30 settembre 2009
Il fondo Knight Vinke insiste:
«Tra un anno Eni sarà diversa»
di Alberto Annicchiarico
I no cortesi del Cane a sei zampe non bastano a fermare la campagna il fondo attivista Knight Vinke asset management (Kvam), che da settimane agita le acque attorno a Eni sostenendo che per creare valore dovrebbe cambiare struttura societaria.
«Sono convinto - ha sostenuto Eric Knight, ceo del fondo, che ha base a New York - che tra un anno la struttura dell'Eni non sarà quella che conosciamo oggi. Bisognerà vedere come questa cambierà». Secondo uno studio di Kvam la sottovalutazione di Eni è pari a oltre 50 miliardi di euro: la somma del valore dei diversi business della società sarebbe «pari o addirittura superiore a 30 euro ad azione», contro gli attuali 17 euro.
«Sui suggerimenti di Kvam - ha dichiarato questa mattina l'ad di Eni, Paolo Scaroni - ho ricevuto una lettera e ho già risposto con una missiva a fine luglio, che renderemo pubblica questo pomeriggio. Se verranno altri suggerimenti, diversi da quelli già espressi, li vedremo, ci faremo le nostre idee e diremo come la pensiamo». In serata il Tesoro, azionista dell'Eni con poco più del 30% includendo la quota della Cassa depositi e prestiti, ha tagliato corto spiegando in un comunicato di non volere entrare nel merito nè rilasciare commenti.
«Sicuramente - ha spiegato oggi Knight a Milano a una platea di analisti e azionisti - dividere l'Eni in due società, una dedicata al petrolio e l'altra al gas, comporterà solo benefici nelle strategie di medio lungo periodo. In particolare, ha detto, lo split darà maggiori possibilità di indebitamento alle due nuove entità (10 miliardi per la cosiddetta Oilco e 20 miliardi per la Gasco), permettendo loro di affrontare più tranquillamente le opportunità che stanno emergendo sul mercato, compreso l'impegno nel nucleare che il Governo chiederà molto probabilmente al gruppo guidato da Paolo Scaroni».
L'amministratore delegato, ha rivelato Knight, «ha già riconosciuto che c'è uno sconto» nella valutazione del gruppo e comunque, ha aggiunto, «non ci aspettiamo una sua risposta nel breve periodo, tenuto conto che ci sono voluti due anni di studio per arrivare alle nostre conclusioni». La sottovalutazione ha spiegato Eric Knight, il cui fondo ha acquisito due anni fa l'1% dell'Eni per 20 euro per azione (oggi gira attorno ai 17 euro) è dovuta a diversi fattori. I due principali risiedono «nell'utility gigantesca che si trova all'interno della struttura del gruppo e non è valutata correttamente dal mercato» e nel fatto, come detto sopra, che la società «è in uno stato di tensione finanziaria e lo sarebbe ancora di più qualora dovesse prendere parte in modo significativo ai piani del Governo per il rilancio del nucleare».
Knight ha sottolineato che il progetto del fondo non prevede né la riduzione della partecipazione dello Stato sotto il 30% né tagli sul fronte occupazionale. «Qualcuno pensa che siamo intervenuti a causa del taglio del dividendo», ha detto ancora l'amministratore delegato di Knight Vinke Asset management, «ma questo è solo sintomatico di una struttura non ottimale di Eni». Il fund manager ha voluto anche chiarire che «i nostri clienti sono fondi pensione pubblici (tra i quali il gigante californiano Calpers, ndr) e noi proteggiamo con ferocia la nostra indipendenza. Il nostro mandato è quello di investire in large cap che attualmente sono sottovalutate». Knight, peraltro, non è né un hedge fund né un private equity e comunque «siamo rialzisti su Eni e la riteniamo l'azienda migliore nel suo settore».
Il recente taglio del dividendo, tuttavia, è indicativo di tale condizione dell'Eni, la cui sottovalutazione e la tensione finanziaria potrebbero essere risolte tramite una ristrutturazione, senza che venga ridotta la presenza pubblica (ora al 30%) o che vengano tagliati posti di lavoro. Knight Vinke, che propone alcune alternative di ristrutturazione, riconosce che alcune delle sue proposte potrebbero portare a una riduzione delle sinergie. E comunque, sottolinea, il valore di queste sinergie «legate al mantenimento della struttura attuale non è stato ancora quantificato e, in ogni caso, dovrebbe essere superiore ai 50 miliardi di euro».
Il fondo Usa, si legge su Wikipedia, si è guadagnato fama di attivista di successo quando nel 2004 ha convinto la big petrolifera Shell a rinunciare alla sua struttura duale anglo-olandese nonostante possedesse soltanto lo 0,03% delle azioni. Knight Vinke ha giocato un ruolo chiave anche nel mandare a monde un'importante acquisizione della compagnia olandese Vnu, poi acquistata da una cordata di private equity tra cui Kkr e ribattezzata Nielsen Company. Nel 2007 Knight Vinke è andata all'attacco della governance del gigante britannico del credito Hsbc.
30 settembre 2009
Il fondo Knight Vinke insiste: «Tra un anno Eni sarà diversa» - Il Sole 24 ORE