Genty: «Non sono eterno, ma lasciare mi rode»
Il sindaco confida debolezze e paure . Eppure alla fine vorrebbe continuare: «Le incompiute non mi piacciono»
La grinta e la vitalità sono quelle di sempre. E anche quel periodo di ospedale che lo tenne lontano da Ca' Sugana per 40 giorni è un lontano ricordo. Eppure questo, per Gentilini, non è un fine anno come gli altri. Perchè la fine dell'anno, stavolta, potrebbe coincidere con la fine della sua esperienza amministrativa.
- Sindaco, non vorremmo rovinarle le Feste, ma questa potrebbe essere l'intervista di congedo dalla sua gente. Non dica che quando è solo con i suoi pensieri, magari prima di addormentarsi, non le capita di rifletterci su.
«Certo che mi capita. Ma bisogna abituarsi all'idea che anche le nostre attività non sono immortali. Le montagne subiscono le erosioni degli agenti atmosferici e i mari si ritirano. E' fisiologico».
- Ma il pensiero di dover chiudere la sua esperienza non le pesa proprio per niente?
«Diciamo che mi rode il pensiero di non poter completare alcune trasformazioni della città nei due mandati. E Gentilini potrebbe essere costretto a lasciare ai posteri un'incompiuta come Beethoven. Perchè poi la musica comunque non sarà la stessa. Indipendentemente da chi dovesse succedermi».
- Non le sembra di essere un po' catastrofista?
«Guardate che è fatale che, con il cambio della guida della città, si interrompa la continuità amministrativa. Si crea un vuoto di potere. E questo non vale solo per Treviso ma anche per i circa 5-600 comuni che potrebbero essere costretti a fare i conti con una legge che io ritengo ingiusta».
- Ma oltre otto anni di mandato non sono pochi.
«Otto anni sulla carta. Ma il tempo effettivo di governo non corrisponde a quello teorico; proprio come il tempo effettivo di gioco in una partita di calcio. Allo stadio lo riducono le interruzioni per i falli, in un Comune ci pensano i tempi morti degli iter burocratici».
- Lei prima ha usato il condizionale facendo capire che, comunque, non dà per scontata la sua impossibilità di candidarsi per la terza volta.
«Volete la verità? Il vento che sento mi sembra ancora favorevole a una modifica della legge».
- Ma qualcuno pensa anche che la Lega la stia illudendo ben sapendo che, invece, la modifica difficilmente passerà.
«Questo lo escludo. Me ne sarei già accorto. E poi Bossi in persona, anche recentemente, mi ha detto al telefono: il sindaco di Treviso sarà ancora Gentilini».
- Ammettiamo che vada così. Ma lei, che ha fatto della sua vitalità e della resistenza fisica un punto di forza, qualche volta non pensa al giorno in cui dovrà cedere un po' di questa vitalità al trascorrere degli anni?
«Guardate che il decadimento fisico fa paura come la malattia e come la morte. E, visitando spesso le case di riposo e gli ospedali, so cosa significa la sofferenza e so cosa può attendere chiunque di noi. Per questo posso assicurare che, in ogni caso, il giorno in cui mi rendessi conto di essere obsoleto non ingannerei nemmeno per un minuto i miei cittadini e mollerei tutto».
- E' vero che è favorevole all'eutanasia?
«Certo. Purchè sia ben regolamentata. Io credo che in molti casi l'eutanasia, oltre a essere un bene per la persona ammalata, costretta a vegetare, sia anche l'unico atto che possa ridare il sorriso a familiari ormai consapevoli che non ci sono altre speranze».
- Eppure c'è chi dice che certi suoi atteggiamenti, soprattutto col crescere della popolarità, manifestino una sorta di sindrome di onnipotenza.
«La verità è che anch'io, come tante persone particolarmente estroverse, mi comporto in un certo modo per mascherare limiti e debolezze. Non sono uno e trino. Sono un quadrino con i piedi per terra. Ma dico di più. L'altro giorno ho trascorso mezz'ora in solitudine nel cimitero dove sono sepolti i mei cari. E lì capisci che loro ti ricordano sempre che prima o poi li raggiungerai anche tu».
- Da lei sembra anche impossibile sentir pronunciare, almeno in pubblico, parole di scusa. Ci vuol provare pensando a qualcosa che deve ai suoi cittadini in questo 2002 che se na va?
«Certo. Chiedo scusa per la coda di disagi provocati dal Put. Capisco la gente che può essersi arrabbiata, anche se devo anche dire che, come ogni intervento drastico, anche questo non poteva essere indolore. Gentilini si è comportato come un chirurgo che non aveva alternative di fronte a un bubbone che rischiava di consumare la città. Ora, però, il paziente deve collaborare. Alla gente dico quindi di usare un po' meno l'auto e un po' di più il cavallo di San Francesco. Fra poco sarà disponibile anche il parcheggio dell'area Miani e mi dispiace sentire già che qualcuno lo giudica troppo lontano dal centro. Non è così che si collabora».
- Ammetta, tuttavia, che il bubbone del traffico non è stato completamente rimosso.
«In effetti ho un rimpianto pensando a questo 2002. Speravo tanto che si aprissero i cantieri per il completamento della tangenziale e la costruzione dei sovrappassi che mancano. Questo intervento può essere veramente il colpo di bisturi decisivo ma non dipende dal Comune».
- E' troppo, invece, chiederle di scusarsi con la comunità musulmana per aver esagerato nella sua crociata contro l'Islam?
«Non potete chiedermi di rinunciare ad affermare principi in cui io credo e che ho volutamente sostenuto per tutto il 2002. Su certe affermazioni non torno indietro».
- Le vuole riassumere?
«Certo. Io credo sostanzialmente che i tempi non siano maturi per spalancare le porte a quell'Islam che ci considera infedeli. Il rapporto fra la nostra fede e quella musulmana va gestito per gradi. Invece ho assistito a fughe in avanti su più fronti: da quello dei preti che credono che la nuova novella stia in altre religioni; a quello di chi guarda solo al tornaconto economico imprenditoriale senza ampliare il ragionamento».
- Quindi niente moschee o altre concessioni su questo terreno.
«Ripeto: ogni cosa a suo tempo. Per adesso io credo che i musulmani possano accontentarsi di pregare nelle loro case. Anche perchè mi risulta che la moschea non sia solo un luogo di preghiera ma anche un luogo in cui si discute di politica e di morale e chiunque possa infiltrarsi. Quindi occhi aperti».