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    Christianity Under Fire
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    Predefinito Re: MACHIAVELLI visto da un'altra angolazione

    Originally posted by nuvolarossa
    tratto da il CORSERA 4 ottobre 2003

    Cristianesimo fondamentalista e interventismo militare in difesa degli interessi statunitensi, le basi teoriche dell’intellighenzia repubblicana

    I «neocon» alla guerra nel nome di Tucidide

    MICHAEL LEDEEN

    «Il testo preferito dai neoconservatori è La guerra del Peloponneso di Tucidide », ha scritto Irving Kristol sul Weekly Standard , la rivista di riferimento dei «neocon» americani (il gruppo di intellettuali e politici che più influisce sulle scelte di Washington). Una possibile sorpresa per quanti, in Europa, pensano che la politica estera degli Stati Uniti abbia le sue uniche basi teoriche - dall’«Impero del Male» di Reagan all’«Asse del Male» di Bush - nella saga di Guerre stellari ; e per quanti, in America, considerano ormai esaurita l’influenza della grande cultura del Vecchio continente: radici secche. Dunque, esagerando, c’è anche un antico e glorioso libro dietro la guerra in Iraq? È stato un ateniese del V secolo avanti Cristo a ispirare gli ispiratori della Casa Bianca? I libri e la politica: ai neoconservatori - sono essi stessi a dirlo - non piace solo Tucidide ma anche Machiavelli, Platone e Aristotele. Autori che hanno conosciuto grazie al loro maestro moderno Leo Strauss: il filosofo ebreo tedesco rifugiatosi negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo, morto nel 1973, tanto sconosciuto fino a pochi anni fa quanto continuamente evocato dall'avvento dei «neocon» in poi. Una moda intellettuale che si sta già attirando qualche critica interna al campo dei neoconservatori stessi: «Tutti parlano di Leo Strauss ma pochi lo hanno letto - dice Michael Ledeen, già consigliere di Reagan, professore dell’American Enterprise Institute -. Certo fa scalpore che in America si citino Machiavelli o Strauss quando si parla di politica internazionale. Ma questo perché in Europa il dibattito intellettuale è morto. Noi siamo molto più vivaci».
    In realtà l’amministrazione americana sembra oggi attraversata da due correnti principali: i cristiani fondamentalisti, rappresentati dal ministro della Giustizia John Ashcroft, e i neoconservatori del numero due del Pentagono, Paul Wolfowitz. Se i primi si rifanno alla Bibbia, i secondi trovano ispirazione diretta negli autori classici dell’Occidente. A differenza di molti conservatori tradizionali, inclini all’isolazionismo, i neoconservatori pensano che gli Stati Uniti abbiano il diritto di esportare la democrazia all’esterno. E la nuova guida dell’America, costretta ad agire nel mondo dopo la carneficina dell’11 settembre, è il Principe di Machiavelli.
    I neoconservatori, in gran parte liberal newyorchesi disillusi dal «relativismo culturale» della sinistra degli anni Settanta, credono che gli Stati Uniti non debbano esitare nell’usare la loro potenza militare ed economica senza precedenti per promuovere i valori e allo stesso tempo gli interessi americani nel pianeta. «Siete i migliori cervelli del nostro Paese - ha detto il presidente Bush il 26 febbraio scorso, nel discorso all’American Enterprise Institute di Washington, il think tank dei «neocon» -. Tanto che almeno una ventina di voi lavorano nella mia amministrazione».
    Il dialogo tra gli Ateniesi e i Meli nella Guerra del Peloponneso , citata da Kristol (uno dei «padri fondatori» dei neoconservatori), è un esempio classico del realismo politico contrapposto al prevalere del diritto sulla forza. Durante la lunga guerra tra Atene e Sparta (dal 431 al 404 a.C.), gli ateniesi si avvicinarono minacciosi a Melo, colonia spartana ma neutrale. Prima di cominciare la battaglia, proposero agli abitanti di Melo di arrendersi senza combattere, vista la schiacciante superiorità bellica ateniese. «Si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso i più forti esercitano il proprio potere e i più deboli si adattano», dicono gli Ateniesi. La potenza, quindi, implica una logica ferrea, che non può essere elusa. La particolarità di Atene era quella di conciliare politica della forza e democrazia, guerra e civiltà. La sovrapposizione con gli Stati Uniti di Bush così come li vorrebbero i «neocon» è evidente. «Se possiedi quel tipo di potenza che noi abbiamo - scrive Kristol -, devi trovare le giuste opportunità per usarla, o il mondo le troverà per te». Una lezione fatta propria dall’altro «neocon» Richard Perle (dimessosi nel marzo scorso dal Defense Policy Board del Pentagono), quando sostiene che «le norme internazionali rendono difficile portare la guerra al terrorismo negli Stati stranieri, come noi dovremmo fare. Bisognerà quindi che il presidente Bush cambi atteggiamento nei confronti di queste norme internazionali, o ci troveremo con le mani legate da istituzioni antiquate e incapaci di difenderci».
    Naturalmente, il dialogo tra gli Ateniesi e i Meli di Tucidide può essere interpretato anche in un altro modo. Questa è l’opinione di Luciano Canfora, uno dei maggiori esperti di storia antica. «Tucidide è molto influenzato dal pensiero sofistico; sceglie la forma del dialogo per esporre le ragioni di entrambe le parti in lotta, senza prendere posizione. Almeno apparentemente». Ecco quello che sostengono i Meli: «Anche noi consideriamo molto difficile combattere con la vostra potenza. Tuttavia abbiamo fiducia che non avremo la peggio perché, fedeli alla legge divina, insorgiamo in armi contro l’ingiusto sopruso». I Meli riconoscono la potenza di Atene, ma introducono il criterio della legge divina per stabilire quello che è giusto e quello che è ingiusto. Aggrediti senza colpe, si sentono dalla parte della ragione. «A parere dello storico Gaetano De Sanctis, e anche mio, Tucidide in realtà sta con i Meli - dice Canfora -. Propende per la morale e la giustizia, non per la potenza. Ecco perché i "neocon", quando vedono in Tucidide il precursore del loro realismo politico, mi sembrano cadere in un equivoco».
    Poi c’è Machiavelli. All’indomani dell’11 settembre Michael Ledeen, autore del libro Machiavelli on Modern Leadership (sottotitolo «Perché le ferree regole di Machiavelli sono attuali e importanti oggi come cinque secoli fa»), ha tratto dal Principe alcuni consigli per i leader del mondo occidentale sotto attacco islamico. Il primo esprime bene il senso anche degli altri: l’uomo è incline al male più che al bene, e la pace non è la condizione normale dell’umanità; se vogliamo la pace, dobbiamo vincere la guerra.
    Leo Strauss, per i neoconservatori, è il tramite, colui che ha importato la filosofia europea nel mondo accademico americano. Inorridito dal crollo della repubblica di Weimar, Strauss concluse che la democrazia non ha alcuna possibilità di resistere ai totalitarismi se non supera la sua debolezza cronica imparando a ricorrere alla forza. Per Strauss, esistono governi buoni e governi cattivi: la politica deve avere il coraggio di esprimere giudizi di valore, e i governi buoni hanno il diritto e il dovere di difendersi da quelli cattivi. Come sostiene di fare George W. Bush quando combatte i regimi dell’«Asse del Male».
    Come i Meli, i neocon ed i fondamentalisti americani si ispirano alla Legge Divina nell'esercizio del potere.
    In realtà la giustizia assoluta per i governi umani non esiste e quindi anche per gli USA si pone la necessità di ponderare le conseguenze dell'uso della forza in alternativa alla possibilità di risolvere i conflitto ricorrendo alla giustizia - magari quella stessa internazionale di cui ci si vorrebbe sbarazzare per combattere senza freni il terrorismo...

    Mi sembra che il vero dilemma morale nell'uso della forza consista nella decisione di ricorrere alla guerra nonostante il nemico possa avere delle buone e sostanziali ragioni per essere ostile.

    Per gli USA la contingenza impone la riflessione circa le ragioni del terrorismo fondamentalista: alcune di queste ragioni sono le stesse di chi in Occidente e nel mondo si sente oggettivamente oppresso dallo sfruttamento economico e dalle sue relative ingiustizie.

    Su questo punto il "machiavellismo" americano di marca neocon-fondamentalista deve e può fare molto riesaminando alla luce della "Legge Divina" le basi e le pratiche del nuovo capitalismo "deregolato". L'attuale presidente americano ha fatto qualcosa per garantire la moderazione del liberismo ed il controllo etico e giuridico delle corporazioni, ma - come è risaputo - gli USA dei neocon-fondamentalisti non sono neppure essi stessi il Regno di Dio e la Sua Giustizia.

    In questo nuovo clima di Global Governance è già un miracolo che il governo americano riesca a tenere a freno i potenziali aspiranti ad un governo civile in conflitto d'interesse... cosa che spiega meglio la necessità per le corporazioni di provare altrove a sfondare i legittimi governi per ad essi sostituirsi...

    Quanto alle altre ragioni del "nemico", gli USA non hanno il dovere morale di accontentare ogni controparte che vorrebbe vedere ditsrutta la libertà di parola, onde - specialmente - prevenire l'avanzata evangelica del messaggio fondamentalista e neocon: cosa che spiega come mai ogniqualvolta gli USA sono governati da un presidente evangelico si spalanca l'inferno...

    La "prevenzione" del nemico è tale che ormai si pretende dai governi occidentali a regime multiculturale la promulgazione di leggi (e.g. Australia ed ora anche GB), anche nella forma di "Racial and Religious Vilification Bills", onde segregare e svilire quelle forze giudeocristiane che risultano essenziali per la crescita, l'avanzata e la sopravvivenza di una autentica democrazia repubblicana. I primi risultati di tali leggi sono già riscontrabili in nuovi e del tutto inediti fenomeni di persecuzioni a spese di individui che vengono identificati quali espressioni politico-spirituali "neocon-fondamentaliste" anche se tale identificazione è spesso solo parziale e relativi ai soli contenuti spirituali. Tali leggi starebbero a rappresentare anche un tentativo di concessioni indirette al "nemico" per indurlo ad apprezzare la "sapienza" e la disponibilità culturale dell'Occidente a concedere in pasto qualche suo storico e vitale pezzo a patto che la coesistenza - e gli affari - non vengano compromessi.

    C'è da chiedersi quanto questi "bocconi" siano vitali e se non sia il caso di imporre - con la forza per l'appunto - una reciprocità del diritto internazionale che il "nemico" evoca in Occidente e rifiuta in Oriente, dove infatti i loro equivalenti fondamentalisti e neocon sono tenuti in gran conto e difesi con le armi in pugno contro chiunque avanzi pari diritti.

  2. #12
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    Predefinito tratto da CORRIERE ROMAGNA 27 novembre 2005

    Nel nome di Machiavelli

    FORLI’ - Maurizio Viroli, forlivese, 53 anni, docente di Teoria politica a Princeton. Saggista e studioso di vaglia internazionale. L’ultima opera edita, appena pubblicata, è “Il dio di Machiavelli e il problema morale dell’Italia” (Laterza editore).Etica, religione, stato, trinomio compatibile?“Nella nostra tradizione culturale parlare di etica nella politica suscita subito la risposta che l’etica nella politica non c’entra nulla. Perchè, come diceva Croce, la politica è forza, durezza, scontro. E rispettare l’etica è come chiedere a chi è molto potente di piegarsi a chi è invece debole..solo che obietto che senza etica nella politica dobbiamo rassegnarci al fatto che i governanti si comportino nei confronti dei governati con ingiustizia e che gli Stati vengano gestiti soltanto sulla base di una pura logica di potere. Se non accettiamo il principio che la politica - come scrisse Kant - possa piegare le ginocchia davanti all’etica non possiamo certo lamentarci della prepotenza dei governanti e delle atrocità fra gli Stati nazionali quando si confrontano sul piano internazionale”.Come ridefiniscono il modello fra etica e politica i suoi maestri di pensiero?“Fra quelli che ho incontrato nei miei studi l’interpretazione fornita da Niccolò Machiavelli mi convince e cioè che se l’etica si trasforma in fede, valori, allora l’etica deve farsi ascoltare dalla politica. E’ vero che la politica è politica, ma come diceva Croce, l’etica deve farsi ascoltare diventando essa stessa forza”.Nel suo ultimo libro etica, religione e politica giungono a conclusioni che stanno suscitando sentimenti controversi...“Machiavelli nei suoi scritti ripete sempre una parola che è ‘rinascere’, vale a dire che un popolo, una repubblica devono tornare ad essere come nelle loro origini, liberi da corruzione. Rinascere è la parola più importante della storia italiana. Ispirate al questo segno sono stati appunto il Rinascimento, il Risorgimento, la Resistenza che si chiamò Secondo Risorgimento”.Un Machiavelli con tratti cristiani?“Machiavelli si formò in un contesto culturale in cui il principio fondamentale era che se vuoi essere un buon cristiano devi essere un buon cittadino. Il vero modo di servire Cristo è dunque quello di onorare la patria.I veri cristiani detestavano profondamente la corruzione presente nella curia romana. I non credenti irridevano quel mondo per loro lontano, ma chi soffrivano erano i veri credenti. Questo tipo di cristianesimo civile, repubblicano ha trovato la sua realizzazione più evidente negli Usa, nel mondo puritano protestante, ma anche in quello cattolico come vide Tocqueville. Il dio di Machiavelli dice che la Repubblica ha bisogno di religione, ma la religione per rinascere deve essere improntata sui principi civili, osservare cioè le regole della vita repubblicana”.Che porta dentro di sè della sua esperienza di docente a Princeton?“La voglia di trasformare questo piccolo o grande tesoro di esperienze intellettuali e di riflessioni che ho maturato in una esperienza da trasferire, un giorno o l’altro, nella vita politica e culturale italiana”.E’ questo il momento politico per un intellettuale di scendere in campo?“Se c’è un momento in cui un intellettuale deve entrare nell’agone politico è questo proprio per la gravità del suo momento.Spero di averne la possibilità in modo da mettere tanti anni di studio e di riflessione all’estero in una dimensione di servizio. Vorrei che nella politica italiana potessero entrare quel patrimonio di principii rappresentati soprattutto dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi”.

    Pietro Caruso

  3. #13
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    Predefinito I cento giorni prima di Waterloo, di Lectiones

    I cento giorni prima di Waterloo

    La stagione dei desideri non si chiude mai, più andiamo innanzi nella corsa degli anni e più essi si affollano sull’uscio della speranza. In gioventù i desideri restano tranquilli, quelli insoddisfatti tacciono e non si crucciano più di tanto; con l’andar degli anni sono proprio quelli insoddisfatti ad urgere e si accalcano nell’ostinazione di comparire. Ma più l’età si fa tarda e più non riesce a trattenerli, ed è così che i desideri dei vecchi non sono illusioni ma visioni di cose mai accadute che si vorrebbero realizzare. E spesso si frastornano i desideri con la realtà.
    Dovrebbe la fortunata saggezza dell’età saper discernere fra fantasia ed irreale?
    No! le cose che nella nostra gioventù son rimaste desideri, sembra che nella vecchiaia ci aggrediscano e pretendano di realizzarsi. Ignorano i poveretti – i desideri – che la realtà è la loro morte e che solo da desideri resteranno vivi liberi di desiderare.

    Il gattopardismo convenuto in Firenze (*)
    , a celebrare gli arzigogolati esorcismi chiacchieratori, sacrifica milioni di parole sull’altare dell’ovvio: è il clou della democrazia. Chissà se a qualcuno dei gattopardi, che lì si sono celebrati al podio microfonico, sia venuto il desiderio di allungarsi un attimino più in là, in Santa Croce, là dove l’Aedo canta di Machiavelli:

    «… Io quando il monumento // vidi ove posa il corpo di quel grande // Che temprando lo scettro a’ regnatori // Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela // Di che lagrime grondi e di che sangue; // …Te beata, gridai, per le felici // Aure pregne di vita, e pe’ lavacri // Che da’ suoi gioghi a te versa Appennino!».

    Non sarebbe solo l’insegnamento del “Principe” a far da guida agli indefessi chiacchierologi, la possibilità di un “vivere civile” indagando le illusioni, gli inganni e gli egoismi su cui gli uomini costruiscono i loro rapporti, né l’autonomia della politica resa indipendente dalla morale.
    Sempre e solo i desideri fanno da sprone all’ambizione: vecchia che sia l’ambizione esercita continuamente il suo fascino allettante, specialmente se l’officiante dal microfono è un antico cultore di misteri isiaci.
    Però non è che solo lo spiritista sia convinto della teofania, anche i convenuti si lasciano suggestionare dalla demagogica atmosfera che pervade la sala e i desideri a lungo repressi esplodono in gioiosa esaltazione: l’apoteosi. Così come scrive Scalfari nel domenicale che accompagna tutte le vicende epiche dell’Ulivo: “Un partito di democratici ma non di moderati”.
    Sembra quasi che un nuovo Mosè capeggi il popolo dell’Ulivo per condurlo oltre il Mar Rosso, verso la terra promessa. Il programma riformatore illustrato da Bersani esce dal guscio comunista non più anchilosato e pronto ed agile a percorrere le vie del progresso. È un Decalogo che Bersani ha portato con sé e lo impone alla diaspora di sinistra perché l’Italia si liberi di Berlusca e della sua gente: fatica inana senza il Mosè disceso dal monte Sinai.
    Il vitello d’oro costruito da Aronne-Bertinotti non impedirà al Mosè-Fassino di lacrimare di gioia quando il suo popolo si sarà liberato del Berlusca: idolo d’oro della demoplutocrazia.

    Celestino Ferraro

    ......................................
    (*) il riferimento e' alla assemblea di ieri dei Ds a Firenze
    ......................................
    tratto da "Il Portale di Nuvola Rossa"
    http://www.nuvolarossa.org/modules/n...id=828&forum=6

  4. #14
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    Predefinito tratto da La Stampa Web 4 febbraio 2006

    Machiavelli, un ateo virtuoso non devoto
    Maurizio Viroli interpreta la «religione civile» del Segretario fiorentino sulla scia di Febvre, fino a riempirla di un concetto di Dio: ma davvero era impossibile «non credere» nel ‘500?

    Giuseppe Ricuperati

    I

    L Dio di Machiavelli segue una precedente biografia del Fiorentino pubblicata da Maurizio Viroli nel 1998. Il sorriso di Machiavelli cominciava analizzando un sogno che questi aveva raccontato agli amici prima di morire: aveva avuto una visione dell'inferno e del paradiso e il primo gli era parso un luogo preferibile, più nobile e degno di un uomo che aveva scelto la politica e la virtù secolare. E' forse eccessivo dire che la seconda opera sul Segretario fiorentino smentisca la prima, ma certo ne attenua l'estraneità profonda al dio cristiano.
    In realtà Viroli non muta prospettiva, ma allarga il significato di religione civile fino a riempirlo di un concetto di dio. Il tentativo è abile e teso a rafforzare in una lunga genealogia quel concetto di religione civile come base di un pensiero repubblicano, che, secondo un itinerario percorso da J. Pocock, fa trasmigrare i valori delle città italiane (a loro volta eredi della tradizione greca e romana), in particolare dell'umanesimo fiorentino, prima in Inghilterra e in Olanda e poi negli Stati uniti. Proprio il punto di arrivo giustifica a ritroso il viaggio di Viroli. Il mondo americano è infatti un esempio di religione civile che trae linfa da un impianto protestante. Ma per realizzare questo esplora un terreno largamente ipotetico e poco documentabile, che rischia di restare congetturale. Lo fa non a caso confortato da un esempio illustre ed ampiamente citato a premessa come quello di Lucien Febvre, secondo cui non era possibile essere atei nel Cinquecento, perché mancavano gli strumenti mentali per tale consapevolezza. In realtà Febvre intendeva rovesciare la lettura di Rabelais fatta dagli intellettuali della Terza repubblica, vittime di un anacronismo: il loro Rabelais era più frutto del positivismo laico e non credente dell'‘800 che non del ‘500. Va detto che la lucida dimostrazione di Febvre e la sua negazione della possibilità dell'incroyance, anche se è suggestivo punto di partenza di una geniale analisi di storia sociale e culturale, è lungi dall'essere condivisa. Nasce per esempio da una decisa sottovalutazione della cultura padovana del ‘400 e del ‘500, che pure altri studiosi francesi avevano posto alle origini del libertinismo. Chiediamoci cosa vuol dire essere "sanza religione" nell'Italia del '500 dove Pietro Pomponazzi, preceduto da una schiera di studiosi non a caso paralleli al mondo di Dante e Cavalcanti, metteva in dubbio l'immortalità dell'anima. Il problema non è stato quello di accettare (o negare) un dio lontano (un motore immobile di aristotelica memoria), ma di pensare in forme concrete ad una estraneità di Dio alla vita umana, una irrisione di luoghi promessi come inferno, paradiso, purgatorio e limbo, dove pure Machiavelli voleva si collocasse il Gonfaloniere Soderini. A me pare che la dimostrazione di Viroli non sposti molto il vero problema che rende interessante questo saggio, quello di una morale per lo spazio italiano. Ma la religione civile è necessariamente monoteistica? L'ammirazione di Machiavelli per i Romani fa pensare che anche questo terreno non gli fosse sfuggito. Ma l'ipotesi di Febvre sulla impossibilità di essere atei nel ‘500 apre nuovi problemi. Quando nasce l'ateismo? E' un'invenzione dei libertini? O non è più coerente pensare che l'aristotelismo pomponazziano, come il ritorno di Lucrezio, la diffusione dell'epicureismo facessero del Rinascimento quello spazio di rise of a new paganism che Peter Gay ha messo - sulla scia di Cassirer - alle origini dello stesso Illuminismo, cogliendo continuità fra Rinascite e Lumi? In realtà già Schneider aveva demolito l'ipotesi di Febvre per leggere in un modo nuovo il libertinismo. A me pare che tutta la seconda parte dell'opera, quella dedicata ai percorsi del problema etico negli spazi italiani non guadagni molto dalla precedente. Qui Viroli percorre con saggezza il tema che è in fondo strettamente connesso con quello della mancata riforma in Italia. Ma perché non cogliere che forse lo spazio italiano era più avanti (Burckhardt) e che nelle sue punte etico-civili non aveva bisogno di una Riforma, né quella di Lutero, né quella di Calvino, ma semmai del dialogo con un cristiano illuminato come Erasmo (e il suo significativo allentamento etico della teologia)? Io non credo che la cultura dell'incroyance sia un prodotto del libertinismo. Malgrado la futura Controriforma, Machiavelli, appassionato lettore di Lucrezio, è solo uno dei tramiti, gli altri derivando dalla scuola di Padova e dal naturalismo meridionale. In ogni caso l'ipotesi che sfiora Spinoza ed esplode in Bayle di una res publica di atei virtuosi ha a che fare con Machiavelli. Le pagine di Viroli che delineano il percorso della religione civile nel Settecento (in modo particolare Giannone) colgono un terreno significativo. Ma proprio Giannone, ammiratore di Machiavelli, prende in considerazione l'ipotesi del politeismo, che considera religione non del passato, ma del presente e la più diffusa al mondo. Non solo: partendo dalle stesse deche di Tito Livio, mostra che il politeismo era un perfetto esempio di religione civile tollerante ed inclusiva, mentre per contro il cristianesimo, ad iniziare dai Padri, era inadatto. La cavalcata di Viroli, toccando uomini come Alfieri e Francesco De Sanctis, attraversa con intelligenza spazi e problemi, giungendo ad un secolo di distanza a Gobetti. Resta il fatto che questa parte più largamente condivisibile non ha bisogno del dio di Machiavelli, ma magari del suo enigmatico sorriso, che non è quello di un credente, ma piuttosto di un moderno secolare ateo virtuoso che Spinoza e Bayle avrebbero voluto nella loro repubblica.

  5. #15
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    Belle riflessioni storico-filosofiche che spiegano quanto senza una religione civile non c'è neppure una civiltà etica. Si può anche disquisire se gli italiani debbano aver bisogno come gli altri mortali europei delle scoperte civiche della Riforma, e se il Cattolicesimo in simbiosi con la ricca cultura greco-romana invece non basti ed avanzi per ritoccare al meglio il già forte e sperimentato civismo politeista della Roma Imperiale.

    Stà di fatto che Viroli pensa a fare delle "iniezioni" americane nella cultura italiana in tempi critici, proprio per trapiantare quel qualcosa che è mancato per renderci veramente compatibili con quel mondo "nordoccidentale" che di solito "noi" crediamo di emulare e rappresentare con operazioni estetiche, economiche ed elettorali, mentre invece ce ne manca l'anima.

    Il senso della Riforma è anche questo: non sarà la deregulation, la Coca Cola, il libero mercato, la presidenza forte, il maggioritario, il premierato hollywoodiano, l'elicottero reaganiano e la graduatoria di Forbes ad assimilarci al civismo religioso occidentale (finchè resiste) ed alle fonti della sua vera religione civica.

    Un popolo che non ha fonti giuridiche e spirituali assolutamente autorevoli non può esistere se non sopravvivendo nella misura in cui il suo civismo non ha ancora smarrito del tutto il legame col Diritto Naturale.

    San Paolo avrebbe spiegato il concetto con le parole di 2Timoteo 3: 16.

    La cultura italiana però è ancora lontana dalla "scoperta" (che un tempo fù dell'America) per male inteso laicismo e repubblicanesimo, e dunque ecco la Storia d'Italia recente, le sue sceneggiate e la sua isteria di potere.

    E la mancata scoperta ci fà pure annaspare nella gestione della questione islamica, che al contrario viene affronta a colpi di barzellette e mugugni libertari di chi credeva di trattare l'Islam come si è fatto coi cristiani: l'etica che diventa forza, ma non quella ha bussato al cuore, alla coscienza ed all'intelligenza dell'Occidente per secoli.

  6. #16
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    Machiavelli nel pensiero politico olandese del XVII secolo

    La ricezione del pensiero politico di Machiavelli ha seguito, nelle diverse epoche sstoriche e nei diversi contesti geografici, percorsitoto caelo diversi; si può così parlare di un filone di lettura francese e di uno inglese, il primo mirante a rintracciare in Machiavelli il grande teorico della ragion di Stato, e quindi di una concezione laica, se non irreligiosa, della politica; il secondo, invece, pronto a raccoglierne il fervente repubblicanesimo e a trasportarlo nella riflessione politica che dà l'avvio alla tradizione repubblicana anglosassone. Meno studiata è invece la presenza di Machiavelli nella tradizione teorico-politica olandese tardo-cinquecentesca e seicentesca; presenza il cui studio potrebbe consentire di gettare una nuova luce sull'anomalia istituzionale che la Repubblica delle Province Unite dei Paesi Bassi rappresenta nell'Europa del XVII secolo; e, magari, di trovare nuovi punti di raccordo tra il repubblicanesimo rinascimentale e la concezione moderna dello Stato.



    Il percorso ricostruttivo deve iniziare da Justus Lipsius, il primo autore in terra olandese a riconoscere apertamente il valore dell'analisi politica machiavelliana, proseguendo attraverso i numerosi pamphlet che esaltano il principio repubblicano dell'autogoverno, cui si contrappongono gli scritti antimachiavellici del calvinismo accademico; per giungere infine, nella seconda metà del '600, a quel piccolo nucleo di scrittori repubblicani (primo tra tutti Spinoza) nei quali il riferimento anche esplicito all'opera del segretario fiorentino gioca un ruolo di forte accentuazione della declinazione della libertà del cittadino come esigenza di partecipazione al processo decisionale; un'esigenza che però non si colloca all'interno di un quadro concettuale premoderno, secondo il quale l'individuo troverebbe la sua dimensione politica nell'appartenenza ad organizzazioni che mediano il suo rapporto con il potere centrale, bensì è compiutamente dentro l'orizzonte di una sovranità assoluta ed illlimitata, e tuttavia mai pienamente e definitivamente incorporata in una costituzione formale.

    Una simile indagine potrebbe così offrire la possibilità di rinnovare l'attenzione per un tema quale la permanenza della tradizione repubblicana rinascimentale ancora dentro i confini della genesi della Stato moderno, ma in un orizzonte non assimilabile a quello del ben noto 'momento atlantico' machiavelliano.

    tratto da
    http://www.unipd.it/concetti/ns/proj..._in_olanda.htm

  7. #17
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    Così Machiavelli invocava il Principe, redentore di popoli
    Un’esemplare edizione curata da Mario Martelli ripropone un confronto fra diverse interpretazioni: fu o no, messer Niccolò, un fervente repubblicano?

    di Maurizio Viroli

    A nuova edizione del Principe di Machiavelli che Mario Martelli ha curato, con la collaborazione di Nicoletta Marcelli, per l'Edizione Nazionale delle Opere, è uno studio che segna una svolta nella lunga storia della ricerca su Machiavelli. Come il lettore vedrà subito, non condivido alcune delle tesi interpretative e, per essere candido, appartengo a una scuola di pensiero (quella di Cambridge) che Martelli critica più volte e severamente. Ma la qualità del lavoro filologico volto a restituirci un testo il più possibile fedele a quello che Machiavelli effettivamente compose (e che è andato perduto), e l'ampiezza e la finezza dell'apparato di commento rendono il volume un'opera esemplare, destinata a incidere sugli studi machiavelliani come pochissime altre. Martelli propone infatti all'attenzione degli studiosi, e di ogni persona colta che sappia appassionarsi a problemi di interpretazione storica, alcune tesi che sovvertono idee diventate da tempo patrimonio condiviso degli studiosi, soprattutto nel contesto internazionale. La prima è che Machiavelli non fu affatto un fervente repubblicano e antimediceo ma, dal 1512, quando i Medici ritornano da signori in Firenze, un mediceo: mediceo perché nemico dell'oligarchia fiorentina che egli considerava incapace di dare a Firenze un forte governo che sapesse unire città e contado. Era mediceo, insomma, perché riteneva che i Medici al potere potessero salvare Firenze dal declino politico. Ma non fu Machiavelli imprigionato e torturato all'inizio del 1513 perché accusato di essere parte di una disgraziata congiura ordita per uccidere Giuliano de' Medici? A leggere bene documenti fondamentali quali le lettere di Machiavelli a Francesco Vettori appare invece chiaro, spiega Martelli, che a liberare il povero Niccolò di prigione e a salvargli la vita furono proprio ferventi medicei quali Francesco e Paolo Vettori, e addirittura Giuliano de' Medici, la vittima designata del complotto. «Machiavelli pallesco [nome che designava i partigiani dei Medici], dunque. Chi lo nega deve, per continuare a negarlo, chiudere gli occhi di fronte non a questa o a quella frase, ma ad ogni atto da Machiavelli compiuto da questo momento fino alla morte». Non solo mediceo, bensí fautore del passaggio dal principato mediceo civile - all'ombra delle vecchie istituzioni repubblicane - al principato assoluto di Lorenzo de' Medici duca d'Urbino, che ai suoi occhi appariva quale il possibile redentore d'Italia invocato nelle stupende pagine del capitolo finale del Principe, la notissima «Esortazione a pigliar la difesa di Italia e liberarla dalle mani dei barbari». Mentre attenua il valore di Machiavelli quale filosofo politico, Martelli propone un'immagine altrettanto grande, anzi, dal mio modo di vedere, piu grande ancora, quella di uno scrittore politico mosso da alti ideali che vuole incidere sulla realtà del suo tempo: «Oh sí, il Principe è, infatti, ben altro che un esercizio letterario, e ben altro, anche, che un arido e povero caso di astratto pensiero politico; il Principe è la fremente pagina di un grande uomo politico italiano, è carne della carne e sangue del sangue di chi intravide la possibilità di riscattare un intero popolo da un destino, che si sarebbe protratto per più di tre secoli, di miserie e di dolore». Non v’è dubbio che Machiavelli non fu mai uomo dedito a esercizi letterari o astratto filosofo politico, ma scrisse sempre per incidere sulla realtà. Non scriveva tuttavia, a mio giudizio, soltanto per il suo tempo e per intervenire su immediate contingenze politiche. Non convince la tesi che Machiavelli abbia scritto l'«Esortazione a pigliare la difesa di Italia» nel 1518 per incitare Lorenzo a farsi signore assoluto di Firenze. Le figure centrali dell'«Esortazione», i grandi redentori quali Mosè, Ciro e Teseo sono già anticipati nel capitolo VI, e non nell'apertura del capitolo, che Martelli ritiene rimaneggiata per anticipare il capitolo finale, ma in tutto il corpo. L'«Esortazione» è parte integrante del testo, non aggiunta più tarda dettata dalle mutate circostanze del 1518. A mio parere tutto Il Principe è scritto in vista dell' «Esortazione». Machiavelli compone Il Principe come un'orazione, seguendo le regole della retorica classica, un aspetto questo che Martelli trascura. Ma un'orazione politica deve concludersi con un'esortazione che muova all'azione toccando le passioni, e questo è appunto lo scopo dell'ultimo capitolo dell'opera. Se Il Principe si fosse concluso con il cap. XXV, come Martelli suggerisce, sarebbe stato opera monca, dal punto di vista delle regole dell'arte. Il mito del redentore di popoli, che domina l'ultimo capitolo, non è aggiunta tarda, ma il vero tema del Principe. Ancora meno convincente è la tesi che Machiavelli non fu uno scrittore politico repubblicano, che Martelli ribadisce appoggiandosi all'importante «Introduzione» di F. Bausi all'Edizione Nazionale dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Il problema meriterebbe una lunga discussione, ma, insomma, se non è repubblicano uno scrittore che afferma: «non il bene particulare ma il bene comune è quello che fa grande le città» e che «questo bene comune non è osservato se non nelle republiche», allora non ci sono mai stati scrittori politici repubblicani. Proprio perché era repubblicano, non nonostante fosse repubblicano, Machiavelli invocava il fondatore di Stati.

    viroli@princeton.edu

    tratto da http://www.lastampa.it/redazione/default.asp

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    ... che strano ... parlando di Niccolo' Machiavelli ho scoperto che nel testo dei "Doveri dell'Uomo" di Giuseppe Mazzini ... Machiavelli e' citato una sola volta, proprio nella parte iniziale dove dedica l'opera "agli operai italiani" ... con la seguente frase:

    Affratelliamoci nell'affetto alla Patria. In voi segnatamente sta l'elemento del suo avvenire. Ma questo avvenire della Patria e vostro, voi non lo fonderete se non liberandovi da due piaghe che oggi, pur troppo, spero per breve tempo, contaminano le classi più agiate e minacciano di sviare il progresso italiano: il Macchiavellismo e il Materialismo. Il primo, travestimento meschino della scienza d'un grande infelice, v'allontana dall'amore e dall'adorazione schietta e lietamente audace della verità; il secondo vi trascina inevitabilmente, col culto degli interessi, all'egoismo e all'anarchia.

    http://www.nuvolarossa.org/

 

 
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