno per tutti: l’acquisto di sei emogasanalizzatori, uno per ospedale tranne Rosarno. Quando il magistrato ha voluto vederci chiaro, sono saltate fuori tre cose. Primo: l’acquisto non era stato deliberato dalla direzione ma proposto dalla ditta (la «Medinex») venditrice delle macchine. Secondo: l’appalto era finto. Terzo: ogni nosocomio aveva già gli emogasanalizzatori, e perfettamente funzionanti. Risultato: soldi buttati per inutili doppioni. Mentre manca ancora in tutta la Piana la macchina della risonanza magnetica, delegata ai privati di Villa Elisa.
Direte: chissà il baccano sui giornali locali! Oddio, non su tutti.
Alla Gazzetta del Sud , per esempio, sono assai ottimisti. Fanno «speciali» con titoli tipo: «Asl 10, è arrivata l’ora del cambiamento».
Danno spazio a ringhiose autodifese dell’Asl: «Il "buco" di 80 miliardi è solo un’illazione». Pubblicano pezzi che annunciano favolosi miglioramenti, si congratulano con «i favorevoli risultati raggiunti» e attaccano i soliti criticoni mossi dal «piacere di spargere allarme, strumentalizzando per altri fini le normali difficoltà riscontrabili nella sanità regionale e nazionale».
Grata di tanto fervore, la direzione dell’Asl ha preso qualche mese fa una decisione: stanziare oltre un centinaio di milioni di vecchie lire per cominciare a distribuire l’amato quotidiano, gratis, ai ricoverati.
Meravigliosa la motivazione: «Al fine di offrire ai degenti e ai pazienti in attesa di prestazioni un utile mezzo di informazione, nonché per alleviare la loro disagiata condizione di salute, permettendo di mantenere i rapporti con il mondo esterno e di esercitare un impegno mentale utile a rendere meno pesanti l’attesa e la preoccupazione».
Perché mai preoccuparsi, con una Asl così?
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Corriere della Sera 27.12.02