Ci sono voluti ben tre autori, Tarquinio Maiorino, Giuseppe Marchetta
Tricamo e Piero Giordana, per scrivere un libro di 140 pagine dedicato alla
figura di Goffredo Mameli e al suo celebre inno.
Gli Autori, fin dal I capitolo del libro, non nascondono la loro profonda
simpatia per "il poeta con la sciabola" (pag. 14) e attribuiscono a Carlo
Azeglio Ciampi il merito di aver rimesso in valore l'opera di Mameli,
elogiando la "crociata di Ciampi a favore dell'inno-simbolo del nostro
paese" (pag. 12). Lasciando il crociato Ciampi, scopriamo quindi la figura
del "poeta con la sciabola".
P"PETTINACCI" <lpetti@libero.it>rima di esaminare la vita di Mameli, gli
Autori consacrano il II capitolo,"L'inno-simbolo del Risorgimento", per
situare l'inno di Mameli nel contesto delle vicende risorgimentali. A pag.
17"terra insubre" <terra.insubre@galactica.it> esaltano la rapidità con cui
si diffusero, tra i partigiani dell'unificazione, le strofe dell'inno
composto nel 1847 e musicato, successivamente, da Michele Novaro. Sulle ali
dell'entusiasmo, gli Autori ipotizzano doti quasi profetiche di Mameli:
"l'ultimo periodo [della vita di Mameli] vi appare talmente ricco di
avvenimenti da far pensare che Mameli presagisse la scarsità del tempo che
il destino gli aveva messo a disposizione e che cercasse di bruciare le
tappe" (pag. 19). Con indignazione gli Autori riportano poi le critiche di
qualche denigratore "che lo giudicò da «fisarmonica», un po’ frivolo e
paesano" (pag. 20). Per gli Autori "il vero gradimento (…) venne dalla gente
della strada che cantava a squarciagola Fratelli d'Italia" (pag. 21), anche
se il nome esatto dell'inno è Il canto degli italiani. Da quel momento "era
venuto il momento in cui la storia d'Italia non si faceva più con le norme
giuridiche ma semmai con la poesia" (idem). Per suffragare questa tesi,
riportano una frase particolarmente ispirata di Giuseppe Garibaldi: "una
buona parte di questa Italia si deve ai poeti" (ibidem).
Nelle pagine che seguono, vengono citati i diversi canti del periodo
risorgimentale, tra cui gli eloquenti versi dell'inno garibaldino E a Roma,
Roma: "E a Roma a Roma/ ci sta un papa/ che di soprannome/ si chiama Pio
nono/ lo butteremo giù dal trono/ dei papi a Roma/ non ne vogliamo più"
(pag. 44).
Il lettore che desidera conoscere la vita di Mameli deve pazientare ancora
un po’, in quanto il III capitolo è dedicato alla storia dell'inno in
questione, dall'unità d'Italia sino ai giorni nostri. Gli Autori ricordano
che l'opera di Mameli venne scelta come inno nazionale dopo il cambio
istituzionale del 1946; l'inno, a differenza della bandiera tricolore, non è
citato nella Costituzione, in quanto fu adottato con una decisione di
carattere provvisorio che perdura tuttora.
Il IV capitolo è finalmente consacrato al "poeta-combattente" (pag. 76). Per
la verità, in virtù della prima funzione, il Nostro cercò di evitare la
seconda, almeno in occasione della chiamata di leva: "Secondo una legge che
favoriva le classi ricche, era possibile farsi «sostituire» pagando una
somma di danaro, e infatti il suo posto nel 16° reggimento fanteria della
brigata Savona era stato preso da un certo Fedele Vitale Scrivante" (pag.
85).
Infatti il "poeta con la sciabola" apparteneva a un'altolocata famiglia
genovese. Gotifredo (questo era il suo vero nome) nacque a Genova, il 5
settembre 1827, da Giorgio Mameli, alto ufficiale della Marina Sarda e dalla
nobildonna Adelaide Zoagli, appartenente a una famiglia aristocratica che
aveva dato alla Repubblica di Genova tre dogi e due consoli.
Grazie ai suoi illustri natali, Goffredo riesce dunque a evitare la chiamata
alla leva per assicurare ai patrioti le sue produzioni poetiche. La sua
prima opera, L'alba, è del 1846, e subito dopo, nell'ode Roma mostra i
sentimenti di profonda avversione che nutriva per il Papato: "Ove del mondo
i Cesari/ ebbero un dì l'impero/ e i sacerdoti tennero/ schiavo l'uman
pensiero…" (pag. 81).
"Come poeta, aveva decisamente la mano facile" assicurano gli Autori (pag.
81), indicando un lungo elenco di inni, odi, poesie, sonetti composti da
Mameli in giovane età. Oltre all'amore per la causa nazionale, il cuore di
Mameli conosce l'amore di alcune fanciulle: da qui la stesura di versi che
potrebbero rafforzare certi giudizi sulle sue qualità letterarie: "La tua
statura è simile alla palma/ e le tue mammelle a dei grappoli d'uva…" (pag.
81). Per giustificare l'ardita composizione, gli Autori si affrettano a
riferire di una confidenza fatta dal Nostro a un amico: "Temo la caduta nel
sentimentale e nel platonico, ì miei eternamente acerrimi nemici" (pag. 82).
Nel 1847 Mameli entra a far parte di un club mazziniano, dove inizia la sua
amicizia con Nino Bixio. Nel marzo 1848, dopo i fatti di Milano, gli Autori
ci informano che per Mameli "giunse il momento di deporre la penna e
impugnare la spada" (pag. 84), per mettersi a fare il "combattente in
proprio" (pag. 85) agli ordini dell'amico Bixio: ma queste bande
rivoluzionarie erano mal viste dallo Stato Maggiore dell'Esercito Sardo
(pag. 85).
Dopo l'umiliante sconfitta di Custoza, Mameli ritorna a Genova e le
meraviglie continuano, poiché "il poeta-patriota parve nondimeno possedere
il dono dell'ubiquità. Era in movimento perpetuo" (pag. 87). In quel periodo
avviene "un incontro entusiasmante, quello con Giuseppe Garibaldi" (pag.
87): tra i due eroi nasce un legane di "ammirazione, fiducia, complicità,
amicizia“ (pag. 88).
Intanto a Roma gli eventi precipitano, la residenza papale del Quirinale è
presa d'assalto, il Papa Pio IX (appartenete alla categoria di coloro che,
secondo Mameli, "tennero schiavo l'uman pensiero") è costretto a trasferirsi
a Gaeta. E' l'inizio della Repubblica Romana, periodo in cui si registrarono
ripetuti atti sacrileghi nelle chiese dell'Urbe e numerose violenze contro
il clero. Il fanatismo mazziniano prende il potere e in questo frangente
"Mameli si precipitò a Roma" (pag. 89).
Intanto, sottolineano gli Autori, "dal suo rifugio borbonico Pio IX
preparava la riscossa e la vendetta" (sic!) (pag. 90). La traballante
Repubblica Romana sta per cadere, e Mameli, nella primavera del 1849,
partecipa a degli scontri nei dintorni di Roma. E qui si consuma, almeno in
parte, la vendetta papalina: "perse il cavallo e una notte gli rubarono il
mantello" (pag. 91). Sembrerebbe un episodio marginale, in realtà il fisico
del poeta-combattente ne soffre: "perché le notte umide trascorse
all'addiaccio gli minarono il fisico e lo resero febbricitante" (pag. 91).
Bixio, in una lettera riportata dagli Autori, parla di un suo incontro con
Mameli il quale, benché sofferente, intende proseguire il suo combattimento
contro il Papato.
Il 3 giugno partecipa a uno scontro dove è ferito a morte. La ferita fatale
non ha risvolti particolarmente eroici, in quanto "Mameli fu raggiunto per
sbaglio da una pallottola amica; secondo un'altra [versione], a colpirlo fu
invece la baionetta di uno dei suoi, un bersagliere poco pratico di
quell'arma" (pag. 91). Sulle prime la ferita non sembra preoccupante; viene
trasportato all'ospedale della Trinità dei Pellegrini (è da ricordare che la
Roma di Pio IX possedeva un ospedale ogni 9.000 abitanti, mentre la Londra
antipapista uno ogni 40.000), dove però le condizioni peggiorarono e
"Mazzini andava a trovarlo più volte al giorno" (pag. 93).
Sul suo letto di morte compone i suoi ultimi versi, tristi come il volto del
suo Maestro: "Come l'astro morente arde e balena/ ferve l'anima mia
rinvigorita/ nel bacio della morte./ Addio, per sempre addio,/ sogni d'amor
di gloria./ Addio mio suol natio./ Addio diletta all'anima/ del giovane
cantor" (pag. 92), con riferimento a un amore non corrisposto con Adele, una
giovane veneziana conosciuta a Roma. Il 19 giugno si procede all'amputazione
di una gamba: ma l'intervento non è sufficiente per fermare la cancrena e
Goffredo entra in agonia. Anche la Repubblica Romana è ormai moribonda: il
3 luglio Mazzini e i suoi discepoli scappano dalla città, che le truppe
francesi riconsegnano al legittimo sovrano.
Mameli giace in ospedale abbandonato dai suoi, assistito solamente da Adele,
che non gli nega l'estremo aiuto. Gli Autori non riferiscono se i Padri
Barnabiti, che assicuravano l'assistenza nell'ospedale, riuscirono a
confessare Mameli e riconciliarlo con Dio. Il Nostro muore il 6 luglio, a
ventidue anni non ancora compiuti: nello stesso giorno a Torino, viene
pubblicato un decreto che vieta l'ingresso nel Regno di Sardegna ai
volontari della Repubblica Romana e in particolare a quattro personaggi:
Mazzini, Garibaldi, Bixio e Mameli (pag. 95).
Il corpo di Mameli viene sepolto provvisoriamente in una chiesa vicina
all'ospedale; nel 1872 è riesumato e trasportato al Verano. Nel 1940, il
governo italiano dell'epoca che intendeva esaltare gli eroi del
Risorgimento, lo fa traslare al Vittoriano e l'anno seguente, nel 1941,
all'ossario del Gianicolo, dove riposa accanto ad altri protagonisti della
Repubblica Romana.
Il libro rappresenta un'occasione mancata per contribuire alla rilettura del
Risorgimento. Invece di un approfondimento storico serio, scevro da
infatuazioni ideologiche, gli Autori hanno optato per un impostazione di
stampo agiografico, che ricalca le mediocri produzioni letterarie
post-unitarie.
Da sottolineare il silenzio assoluto sul ruolo della Massoneria nelle
vicende risorgimentali. Eppure, secondo la rivista il Timone, il testo
dell'inno di Mameli "è di chiara ispirazione massonica. I "fratelli" cui si
rivolge perché insorgano sono quelli delle logge. La nazione è quasi
deificata. (…) Si comprende bene come a Goffredo Mameli siano dedicate,
ancora oggi, molte logge massomiche" (il Timone, Anno IV - Settembre/Ottobre
2002, n. 21, pag. 21).
Attendiamo allora un libro capace di esaminare in modo più scientifico
questo argomento e capace di chiarire senza remore il ruolo delle società
segrete nell'unificazione della Penisola.
MAMELI, TARQUINO MAIORINO, GIUSEPPE MARCHETTI TRICAMO, PIERO GIORDANA,
Fratelli d'Italia. La vera storia dell'inno di Mameli, Mondadori, Milano
2001, pagg. 142, € 13,43.
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