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  1. #11
    anticomunista
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    leggere, per ricordare gli "eroici partigiani"...

  2. #12
    memoria storica di PoL
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    Thumbs up ... un ringraziamento e una promessa...

    Ringrazio di tutto cuore l'amico ariel per aver voluto, in occasione della rivocazione [speriamo sia l'ultima!...] del 25 aprile fatta dai comunisti [cui quest'anno si sono affiancati in totale, gunuina e spontanea solidarietà ebrei e 'pacifisti'...] segnalare ai lettori quanto da me scritto finora sugli orrori della guerra civile nel Reggiano...

    Ritengo sia doveroso segnalare il fatto che lavori di questo genere non costituiscono un semplice taglia-incolla [attività nella quale notoriamente emergono i più 'qualificati' frequentatori di questo spazio ...] e pertanto richiedono tempo ed impegno... ampiamente per altro giustificato dal fatto che si porta all'attenzione dei media parte della preziosa testimonianza rilasciataci dallo scomparso Giorgio Pisanò...

    Conto in ogni caso di tornare quanto prima su questo thread allo scopo di illustare tanti altri ancora sconosciuti crimini perpetrati dai comunisti nel cosiddetto 'Triangolo della morte'...

    ... a risentirci presto!...


    ----------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  3. #13
    memoria storica di PoL
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    Unhappy ... in occasione del 'sessantesimo'...

    cari amici
    per 'celebrare' degnamente il sessantesimo anniversario proporrò all'attenzione di voi tutti un altro capitolo assai significativo di quanto scritto da Giorgio e Paolo Pisanò a proposito di alcuni dei più spavantosi aspetti della guerra civile che si è combattuta nel Reggiano... chiaramente chi è abituato alle 'fiabe' spacciate come verità che si trovano sui libri di storia distribuiti nelle scuole elementari troverà questa 'versione dei fatti' un poco indigesta... questione unicamente di stomaco, si capisce ...






    Mario Simonazzi, nome di battaglia 'Azor', è uno dei tanti casi di partigiani reggiani massacrati dai comunisti perchè 'non molto in linea' con le loro strategie. Recentemente questa figura è tornata alla ribalta in quanto su di lui sono stati scritti due libri, Azor. La resistenza 'incompiuta' di un comandante partigiano, scritto da Daniela Simonazzi [nipote di 'Azor'...] e il più distribuito e recensito Sangue al bosco del Lupo dello storico Massimo Storchi. In realtà come 'Azor' tantissimi sono stati i casi di partigiani anticomunisti massacrati sia alla vigilia sia dopo il 25 aprile. Non è azzardata l'ipotesi che il loro numero sia addirittura superiore a quello dei fascisti e tedeschi vittime dei partigiani nel Reggiano...


    Giustizia ‘garibaldina’

    Con il termine ‘braccianti della morte’ vengono ancora oggi definiti, nella provincia di Reggio Emilia, quei partigiani o ‘falsi partigiani’ che nel corso della guerra civile e soprattutto nei mesi successivi si sono macchiati di un numero incredibile di uccisioni. Il ricordo del terrore seminato allora ancora oggi non si è del tutto spento nella florida provincia emiliana. Complessivamente la lotta fratricida è costata ai reggiani oltre duemila morti uccisi nel territorio della provincia dai partigiani, i quali a loro volta hanno avuto circa trecento caduti, ai quali vanno aggiunti un centinaio di civili uccisi nel corso dei rastrellamenti o delle rappresaglie. La storia della guerra civile nel Reggiano è, in definitiva, un susseguirsi di episodi atroci con un inevitabile seguito di rappresaglie e controrappresaglie, che dovremo necessariamente riassumere e inquadrare, soprattutto attraverso la pubblicazione di documenti di fonte partigiana di cui siamo venuti in possesso. Questi documenti provano senza ombra di dubbio il carattere terroristico impresso dal Pci alla guerra partigiana nel Reggiano e gli ingenui quanto maldestri tentativi delle esigue formazioni cattoliche locali sia di allentare la pressione comunista, sia di ritagliare per sé uno spazio nel fronte antifascista della provincia, sotto il totale controllo del Pci. Eliminati i fratelli Cervi, che avevano costituito il primo nucleo partigiano della zona, in un primo tempo era parso che l’attività della guerriglia avesse subito una battuta d’arresto. In realtà proprio in quei giorni avevano cominciato a costituirsi i nuclei originari di quella che sarebbe poi divenuta la struttura militare delle brigate Garibaldi [Gap e Sap] del Pci. Fra i capi della ‘armata rossa’ reggiana spiccava il già a noi noto Didimo Ferrari [‘Eros’], sostituito, dopo l’arresto e la fuga di questi dal carcere dei Servi, da Giovanni Ferretti [‘Spartaco’] , il quale dirigerà il settore fino al 25 aprile e oltre. In questo settore avevano abitato i fratelli Cervi, lo stesso ‘Eros’ e lì era pure la residenza del dottor Riccardo Cocconi [‘Miro’] e i luoghi in cui si scatenerà maggiormente la ferocia dei comunisti dopo il 25 aprile ’45. Qui si registrerà la più alta percentuale di assassinati e di scomparsi, dove Renato Bolondi [‘Maggi’], comandante della 77-a brigata Sap, uno degli assassini del capitano Ferdinando Mirotti [ucciso a Campagnola il 20 agosto ’46…], condannato il 6 aprile ’51 dalla corte di assise di Perugia a 22 anni di carcere e poi uscito di galera in seguito all’amnistia, si candiderà nelle liste del Pci per il comune di Luzzara. Alla fine Bolondi non solo sarà eletto consigliere ma addirittura sindaco del grosso comune della Bassa reggiana. Questi dopo il 25 aprile ’45 aveva anche diretto la tristemente famosa ‘Casa della morte’ di Campagnola. Detta casa era anche l’abitazione di Bolondi, che di professione era mezzadro, era posta sul fondo Pignagnoli e diventerà teatro della tragica fine dfi decine e decine di disgraziati, non solo fascisti o ‘presunti tali’, ma anche di partigiani non in linea con le direttive del partito comunista. Nel marzo ’91 a Campagnola, in località Cavone della Fornace Fontanesi, è venuta alla luce una fossa comune contenente i resti di decine di innocenti massacrati.
    A completare il ritratto di Bolondi, sindaco-assassino di Luzzara per volontà del Pci negli anni ’60, eccone il profilo tracciato dal’ex-‘sappista’ Egidio Baraldi, imputato e condannato anche lui per il delitto Mirotti [del quale però si è sempre dichiarato innocente, indicandone invece in Bolondi l’ideatore e il mandante…]. Dal già citato Il delitto Dirotti: ho pagato innocente

    Renato Bolondi [‘Maggi’]: nato nel ‘21 da una famiglia di contadini, nel dicembre ’44 è nominato commissario della 77-a brigata Sap ‘Fratelli Manfredi’, carica che ricopre fino alla Liberazione. Dopo la Liberazione la brigata è stata divisa in due a causa del numero troppo elevato di aderenti [oltre 2.000…] e Bolondi è nominato comandante. Personaggio molto ambizioso e desideroso di protagonismo. Faceva parte di quel gruppo di compagni che portavano avanti la ‘doppia linea’ e che propugnavano la soppressione di tutti gli avversari… Tipica figura a volte chiusa e settaria, a volte arrendevole fino al servilismo. La sua carriera politica dovuta certamente ai legami mantenuti con coloro che portavano avanti la ‘doppia linea’. I suoi meriti li ha acquisiti quando ha negato ogni validità al nostro processo. Qualcuno che certamente era interessato [il Partito comunista degli anni ’60…- n.d.a.] cercherà di premiarlo facendolo diventare addirittura sindaco di un comune della Bassa reggiana. Oggi si presenta come sostenitore accanito della glasnost e della perestroika altrui, ma non è disponibile a riconoscere gli errori da lui commessi facendo compiere azioni criminali a dei poveri ragazzi e facendo poi pagare ad altri, con lunghi anni di carcere, le proprie aberrazioni…

    Dei ‘poveri ragazzi’ della 76-a e 77-a Sap, ossia dei ‘braccianti della morte’, cos’ come di Bolondi e Baraldi [che magari sarà anche non colpevole del delitto Dirotti, ma che nel mare di sangue innocente versato nella zona c’è immerso fino al collo…] ci occuperemo più avanti. Indicativa della situazione all’interno delle bande comuniste in montagna è invece la vicenda del capo partigiano ‘Ulisse’, che ci viene raccontata dall’ex-comandante della 47-a ‘Garibaldi’ Massimiliano Villa [‘William’] in un libro di memorie da lui scritto in collaborazione con Mario Rinaldi [Dal Ventasso al Fuso – Guerra partigiana nelle valli dell’Enza e del Parma, Ed. Battei, Prma 1989], illustrandola con tanto di ‘documentazione ufficiale’, vale a dire il verbale di un ‘processo partigiano’. Ecco che cosa scrive ‘William’…

    Ulisse era il comandante del distaccamento Manzinia Bazzano. Dopo il rastrellamento andava svolgendo una attività che era il contrario di quello che avrebbe dovuto fare. Invece che adoperarsi per ricostruire la brigata, diceva ai suoi uomini che lui, per conto suo, avrebbe costituito una nuova brigata. Diceva che i danni subiti nel rastrellamento erano stati causati dall’incapacità del comando della brigata…

    Era chiaramente un caso di ‘individualismo’ incompatibile con la disciplina del Partito comunista. ‘William’ però non si scompone. Cattura ‘Ulisse’ e organizza un bel processo. Nella 47-a ‘Garibaldi’ c’era evidentemente il culto della ‘giustizia formale’ [ne avremo conferma più avanti…]. Dobbiamo in fondo rallegrarcene perché è grazie a questa passione di ‘William’ per il ‘dibattimento processuale’ che sono arrivati fino a noi questi documenti, unici nel loro genere. ‘Ulisse’ chiaramente è ‘uno di troppo’ nei quadri comunisti e pertanto il suo destino è segnato. Questa volta però, per arrivare alla ‘giusta condanna’, lo si incrimina addirittura di reati comuni e in tal modo vengono documentate certe ‘libertà’ che i partigiani usavano prendersi nei riguardi dei civili. Diamo la parola alle ‘carte processuali’ [l’italiano non è dei migliori… - n.d.r.]…

    Volontari della Libertà – 47-a Brigata Garibaldi – Comando

    D’ordine di questo comando in data 12/12/44 veniva arrestato il comandante Ulisse del Distaccamento Mancini, il quale fu più volte richiamato per la denuncia dei magazzini e il medesimo approfittando dell’isolamento del comando dichiarava di non aver nulla da segnalare mentre i n seguito a uno stretto interrogativo dichiarava quanto segue:
    ‘Da una perquisizione effettuata venivano trovati in tasca all’Ulisse la somma di lire 7000 mentre i garibaldini chiedevano a questo comando mezzi finanziari. Con azione arbitraria con una squadra si recava in Traversatolo come presidio ed eseguiva in paese varie requisizioni e prelevamenti abusivi colpendo con azione di rapina un numero di nove famiglie. Il ricavato delle succitate azioni è pari a lire 7000…
    Il località Bassone presso il sig. Andrei in una perquisizione asportavano una imprecisata serie di indumenti borghesi e un servizio in porcellana composto da 40 piatti, 40 bicchieri, uno specchio e parasoli di stoffa colorata in più veniva asportata una trus di tartaruga del valore di 10000 lire che sparì tra gli elementi che effettuarono la perquisizione. In seguito all’ordine di emergenza che il comando della brigata ha impartito il comandante Ulisse trovava il tempo di recarsi a Traversatolo e svolgere tra la popolazione una propaganda disgregatoria che consisteva nel proporre una nuova brigata del popolo e per avvalorare la proposta screditava il comando della 47-a brigata dicendo che l’attuale comando non era all’altezza del compito…


    La ’istruttoria’ prosegue poi impietosa…

    Volontari della Libertà – 47-a Brigata Garibaldi – Comando

    Oggetto: relazione di interrogatorio del comandante Ulisse

    Il ridetto insieme a un altro garibaldino si recavano a Borzano in casa di Don Ibattici pretendendo da questi denaro non avendo altro di facevano consegnare la somma di lire 725 frutto di elemosine di proprietà dei poveri. Non soddisfatto si faceva consegnare una macchina fotografica di proprietà della figlia della donna di servizio benché a conoscenza della provenienza del denaro e della proprietà della macchina con prepotenza esigeva ugualmente la consegna. Poi si recava in casa della maestra Melloni ed esigeva da questa impermeabile e un maglione benché fossimo all’inizio dell’estate…


    Agli ‘atti’ vi è anche una mezza dichiarazione difensiva…

    Volontari della Libertà – 47-a Brigata Garibaldi – Comando

    Oggetto: deposizione firmata dell’ex-comandante Ulisse

    L’imputato Ulisse smentisce l’accusa a lui attribuita di formare la nuova brigata del popolo di cui il vice-comandante Ursus invece asserisce di aver sentito l’Ulisse personalmente proclamare la necessità. L’Ulisse conferma l’accusa a lui attribuita di aver agito a Borzano sui fatti ascrittigli…


    E alla fine arriva il giorno del giudizio…

    Corpo Volontari della Libertà – 47-a Brigata Garibaldi – Comando

    Oggetto: processo a carico dell’ex-comandante Ulisse. Tribunale Garibaldino. Presidente William

    Noi sottoscritti in perfetta coscienza e lucidità di mente emettiamo sentenza capitale verso l’ex-comandante Ulisse dopo aver preso visione delle colpe a lui ascrittegli dopo un regolare processo con l’intervento dei testimoni. Pronti a rispondere in qualsiasi momento a un tribunale regolare firmiamo con piena consapevolezza sul provvedimento preso…


    C’è da chiedersi se avremmo mai saputo da fonte partigiana che alcuni comandanti ‘garibaldini’ avevano l’abitudine di rapinare le cassette delle elemosine nel caso in cui al povero ‘Ulisse’ non fosse passata per la testa l’idea di mettersi in proprio creando una sua ‘brigata del popolo’. Da notare infatti che ‘Ulisse’ [pericoloso per le sue idee ‘autonomiste’…] finisce al muro ma non c’è traccia negli ‘atti’ di una qualsiasi misura presa nei confronti di chi aveva partecipato con lui ai ‘prelevamenti’ e poi avevano spartito la refurtiva. C’è da chiedersi anche di quanti sono stati i partigiani che hanno fatto la stessa fine di ‘Ulisse’, dei Rossi e dei Castellucci, per i motivi più svariati. A fronte di un Massimo Villa [‘William’] che, per la sua innata passione al ‘gioco del processo’, annota alcuni episodi vi è sicuramente una schiera assai più numerosa di partigiani scomparsi senza lasciare alcuna traccia o finiti nell’albo dei ‘caduti in combattimento’. I pochi ma illuminanti ‘documenti’ resi noti dal comandante della 47-a lasciano intravedere una disinvolta ‘fucilatoria’ in famiglia di tutto rispetto. Non è azzardato pensare che, nel caso fosse possibile stilare dei conti esatti, avrebbe fatto più vittime nelle file partigiane questa che non gli odiati nazifascisti…

    Un altro caso emblematico è quello del Gap ‘Stella rossa’. Si trattava di un piccolo nucleo di sette elementi, costituito il 2 settembre ’44 da ‘Leo il Veronese’ nella zona di Langhirano. Il Gap ‘Stella rossa’ comincia ad operare ed invia dettagliate relazioni al comando della 47-a brigata. Questa ad esempio è del 3 settembre ’44…

    Comunico che questa sera è stata compiuta dalla squadra volante un’azione di polizia a carico dei fascisti della zona di Lesignano Baqni. In tale operazione è stata sequestrata la somma di lire 10000 delle quali lire 5000 vengono inviate a codesto comando. Faccio presente che tutti i componenti il Gap sono dotati di abito borghese. Sollecito l’invio della formula di riconoscimento. Il commissario politico: Marco. Il comandante del Gap ‘Stella rossa’: Leo il Veronese…

    Il Gap ‘Stella rossa’ daà un significato assai elastico alla parola ‘fascista’ e, nelle sue azioni di ‘recupero crediti’, finisce per pestare i piedi al locale comandante ‘garibaldino’, ‘Max’, il quale sopporta per un po’ e alla fine sbotta. Questo accade quando i ‘gappisti’, ignari della sensibilità di ‘Max’ per le ‘relazioni internazionali’, se la prendono con un cittadino svizzero che gode della sua protezione. Ecco il dispaccio, pieno di notizie davvero ‘illuminanti’, inviato da ‘Max’ al comandante ‘William’…

    Mi pervengono giornalmente continue querele da parte di diversi individui che espongo in ordine cronologico:

    6/9/44 – Vicariotto Antonio di Torrechiara, dopo aver offerto a noi una vaccina, mi ha comunicato quanto segue: ‘La notte scorsa 4 individui armati qualificatisi come Gap Stella rossa hanno fatto irruzione nella mia casa e accusandomi di essere fascista repubblicano, nonostante le mie rimostranze spigando quanto ho fatto per la causa partigiana, mi hanno svaligiato la casa asportando biancheria, salumi e 8000 lire senza rilasciar alcuna ricevuta’

    7/9/44 – Ugolotti Ausonio da Langhirano. Lunedì scorso fui chiamato preso il comune di Langhirano alla riunione promossa dal commissario del comando unico. Durante la riunione fu stabilita la quota che l’Ugolotti doveva versare ai partigiani. Verso sera si presentò all’Ugolotti il Gap Stella rossa chiedendo una sovvenzione di 50000 lire. Alle giuste rimostranze dell’Ugolotti che faceva presente come oggi non sia facile trovare ad ogni piè sospinto 50000 lire in liquido fu risposto in modo molto ineducato e fu intimato che se per le 23 ore non fosse stata pronta la somma lo avrebbero prelevato e portato con loro. Il contegno degli appartenenti al Gap fu indecoroso. Senza nessun riguardo per l’abitazione privata e per l’età dei padroni di casa si sdraiarono sui sofà e usarono un linguaggio ineducato lasciando una penosa impressione… A conoscenzaq che il commissario del c.u. sapeva della cosa il Gap si allontanò senza insistere nella richiesta

    9/9/44 – Garrel Werner, suddito svizzero. Case Bianchi. La popolazione di Case Bianchi ha fatto presente che Garrel era stato prelevato da partigiani. Immediatamente recatosi sul posto il vice-comandante di battaglione, il Garrel riferì di essere stato sequestrato dal Gap Stella rossa il Langhirano perché aveva disimpegnato mansioni di interprete presso il comando tedesco di Parma… Il Gorrel da noi avvisato tempo fa troncò da circa un mese il rapporto con i tedeschi e mise a nostra disposizione la propria macchina. Ha sposato un’americana e a quanto ci è stato detto è sempre stato un nostro simpatizzante. Il Gap sequestrò al Garrel: 2 orologi d’oro [uno era un ricordo di famiglia], una bicicletta di un certo Mattioli di Parma [gli dissero di arrangiarsi a pagarla], la scarpe, la cinghia, la penna stilografica, 600 lire, il passaporto e altri documenti. Gli ordinarono infine di non fare parola con nessuno di tutto questo. Richiamo l’attenzione di codesto comando particolarmente su questo sistema di gangsterismo in guanti più o meno gialli usati nei riguardi di un cittadino svizzero. Faccio presente che se si dovesse ripetere un fatto del genere io disarmo il gap Stella rossa e fucilo il comandante. Il comandante di battaglione: Max…


    A carico del Gap ‘Stella rossa’ il comandante ‘William’ non ritiene però di dover istituire un ‘processo’. Dal momento che il Gap opera senza grilli per la testa e in linea con le direttive del Partito comunista, non ce ne sono gli estremi. Si tratta in fondo solo di un ‘peccato veniale’, come spiega lo stesso ‘William’: ‘Ovviamente il compito di quei compagni [il Gap ’Stella rossa’… -n.d.a.] per le azioni che facevano richiedeva durezza e precisione. Il guaio era il non saper distinguere. Una cosa era un’azione in pianura, fra i tedeschi o in casa di fascisti, e un’altra cosa era la gente della nostra zona…’. Anche però la ‘gente di zona’ finisce col non poterne più dei partigiani, e allora il comandante ‘William’, il quale non si perde mai d’animo quando si tratta di ‘questioni di giustizia’, prende i primi che gli capitano a portata di mano, istituisce il suo bravo ‘processo’ e dà una dimostrazione esemplare di ‘fermezza garibaldina’, propagandandola a dovere con tanto di pubblici avvisi. Unico neo, come vedremo, è forse una tesi un po’ troppo ardita sulla ‘matrice fascista’ della dilagante criminalità partigiana…

    Volontari della Libertà – Avviso di sentenze del Tribunale Garibaldino

    Fin da questo inverno bande di razziatori agivano per la zona taglieggiando e spogliando sotto il nome di patrioti. Essi non compivano solo il reato di rapina a mano armata ma, approfittando del nostro nome, cercavano di volgere contro di noi l’odio della popolazione. I fascisti stessi infatti hanno inviato un loro emissario che potesse organizzare queste razzie per avere la possibilità di propagandare contro i patrioti, che invece soffrivano il freddo e la fame. Non erano perciò i vostri figli o genitori o patrioti italiani che razziavano e terrorizzavano la popolazione della montagna ma loschi individui mandati appositamente dai fascisti e dai nemici. Mentre i vostri traditori godevano delle loro rapine e davano adito alla propaganda nemica di scagliare contro di noi le loro malefatte. Dopo accurate ricerche di polizia per parte delle Brigate Garibaldine Parmigiane e Reggiane si scoprì e si arrestò una numerosa banda di questi razziatori che avevano operato in questa zona e il cui capo era un emissario dei fascisti. Si è riunito perciò il Tribunale Garibaldino composto da: Presidente […] Giudici […] Difesa […] e considerate le deposizioni degli accusati:

    Bertini Giovanni, di […], nato a Ruzzano, residente a […], colpevole di 25 [venticinque] razzie a mano armata in nome dei partigiani, capo banda, organizzatore ed emissario del fascismo nelle nostre zone. E’ condannato alla pena capitale

    Guazzetti Pietro, fu […] e di […], nato a Traviano, residente a […], colpevole di aver spinto per la prima volta i figli a rubare, responsabile di tutti i furti da essi in seguito consumati, ricettatore, spacciatore di tutta la merce razziata dai figlie dai componenti della banda. E’ condannato alla pena capitale

    Le condanne capitali sono state fatte eseguire da questo Tribunale Garibaldino

    Il Tribunale Garibaldino della 47-a Brigata . Lì 7 settembre 1944


    La giustizia ‘popolare’, come si vede, non perdona. Cosa avessero veramente fatto i due capri espiatori messi al muro in questa occasione, Giovanni Bertini e Pietro Guazzetti, non lo sapremo mai. Di sicuro sappiamo che ‘William’ non istituiva ‘processi’ contro i veri fascisti che cadevano nelle sue mani. La cosa evidentemente non lo divertiva. Nelle sue memorie alla soppressione dei fascisti dedica poche righe come queste…

    Il distaccamento Don Pasquino ha provveduto all’esecuzione di un fascista repubblicano catturato. Il comandante del Don Pasquino deve avere già inviata al comando della 47-a Brigata dettagliata relazione sulle malefatte di detto fascista…

    La ‘dettagliata relazione’ non l’abbiamo trovata. Quello che è evidente invece è che i prigionieri fascisti possono ritenersi fortunati se vengono ammazzati subito. Altrimenti devono prima sottostare a questa trafila, della quale a un certo punto si lamenta perfino il commissario politico della brigata, per ‘ragioni di giustizia’ s’intende…

    Copro Volontari della Libertà – 47-a Brigata Garibaldi – Commissario Politico – Z.O. 6 ottobre 1944

    Oggetto: Trattamento dei prigionieri

    Al Comandante e Commissari di Battaglione. Questo commissario ha notato che circa il trattamento dei prigionieri catturati i Distaccamenti […] li bastonano, li spogliano e portano a questo Comando dei rottami umani e ciò non giova certo all’inchiesta giudiziaria. Si pregano i Comandanti e i Commissari di Battaglione di riflettere[…]

    Il commissario politico: Lamberti


    Il problema più grosso per ‘William’ resta quello della delinquenza partigiana. Periodicamente il comandante della 47-a è costretto a istruire il solito ‘processo’ e a fucilare qualche ‘patriota’ a scopo dimostrativo. Ora è la volta di ‘Janez’, al secolo Fortunato Solari, maestro elementare….

    Corpo Volontari della Libertà – 47-a Brigata Assalto Garibaldi – Tribunale Garibaldino – 17 dicembre 1944

    Il Tribunale provvisorio garibaldini riunitosi il giorno 17/12/1944 composto da: William Presidente, […], Pubblica Accusa […], Avvocato Difensore […], Testimoni […]

    In seduta stante, dopo aver interrogato gli imputati e i testimoni e dopo le parole del Presidente, dell’Accusatore e della Difesa e Giuria, emette la condanna capitale a carico di Solari Fortunato, della classe 1929, di professione insegnate
    [insegnante a soli 15 anni?… - n.d.r.] residente a Rivalta di Lesignano Bagni, imputato di aver capeggiato una banda di razziatori che hanno operato in danno di incensurate famiglie e di borghesi e a danno del buon nome della Resistenza Patriottica e Garibaldina…

    Viene davvero il dubbio che, prima del 25 aprile ’45, i ‘garibaldini’ della 47-a abbiano ‘giustiziato’ più partigiani che fascisti. Nessuno saprà mai che cosa è successo nelle altre brigate, dove non c’era un ‘William’ che teneva ‘verbali’ e istruiva ‘processi’. Le fucilazione dei ‘compagni che sbagliano’ però non bastavano evidentemente a dare una patina di onorabilità a ‘truppe’ che, stando a questi documenti partigiani ‘doc’, sembrano composte più da delinquenti che da combattenti. E così ecco i proclami solenni, come quello del 19 dicembre ’44 che si conclude con queste precise, incredibili parole: la 47-a brigata d’assalto Garibaldi non si scioglie, non si scoraggia, non cede… sterminerà i ladri e i nazifascismi… Caso forse unico nella storia della resistenza, il problema della liberazione dai ‘ladri’ è anteposto a quello della librazione dai ‘nazifascisti’. La tendenza al furto, alla rapina, all’estorsione sembra essere un fenomeno connaturato all’esistenza stessa delle bande partigiane in Emilia. Non si arresta neppure sotto la minaccia dei rastrellamenti, anzi. Al comandante ‘William’ non bastano più le fucilazioni di ‘patrioti’. Deve lanciare vere e proprie ‘grida di dolore’…

    C.V.L. – 47-a Brigata Ass. Garibaldi – Comando

    Al Popolo di Neviano Arduini e di Traversatolo

    In questi giorni di duro rastrellamento falsi patrioti hanno operato dei veri e propri furti, rapine a mano armata contro pacifici cittadini borghesi infangando il nome del nostro movimento. Questo ladri li colpiremo senza pietà […] Dobbiamo riunirci in comitati contadini rivoluzionari […]

    Z.O. 23-12-1944- Il copmando della 47-a Brigata Garibaldi: William


    Dopo questo quadro alquanto sommario della ‘giustizia partigiana’, torniamo alla storia delle vicende reggiane della guerra civile, e precisamente ai primi mesi del ’44. Tra i massacri compiuti in quel periodo dai partigiani, uno dei più atroci fu quello che costò la vita all’intero presidio della Gnr di Cerredolo, località dell’Appennino reggiano ai confini con la provincia di Modena. Questo presidio, composto di 12 uomini al comando del maresciallo Morini, venne sopreso con uno stratagemma nei primi giorni di maggio del ’44. I militi furono tutti massacrati e i loro cadaveri orrendamente mutilati. Il fatto compare anche nel racconto di William Ferrari, ex-partigiano comunista che aveva rotto con il Pci e che nel 1961 si è deciso a vuotare il sacco su quello che sapeva della resistenza reggiana scrivendo un memoriale. William Ferrari, nome di battaglia ‘Gordon’, non era un personaggio di secondo piano. Comunista, partigiano nel distaccamento ‘Don Pasquino Borghi’ a Ciano d’Enza, era poi entrato nell’organizzazione gappista e in contatto con i capi del Pci reggiano, all’atto della costituzione della ‘Cooperativa Abbattitori e Macellatori’ di Reggio Emilia, ne era divenuto il primo presidente, carica che ha ricoperto finchè il suo vice Rino Soragni [‘Muso’], vicecomandante della 37-a Gap, non ha preso il suo posto. Della crisi che lo ha portato ad abbandonare il Pci , William Ferrari parlava in questi termini…

    Soltanto da qualche anno a questa parte, soltanto quando ho la serenità necessaria per confrontare ciò che ci veniva insegnato durante la guerra partigiana con quello che poi è realmente accaduto, ho cominciato a capire i veri metodi del Partito comunista, gli scopi reali che perseguiva. Quando, prima e dopo l’aprile del ’45, i nostri capi ci dicevano che dovevamo ammazzare tutti i fascisti, uomini e donne, per gettare le basi di una nuova società dove avrebbe regnato la giustizia, io ci credetti e feci il mio dovere. Adesso però, a molti anni di distanza [era il 1961…- n.d.a.], ora che ho visto gli illeciti arricchimenti dei nostri capi di allora e la miseria dei gregari, voglio che tutti sappiano quello che so io… In quei giorni [dopo il 25 aprile ’45…-n.d.a.] si uccideva la gente con facilità inaudita. Noi avevamo l’ordine di agire a nostro piacimento, purchè si arrivasse all’eliminazione dell’intera classe dirigente anticomunista. Fu così che moltissimi furono prelevati e uccisi senza che avessero mai commesso alcuna colpa, né fossero mai stati fascisti. L’odio che ci avevano inculcato i dirigenti del Partito comunista si era scatenato nella maniera più bar5baraq. Non si ebbe pietà né di do0nne né di bambini… Nei nostri ambienti si calcola che le eliminazioni nel Reggiano furono circa 3.500… Non perdonerò mai ai comunisti di aver ucciso anche moltissimi partigiani che avevano fatto il loro dovere di combattenti e che erano colpevoli soltanto di non condividere le idee e le impostazioni dei capi del partito…

    Del memoriale di ’Gordon’ riproduciamo ora un brano che costruisce un saggio esemplare su quella che è stata l’azione partigiana nel Reggiano. Il lettore ricordi che tutti i riferimenti temporale al presente vanno riportati al 1961, anno di stesura del memoriale…

    Questa volta parlerò della zona intorno a San Polo e Ciano d’Enza, due paesi insanguinati come pochi dalle azioni di certi partigiani. Da quelle parti c’ero anch’io e quindi ne posso parlare con cognizione di causa. I partigiani che più si9 distinguevano per la loro ferocia lungo le rive dell’Enza [torrente che segna il confine tra le province di Parma e Reggio Emilia… n.d.r.] erano Brenno Pagani, Pellegrino Fornaciari, il figlio del macellaio Burani Margine, ora guardiapesca a Reggio Emilia, Giovanni Gibertini detto Vulcano, Athos Sacchetti, fratello del deputato comunista e ora dirigente della Camera del Lavoro, la fidanzata di Sacchetti ora divenuta sua moglie, Enzo Gorini, Antonio Alessi, Mario Sulpizio detto Guerra, Lillo Giglioli ora noto possidente, Ganapini poi processato per l’uccisione di un parroco della zona, Arnaldo Zaboletti ora commerciante di frutta e verdura in piazza Fontanesi a Reggio Emilia, i fratelli Curti detti ‘Stufoni’, e infine Otello Salsi. Di Otello Salsi posso dire che ha fatto uccidere barbaramente il notaio di Cervarezza di Busano, il dottor Vezzosi, derubandolo dei vestiti che indossava e della fede matrimoniale che portava al dito. L’abito rubato, di colore scuro, servì a Salsi per il suo matrimonio e la fede rubata finì al dito della moglie. Salsi, a quanto mi risulta, è anche responsabile dell’uccisione di Primo Poletti, il cui cadavere non è mai stato trovato. Quanto ai fratelli Curti, gli ‘Stufoni’, erano specializzati nelle rapine ai danni dei personaggi più benestanti della zona…

    Una delle azioni più barbare fu certamente il massacro dei tredici militi della Gnr del presidio di Cerredolo di Toano. Era la sera del 3 maggio 1944, intorno alle ore 22. I partigiani sapevano che presso un bar del paese ogni sera si potevano trovare due o tre militi esenti dal servizio che passavano lì il tempo. Una trentina di partigiani della zona, tra i quali diversi di coloro che ho nominato, entrarono all’improvviso nel bar e disarmarono due militi che vi si trovavano. Puntarono quindi loro le armi dietro la schiena e si fecero accompagnare al presidio. Li costrinsero a suonare il campanello e a farsi aprire, mentre i partigiani erano dietro di loro, non visti e con le armi in pugno. Non apeena il portone si aprì i partigiani si precipitarono dentro, disarmando e catturando gli altri dieci militi del tutto ignari di quello che stava accadendo. Gli assalitori non volevano limitarsi a disarmare il presidio, volevano una strage. Portarono tutti e dodici i militi nel piccolo cortile e li falciarono con i mitra. Poi si accanirono sui cadaveri. Una cosa orrenda. Nei mesi successivi alcuni di quelli che avevano agito in quel cortile si vantavano di cose da voltastomaco. Lascio immaginare in quale stato furono trovati i cadaveri il giorno dopo. Comandante del presidio era il maresciallo Rinaldo Morini. Suo figlio Afro fu prelevato il 4 marzo 1945 dal partigiano Giovanni Libertini, detto ‘Vulcano’. Il copro del ragazzo fu poi ritrovato a Cerredolo dei Coppi nel giugno del 1945 da una contadina che stava zappando in un campo…


    Fin qui il racconto di William Ferrari. La notte di sangue di Cerredolo doveva però avere un seguito immediato, anzi due. Ai tredici militi massacrati si aggiungeranno altri sei morti [più due probabili…], secondo la logica che la politica della strage, ormai carta vincente dei comunisti, ha calato come una cappa d’incubo sul Reggiano. Questa volta si tratta di un narratore d’eccezione, Guerrino Franzini, storico ‘ufficiale’ della resistenza reggiana. Narratore ‘eccezione, dicevamo, perché Franzini stavolta racconta la storia in prima persona. Il brano che segue infatti è tratto dal suo diario personale, pubblicato dopo la sua morte nel 1983 sui numeri 50/51 di Ricerche storiche – Rivista di storia della Resistenza reggiana. Guerrino Franzini [‘Frigio’] er passato con i partigiani nell’aprile del ’44 disertando dalle file della Repubblica Sociale Italiana, dove aveva prestato servizio come sottoufficiale copn tanto di bacio alla bandiera e firma autografa in calce alla formula del giuramento. Ecco come descrive una delle prime azioni partigiane alla quale ha partecipato…

    Il seguito al disarmo del posto di guardia della Gnr all’ammasso di Cerredolo, effettuato da una formazione modenese, rinforzi fascisti giunti sul posto fucilavano il 5 maggio in Cerredolo 5 soldati sbandati. Gli infelici avevano trovato temporaneo rifugio in una casa di contadini a Castagneto. La loro presenza era stata però segnalata ai fascisti che, come si è detto, li uccisero immediatamente. La delazione andava punita duramente perché l’esempio non fosse imitato e provocasse altri lutti. Partimmo prima di sera dalla Magolese e arrivammo sul posto a notte fonda. Anche questa volta entrò nella casa Vincenzo con alcuni partigiani. La famiglia era radunata nell’ampia cucina. Al centro, l’alta figura di Vincenzo in veste di accusatore dominava come su di una scena. Cominciò col compiangere la sorte dei cinque giovani dovuta a una spiata partita da quella casa. Il capo famiglia ascoltava allibito mentre gli altri familiari facevano circolo. Si venne a sapere che a portare la notizia ai fascisti era stata la giovane nuora, ma che questa era stata mandata dal vecchio il quale pertanto era da ritenersi il vero responsabile. Vincenzo pronunciò una specie di atto d’accusa con accenti ora infuocati, ora patetici. Il vecchio, con le mani sul volto, confessava: ‘… lo so… è colpa mia… sono un disgraziato…’. Venne portato via insieme al figlio e alla nuora. Due vaccine furono prelevate dalla stalla. Sulla via del ritorno la colonna si fermò un attimo tra i campi. Il vecchio fu accompagnato da una pattuglia poco distante e ucciso con un colpo di pistola. I due giovani furono trattenuti qualche giorno alla Magolese e poi rilasciati…

    Questa è la testimonianza diretta di uno storico ‘ufficiale’ della resistenza. Un esempio della ‘verità’ su quel periodo come la si insegna nelle scuole italiane. La barbarie e gli orrori di Cerredolo sono ridotti a ‘disarmo del posto di guardia della Gnr’. La rapina delle bestie, il sequestro di due giovani e l’assassinio del vecchio di Castagneto diventano atti di giustizia e ‘profilassi’ per ‘impedire altri lutti’. A politica della strage insomma, voluta e perseguita dai comunisti, è ribaltata pari pari sulle spalle dei fascisti con una semplice operazione chirurgica. Si taglia la testa alla catena di avvenimenti. Non è neppure il caso di invitare a riflettere su quello che, dietro la prosa fantasiosa dello ‘storico professionale’, è veramente accaduto quella notte nella casa colonica di Castagneto e che fine abbiano fatto veramente la ‘giovane nuora’ e il suo sposo. Dato e non concesso che la rapina e l’omicidio di Castagneto fossero da collegare ai fatti di Cerredolo e che il collegamento non sia piuttosto un pretesto ideato dallo ‘storico’ per poterli raccontare in chiave ‘edificante’, nascondendo altre inconfessabili realtà. Da una ‘storiografia’ di questo calibro c’è da aspettarsi di tutto. I lettori avranno modo più avanti di toccare con mano altri esempi…

    La strage di Cerredolo non fu che uno degli episodi di sangue di cui fu piena la provincia di Reggio Emilia in quei primi mesi del ’44. La sera del 16 febbraio ’44 per esempio a Codemondo i partigiani sterminarono a raffiche di mitra la famiglia Cigarini, la quale gestiva una rivendita di sali e tabacchi. Vennero assassinati Achille Cigarini ed Ernestina Bertani, entrambi di 49 anni, con i figli Fausto di 25 anni e Ubaldo di 16. Sopravviveva per poco la madre di Cegarini, Rosa Devoti di 86 anni, gravemente ferita. Si salvava invece il terzo figlio, Francesco di 20 anni, semplicemente perché si trovava a Lodi in servizio militare. La strage venne compiuta dai partigiani in una ‘azione di autofinanziamento’ dopo che Ernestina aveva riconosciuto uno degli aggressori nonostante fosse mascherato. Dopo il massacro, prima di allontanarsi, i partigiani svaligiarono negozio e abitazione senza tralasciare di strappare dalle mani della vecchia ottantaseienne, sanguinante in mezzo ai corpi dei suoi cari assassinati, una fisarmonica che la donna stringeva tra le mani. Francesco Cigarini, unico superstite della famiglia, si oppose ad ogni forma di rappresaglia. Nel 1948 si rivolse alla magistratura denunciando i colpevoli della strage, tutti ben noti nella zona. Non ebbe giustizia, quella ‘azione di guerra’ che era costata la vita a tutti i suoi cari non poteva essere perseguita. In compenso sibirà diversi attentati intimidatori. Il moltiplicarsi di stragi e uccisioni isolate mise in allarme i comandi fascisti e tedeschi del Reggiano che, ad un certo momento, credettero di aver localizzato nella zona di Villa Minozzo il centro di tutta l’attività partigiana. La situazione precipitò il 15 marzo, allorché un soldato tedesco venne ucciso nei pressi di Cervarolo di Villa Minozzo. Immediatamente partivano da Reggio Emilia un centinaio di SS che circondavano il borgo rastrellavano i pochi uomini dell’abitato. Quei poveretti, ventidue in tutto, vennero massacrati e insieme a loro fu trucidato anche il parroco, don Battista Pigozzi di 67 anni. Dopo la strage di Cervarolo le popolazioni locali, consapevoli ormai dei rischi ai quali le esponevano i partigiani, non volevano più saperne di ospitarli e sfamarli. Le bande così vennero sciolte e i superstiti si unirono ai nuclei molto più consistenti che si stavano costituendo nel Parmense. A partire da questo momento l’azione partigiana si spostò in pianura, dove cominciarono a operare le squadre gappiste della 37-a brigata. Questa formazione, la cui storia comprende gran parte dell’attività partigiana del Reggiano, si dedicherà principalmente all’azione terroristica. Eccone comunque una breve scheda storica…

    La 37-a Gap operò essenzialmente a nord della Via Emilia. In seguito la sua attività si estenderà un po’ dappertutto nella zona che và dagli Appennini al Po, escluso il centro urbano di Reggio, dove la vigilanza della polizia fascista rendeva difficile e pericolosa la loro azione. Questa formazione, che poi diverrà [specie dopo il 25 aprile…] tristemente famosa per la sua spietatezza, era stata fondata ed aveva avuto come primi capi i seguenti militanti del Pci: Vittorio Saltini [‘Toti’] primo comandante di brigata, Aldo Ferretti [‘Toscanino’] commissario politico, Celso Giuliani [‘William’] ispettore militare. Sotto la guida di questi uomini la 37-a Gap si fece una tale fama tra i comunisti da meritare l’appellativo di ‘leggendaria’. Posta in un primo tempo alle esclusive e dirette dipendenze del Pci di Reggio, passò in seguito agli ordini del comando di piazza. Dato però che Vittorio Saltini all’interno del comando di piazza ricopriva la carica di commissario politico [ poi conseguirà quella di comandante politico…], praticamente la 37-a Gap non obbediva che agli ordini del Pci, trascurando di fatto i membri del comando che militavano in altri partiti. Un sintomo dell’atmosfera esistente all’interno di questa ‘alleanza’ tra i comunisti e il resto dell’antifascismo si coglie in una dichiarazione fatta allora agli inquirenti della Rsi dal conte Calvi [democristiano] dopo la sua cattura: ‘I comunisti sanno tutto di noi e noi non sappiamo nulla di loro…’. Collaboravano nell’organizzazione e nell’inquadramento della 37-a Gap i seguenti partigiani, tutti comunisti: Sante Vincenti [’Mario’], Angelo Zanti [‘Paolo’] ispettore del Pci del comando piazza e fucilato a Reggio il 13 gennaio ‘45, Alcide Leonardi [‘D’Alberto’], Osvaldo Poppi [‘Davide’], Gismondo Veroni [‘Tito’] [questi ultimi tre componenti del primo comando militare reggiano e già presentati nel corso della vicenda dei fratelli Cervi….] e infine Vivaldo Salsi [‘Tancredi’]. In seguito il trasferimento di Poppi [troppo noto nella zona di Reggio …] preso il comando delle formazioni partigiane dell’Appennino Modenese, l’arresto e la fucilazione di Vittorio Saltini [‘Tito’] e Angelo Zanti [‘Paolo’] e altre perdite per arresti e scontri con i militi fascisti, portarono tra le file e al comando della 37-a nuovi elementi. Tra questi, tutti anche loro comunisti, i più famigerati furono Alfredo Casoli [‘Robinson’] comandante della brigata fino al 25 aprile e oltre, poi incarcerato per l’omicidio del suo vice Rino Soragni [‘Muso’] avvenuto con fucilazione alla schiena i 16 marzo 196 [!… di questo episodio ci occuperemo più avanti…]. Le gesta attribuite alla ‘leggendaria’ sono tali e tante che qui è impossibile narrarle tutte. Ci limitiamo a presentarne una sintesi tratta dal ‘diario storico’ , avvertendo i lettori che lo stato di servizio della 37-a Gap copre il periodo che va dalla sua costituzione [inverno ‘43-‘44] al 25 aprile ’45. Il periodo successivo è praticamente ignorato dagli ‘storiografi’ della resistenza reggiana…

    In tutto 345 nemici uccisi accertati più 12 probabili, 210 nemici feriti più 12 probabili nelle seguenti azioni:

    5 giugno 1944 –A San Martino in Rio è giustiziato un noto squadrista

    6 giugno 1944 – A Gavassa è giustiziato il commissario prefettizio

    14 giugno 194- A Sant’Ilario d’Enza è giustiziato il commissario prefettizio

    20 giugno 1944 – A Cavriago è assassinato il commissario prefettizio

    21 giugno 1944 – Alla periferia di Reggio è giustiziato un cittadino sospetto di simpatie per i fascisti

    22 giugno 1944 – In altra zona della periferia di Reggio è giustiziato un altro cittadino in quanto si suppone non simpatizzante dei ‘patrioti’, avendo egli rifiutato di contribuire al fondo di guerra della brigata. Sul suo corpo è stata rinvenuta una somma di denaro che è stata sequestrata


    Dallo stralcio di cui sopra si può notare una sorta di ‘accanimento’ nei confronti dei commissari prefettizi. Nella loro totalità costoro [nessuno era ‘di carriera’… ] erano gente del luogo che in un momento particolarmente tragico avevano assunto il difficile incarico di amministrare i comuni, assicurando soprattutto il rifornimento di viveri alla popolazione. Le loro uccisioni, esaltate dalla resistenza reggiana come ‘atti di eroismo’ [di solito andavano tre o quattro partigiani ad uccidere un inerme…] furono in realtà delitti comuni, commessi col favore delle tenebre e con la certezza di assoluta impunità. Dopo il 25 aprile ’45 la 37-a Gap passò alle dipendenze dirette del famigerato Didimo Ferrari [‘Eros’]. Costui, divenuto capo di tutti i partigiani della provincia, assieme al segretario politico del Pci Arrigo Nizzoli instaurò il regno del terrore nel Reggiano. In previsione dei massacri in atto o progettati in vista dell’avvento della ‘repubblica popolare’, Didimo Ferrari cambiò il nome di battaglia da ‘Eros’ in ‘Duri’. I terroristi della 37-a Gap, tranquilli e sicuri di non essere più disturbati da tedeschi e fascisti, si diedero a massacrare impunemente centinaia di innocenti. In assenza di una qualsiasi autorità in grado di contenerli [abbiamo giù visto come il comandante di piazza americano, il colonnello Radice, ha dovuto proteggere i carabinieri che tentavano di riprendere possesso delle stazioni dell’Arma nella provincia sotto totale controllo comunista…], Didimo Ferrari e Arrigo Nizzoli non conobbero più freni e, su loro ordine, gli assassini della ‘leggendaria’ cominciarono ad ammazzare anche gli ex-partigiani che non condividevano le idee dei capi comunisti. Caddero così sotto il piombo della 37-a Gap l’ex-partigiano Mario Giberti [‘Rubens’], il brigadiere della polizia ausiliaria Nello Riccò [‘Agostino’], Adelmo Cipolli [‘Mauro’] i cui cadaveri non sono mai più stati trovati. Perirono poi, sempre per mano della 37-a, l’ex-partigiano delle ‘Fiamme Verdi’ Giorgio Morelli [‘Solitario’], fondatore del periodico La Penna che stava indagando sull’uccsione, avvenuta nel settembre ’44, del suo compagno e amico Mario Simonazzi [‘Azor’], ucciso insieme ad altri dai partigiani comunisti. Nell’organizzazione di queste eliminazioni ‘in famiglia’, oltre a Alfredo Casoli [‘Robinson’], era impegnato anche l’ex-‘leggendario’ Oddino Cattini [‘Sbafi’]. Centinaia di assassinati [di molti dei quali non sono stati trovati i corpi…], estorsioni, rapimenti, infamie di ogni genere, sono imprese che non figurano ovviante sul ‘Diario di guerra’ della 37- brigata. Tutti i reggiani però che vissero quel tragico dopoguerra ricordano bene le imprese criminali compiute, anche dopo il 25 aprile, da quella che era diventata la confraternita dell’omicidio. Solo nel 1949, dopo che l’Arma dei carabinieri aveva faticosamente ripreso il controllo del territorio, si arrivò all’arresto di Arrigo Nizzoli e la riuscita fuga di Didimo Ferrari, messo tempestivamente al sicuro dall’apparato del Pci. Le amnistie e i condoni salvarono poi entrambi dalla galera, e con loro si salvarono gli altri appartenenti alla ‘leggendaria’ , che comunque il Partito comunista non emarginerà mai e anzi terrà in posti di rilievo. Il caso di Renato Bolondi [‘Maggi’], divenuto sindaco di Luzzara, è un esempio fra i tanti. E’ poi noto che, nonostante straordinaria predisposizione dei partigiani comunisti ad uccidere, le loro formazioni non attaccarono mai in forze le linee di comunicazione italo-tedesche e tutte le volte che fascisti e tedeschi procedettero a rastrellamenti a largo raggio esse si sfasciarono e organizzarono rapide fughe verso i passi dell’Appenino Tosco-Emiliano oppure verso il territori parmense e modenese. La cosa era talmente evidente che, nell’imminenza della fine della guerra, i comandi partigiani si sentirono in obbligo di diffondere circolari come questa…

    C.V.L. 143-a Brigata Ass. Garibaldi ‘Aldo’ – Ufficio Stato Maggiore – XX, 2 marzo 1945 – Nr 1115 di prot. S.M.

    Oggetto: Tattica di guerriglia

    Al Comando dei Btg. Dipendenti
    Ogni giorno che passa le condizioni del nemico si fanno sempre più precarie. Con l’avvicinarsi della conclusione del conflitto […] è giunta l’ ora di fargli sentire il nostro peso […]. I Comandi dipendenti si atterranno quindi nei prossimi fatti d’arme alle seguenti norme generali […]. Il mito che la semplice apparizione dei tedeschi basta a far dileguare i partigiani come neve al sole deve essere bandito per sempre.

    D’ordine. Il capo di stato maggiore: Bevilacqua


    La reale capacità offensiva dei partigiani sull’Appennino Reggiano era talmente ridotta, che solo il 24 aprile ’45 ricevettero l’ordine si scendere verso la pianura, ventiquattrore prima che le truppe americane occupassero Reggio Emilia. Due ore prima che gli americani arrivassero in città, una decina di partigiani provenienti dall’Appennino entrarono in Reggio da Porta Castello, anche se nessuno se ne accorse. La cosa si seppe solo dopo alcuni giorni, allorché esplose un’aspra polemica tra partigiani comunisti e democristiani, ciascuno dei quali rivendicava l’onore di aver ‘liberato’ la città del Tricolore…

    Per completare il quadro delle formazioni partigiane, aggiungiamo un breve cenno sulle brigate Sap. Gli storiografi resistenziali reggiani narrano, nelle loro storielle romanzate, che nella provincia di Reggio Emilia hanno operato durante la guerra ben quattro brigate Sap [Squadre Azione Patriottiche…-n.d.r.]. A noi risulta che i servizi di informazione italo-tedeschi erano al corrente di due brigate Sap, e precisamente la 76-a, che grosso modo copriva la zona collinare e pre-collinare, e la 77-a, operante dalla Via Emilia al Po. I principali responsabili di queste due brigate erano: Guerrino Cavazioni [‘Ciro’], uscito dal Pci nel ’47 perché a suo dire ‘completamente disgustato’, Renato Bolondi, gestore della ‘Casa della morte’ di Campagnola già noto ai lettori, Armando Attolini [[‘Dario’] e Romeo Cattini [‘Zenith’], entrambi commissari politici e fornitori di vittime alla ‘Casa della morte’ gestita da Bolondi nella sua casa di Campagnola. Mai i servizi di informazione italo-tedeschi hanno sentito parlare di altre brigate o di una divisione Sap. Forse la risposta a queste versioni contrastanti sta nel ‘rigomfiamento’ avutosi nelle formazioni partigiane dopo il 25 aprile, al quale già abbiamo accennato. Gli elementi delle Sap agivano quasi sempre nei luoghi di residenza o immediatamente vicini [generalmente nelle ore notturne usando la bicicletta per brevi spostamenti…]. All’arrivo del 25 aprile costoro, usciti allo scoperto, divennero il punto di riferimento per coloro che [non pochi, purtroppo…], visto che ogni pericolo era scomparso e si poteva dare addosso impunemente ai ‘signori’ e ai ‘fascisti’, si resero disponibili ad aiutarli negli eccidi e nelle ruberie. Costoro rappresentarono la prima non modesta aliquota di quanti si precipitarono ad arruolarsi nelle Sap locali, arruolamento che presentava il ‘vantaggio di riposare nel proprio letto quando si era stanchi di combattere’ [parole testuali di un sappista di Rio Saliceto…]. Inoltre tra un ‘combattimento’ e l’altro [il che dopo il 25 aprile, tradotto in parole povere, significava andare ad assassinare e rapinare gente inerme…] si potevano fare anche i prpri interessi vendendo in altre località i beni ‘sequestrati al nemico’. In base agli ordini del Pci, i capi delle Sap locali, tutta gente del posto, non ebbero alcuna difficoltà ad arruolare questa prima ondata di ‘patrioti’, considerando anche il fatto che più complici avessero avuto, più ferrea sarebbe stata l’omertà riguardo alla resa dei conti con la ‘giustizia borghese’. Il grosso degli ‘arruolamenti’ si ebbe però quando si sparse voce che ai partigiani sarebbero stati erogati ‘premi di smobilitazione’. A questo punto la proliferazione dei sappisti acquistò i contorni dim un fenomeno di massa. Si ‘arruolarono’ famiglie intere, compresi nonni e bambini. Vi furono ‘patrioti’ seganti contemporaneamente con nomi diversi in dozzine di elenchi di varie località. Nei ruolini figurarono anche i nomi di persone morte da decenni, di emigrati all’estero e non più tornati, di prigionieri di guerra ancora in India, Africa, America. Vennero inclusi nelle liste nelle liste dei desitnatariu ai ‘premi di smobilitazione’ nomi tratti dagli elenchi telefonici di altre province. Naturalmente i beneficiari dovevano versare una tangente ai ‘benefattori’ [Pci e capo sapèpista locale…] e l’imminente ‘rivoluzione’ avrebbe poi coperto tutto. Ecco come si spiega l’esistenza di due brigate Sap ‘di troppo’ , le quali non risultavano prima del 25 aprile ai servizi informativi della Rsi. Circa gli obiettivi militari gei sappiti reggiani nessuno è più qualificato ad illustrarli dell’ex-comandante della 77-a brigata Sap Guerrino Cavazioni [‘Ciro’], il quale ebbe a dichiarare…

    Ad opera dei miei distaccamenti venivano compiuti prelevamnti di persone qua e là con molta frequenza. Queste operazioni venivano dirette da un commissario che dava disposizioni circa le esecuzioni sommarie. So che le persone prevate in questo modo sono state moltissime nella Bassa Reggiana e furono proprio queste esecuzioni che mi misero in urto con il Partito comunista…

    Ultima osservazione. Ai ‘sappisti’ e ai ‘patrioti’ venne affidato l’incarico di riscuotere le quote del ‘Prestito della Liberazione’. ‘Pagare o morire!…’ era lo slogan con il quale venne propagandato. Generalmente l’individuo scelto per la sottoscrizione era avvicinato una prima volta e invitato a contribuire con i propri denari alla ‘causa della Liberazione’. Gli si risparmiava il fastidio di dover calcolare la cifra. L’importo era già fissato e non erano ammesse riduzioni. Se il ‘sottoscrittore’ aderiva, bene… se no riceveva un secondo invito, sostenuto da argomenti assai più ‘convincenti’. Non era previsto un terzo avvertimento. A quel punto alla riscossione degli incassi provvedevano i distaccamenti di ‘Ciro’, ovviamente nell’ambito di una ‘azione di guerra’. Nessuno ha mai saputo [né ha avuto interesse a chiedere…] che fine hanno fatto i denari sottoscritti ‘per la Liberazione’…



    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  4. #14
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    Predefinito

    Ma la "logica" nazifascista dellerappresaglie non prevedeva il 10 a 1? Perchè 32 per 2 nazi morti?

  5. #15
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    Predefinito PERCHE' LA GUERRA

    UMA DOMANDA, MA NESSUNO SI CHIEDE PERCHE' CI SIAMO TROVATI IN GUERRA, PRIMA IN AFRICA E SPAGNA, POI IN GRECIA (dove dovevamo spezzare la schiena a quel regime fascista), DI NUOVO IN AFRIA, IN RUSSIA A MORIRE DI STENTI E DI FREDDO ED INFINE A CASA NOSTRA.
    MA ERA PROPRIO NECESSARIO, VA BE' CHE AVEVAMO OTTO MILIONE DI BAIONETTE E LE SCARPE ROTTE E BISOGNAVA USARLE.
    VORREI RISPOSTE SENSATE E NON DEMAGOGICHE

  6. #16
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    Predefinito ... un comunista 'pentito'...

    Una cosa che pochi forse sanno è che l’espressione ‘triangolo della morte’, che poi verrà estesa a gran parte dell’Emilia Romagna, in origine designava la parte della provincia di Modena che aveva come vertici Castelfranco Emilia, Piumazzo e Mandolino. In questa zona ha operato una delle più spietate e feroci bande criminali partigiane che aveva come capi un certo Dante Bottazzi e Vittorio Bolognini. Quest’ultimo aveva preso parte ad una edizione si scala minore della ‘Repubblica dell’Ossola’ avvenuta nel Modenese e conosciuta nella storiografia resistenziale come ‘Repubblica di Montefiorino’. In questo contesto aveva ricoperto il ruolo di ‘aiutante maggiore generale delle Sap-montagna’, ruolo in cui si era distinto per inumana ferocia. Tra le sue vittime vi era stato un partigiano che, non avendo risposto ad un suo ordine, era stato da lui fulminato con cinque colpi di pistola. Bolognini si giustificherà poi dicendo che quel partigiano ‘gli era sembrato una spia’. Tra le innumerevoli vittime della banda Bottazzi-Bolognini vi sono stati il parroco di Riolo don Giuseppe Tarozzi, ‘prelevato’ il 26 maggio 1945 e mai più ritrovato, e Renato Seghedoni, ex-partigiano che aveva minacciato di rivelare quello di cui era a conoscenza ed è stato per questo eliminato. Condannato nel dopoguerra da una corte di giustizia, Dante Bottazzi, al pari di altri partigiani comunisti, è stato fatto espatriare in Yugoslavia dove ha vissuto sempre in assoluta tranquillità. Di recente il ‘caso Bottazzi’ è tornato alla ribalta della cronaca, soprattutto in seguito alle rivelazioni di alcuni comunisti ‘pentiti’. Quello che segue è un articolo comparso questa settimana su Il Giorno che contiene un’intervista ad uno di questi ‘pentiti’, il partigiano comunista reggiano Otello Montanari…

    Al solito… buona lettura!…




    Sfilata di ‘partigiani’ per le vie di Bologna a fine aprile ’45. E’ evidente a chiunque che l’individuo a destra, sia per il modo di portare l’arma, sia per la vistosa ‘panza’, non ha l’aria di uno che ha trascorso mesi alla macchia braccato dai ‘nazifascisti’

    Otello Montanari, ex-dirigente del Pci…

    Altri partigiani omicidi iscritti al partito?… non posso escluderlo…

    di Mike Scullin

    Reggio Emilia – Partigiano Otello, è possibile che in qualche angolo dell’Emilia rossa vi siano altri ‘casi Bottazzi’, vi siano cioè inscritti all’Anpi o a qualche altro partito i colpevoli [ovviamente dichiarati tali da sentenze giudiziarie] di delitti avvenuti nel ‘Triangolo della morte’?… ‘Sinceramente non mi sento di escludere un’ipotesi di questo tipo, anche se non sono a conoscenza di casi specifici…’.

    Il partigiano Otello è contrario a fare una ricerca di tipo poliziesco, anche se sul ‘caso Bottazzi’ ha un’idea chiara. ‘Chi si è macchiato di quei delitti non deve restare nel partito. Ripeto anche oggi, per il bene della resistenza e per la verità: chi sa parli!…’. Otello è il famoso ‘compagno Montanari’ , 79 anni, il quali quindici anni fa ha avuto il coraggio di lanciare la ‘operazione verità’ sui delitti del dopoguerra. Da allora invita tutti gli ex-partigiani del suo partito a dire quello che sanno, per amore di giustizia e per aiutare i partigiani condannati innocenti ad ottenere sentenze di revisione. Il suo appello ha fatto il giro del mondo. Lo ha pubblicato perfino sulla Pravda un anno dopo la caduta del muro di Berlino e un anno prima della caduta dell’Urss. A Montanari però non l’hanno fatta passare liscia nella sua città. Ha perso tutte le cariche di prestigio [presidente dell’istituto Cervi, membro della commissione regionale di garanzia del Pci, membro dell’istituto storico della resistenza…]. E’ stato osteggiato, odiato, emarginato. ‘Dire la verità costa, ma uno non può badare a queste cose… solo Fassino ha compreso il mio messaggio…’, ricorda Otello, tuttora iscritto ai Ds e all’Anpi, ma senza più ruoli dirigenziali.

    Il ‘caso Bottazzi’ ha riaperto in maniera esplosiva le tragiche vicende del ‘triangolo’, gli omicidi di preti, ex-fascisti o militanti della Rsi, industriali e perfino uomini politici del ‘vicino’ Partito socialista, avvenuti a guerra finita, quando le armi avrebbero dovuto tacere ed essere restituite. C’era però chi pensava che, una volta cacciato l’invasore tedesco, di doveva fare la ‘rivoluzione marxista’. Per Montanari è giusto espellere l’ex-partigiano modenese dal partito e dall’Anpi. Bottazzi però da Fiume giura di essere innocente. ‘Ho letto l’intervista pubblicata dal vostro giornale. Bisogna però considerare che Bottazzi è stato condannato per tre delitti e non vi è stata alcuna sentenza di revisione. Io prendo per vero quello che ha detto la giustizia. Bottazzi non ha chiesto di riaprire il fascicolo, di fare cioè un percorso come quello di Baraldi e Nicolini. Non se la può cavare dicendo solo di essere innocente, osa che di norma professano tutti i condannati…’.

    Nel suo discorso Montanari cita Egidio Baraldi [‘Walter’] e Germano Nicolini [‘Diavolo’], due comandanti partigiani condannati senza colpa per gli omicidi del capitano Ferdinando Mirotti e di don Umberto Pessina, avvenuti entrambi nel Reggiano nel 1946. Loro hanno passato anni in galera e i colpevoli, anche loro ex-partigiani comunisti, se ne stavano fuori d’Italia. Questo al vertice del Pci si sapeva. Due per la verità si erano accusati dell’omicidio del parroco di San Martino di Correggio ma non sono stati creduti, finendo anzi per subire una condanna dalla corte di assise di Perugia per calunnia. Dopo il ‘chi sa parli!…’ di Montanari i due processi, collegati tra loro, sono stati rifatti. Gli autori del delitto di don Pessina [i due che si erano autoaccusati e un terzo che ha confessato…] sono stati individuati, Nicolini e Baraldi riconosciuti innocenti e risarciti…



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    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  7. #17
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    Guarda che i reduci della Repubblica sapevano benissimo a che cosa andavano incontro... era gente che aveva un ideale e pertanto era disposta anche a morire... non se ne può più di questo pseudo-revisionismo che i polisti usano per squalldi fini elettorali. Dai reduci che conosco e che frequento non sento pietismo ma solo orgoglio. Queste vicende vengono strumentalizzate da personaggi sordidi come Feltri e Farina , che servono coloro i quali la RSi combatteva.
    ps. Pisanò se ne ando schifato dal Msi.
    Bazooka!!!

 

 
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