...cioè pro repressione fascista.
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A proposito di extracomunitari. Permettete che Leporello, rinunziando a dare
risposta alle proprie malinconiche domande, vi racconti un’altra storia di
mosch e moschitt di cui probabilmente non sapete nulla e dalla quale almeno
le anime più sensibili trarranno una morale sull’Italia e la sua giustizia
democratica e totalitaria. Qualcuno ricorderà che il 3 marzo 2002 le prime
pagine dei _quotidiani erano in larga parte dedicate all’arresto di sei
pericolosi mussulmani: «Terrorismo, il nuovo commando aveva il cianuro»
(Corriere della Sera); «I terroristi arrestati parlavano di armi e cianuro.
Le cellule romane di al Qaeda. In una conversazione ‘captata’ nella moschea
di via Gioberti si parla di veleno e armi» (Il Messaggero); «Ricompare lo
spettro del cianuro. La parola intercettata in una conversazione fra tre dei
sei sospetti terroristi arrestati» (La Padania); «Riaffiora l’
potesi _cianuro nell’indagine romana sulla pista islamica» (Il Giornale di
Vicenza) e via titolando. Era successo che due giorni prima, dopo mesi e
mesi di indagini, infiltrazioni, intercettazioni e brillanti deduzioni della
I sezione del loro Nucleo operativo, i carabinieri, oltre a fermare un
pakistano, un algerino e un tunisino, avevano bloccato alla stazione Termini
tre curdi iracheni che avevano appena acquistato un biglietto Roma-Parigi,
evidente indizio di fuga. I presunti terroristi avrebbero avuto come
bersaglio
l’ambasciata degli Usa, ma anche l’Italia e presumibilmente, scrive il gip,
il nostro ordinamento costituzionale [ndr: sic!]. Nelle intercettazioni,
poi, non ci sono solo riferimenti alle armi, all’addestramento militare all’
estero, alla violenza contro le forze dell’ordine. La parola cianuro è
pronunciata in una conversazione registrata del 20 febbraio scorso fra i tre
iracheni arrestati – Salah Faysal Muhamed, Ahamad Isa Muhamed e Ali Hemim
Kadir – che parlano in italiano nella moschea di via Gioberti. «L’esplicito
riferimento alle armi e al modo di accedere alle stesse, l’esigenza di usare
un vestito di cui non si dispone [ndr: sic!], l’univoca citazione del
veleno, in particolare del cianuro, – scrive il gip – costituiscono
espressioni che confermano la partecipazione degli indagati a un programma
riconducibile all’eversione islamica, o comunque [ndr: sic!] ai progetti di
quelle frange estremiste volte all’affermazione della propria ideologia
mediante l’uso della violenza» (La Padania).
Naturalmente, anche se «armi ed esplosivo non vengono trovati» permane l’
accusa di «associazione sovversiva finalizzata al terrorismo e violazione
della legge sulle armi», ma è evidente che ad infoiare tutti è la storia del
cianuro, la cui perfida manipolazione evoca afrori di Oriente misterioso. I
politici, come al solito, non tardano ad appropriarsi degli altrui meriti
ostentando generosi riconoscimenti:
Le due recenti operazioni contro il terrorismo internazionale «sono state
messe a segno grazie al funzionamento dei nostri servizi di intelligence e
delle nostre forze di polizia», ha detto il ministro della Difesa, Antonio
Martino, di ritorno da Kabul, sottolineando la necessità di una riforma dei
servizi di sicurezza, ma invitando a «non buttare a mare» tutto quello che
fanno (Il _Messaggero).
E ancora:
Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, vanta tra i «meriti» del
governo «la lotta al terrorismo internazionale». Parlando al «Filaforum» di
Assago, in occasione del quarto congresso della Lega Nord, il Guardasigilli
ha affermato: «Grazie ai nostri decreti siamo il Paese che ha arrestato più
terroristi islamici. Sappiate che, quando leggete sui giornali radical-chic
che l’Italia non vuole combattere il terrorismo, non è vero niente. Lo dico
con orgoglio, grazie ai nostri provvedimenti legislativi siamo il Paese in
Europa che ha effettuato il maggior numero di arresti» (ivi, 4 marzo).
Ma qualche problema emerge. Nessuno abiura, tutti negano tutto e uno di
loro, il pakistano Ahmet Naseer – laureato in fisica e matematica, in Italia
da dieci anni e ritenuto il capo del gruppo – deve essere subito rilasciato
poiché «dopo gli accertamenti negli uffici dei Carabinieri del Nucleo
operativo di via In Selci», si è appreso che «nessun elemento sarebbe emerso
per trattenere il pakistano» (La Padania). Il dottor Naseer, come si
apprende dal manifesto del 6 marzo
ha confermato di conoscere i due interrogati prima di lui: il tunisino detto
Naim e l’algerino Chaid Goumri, entrambi poco più che trentenni e gravemente
handicappati. Il primo ha le gambe fuori uso e cammina a fatica:
incensurato, è difeso anche dall’imam Samir Khaldi della moschea «al Huta»
di Centocelle, un centro islamico per nulla ‘chiacchierato’ attivo dal ’94.
Il secondo, l’algerino Goumri, ha subito anni fa l’amputazione della gamba
sinistra: gli inquirenti ritengono che abbia contatti con un esponente del
Gia, il Gruppo islamico armato algerino, Ferdjani Mouloud. Secondo l’
ordinanza, Goumri era «un mero partecipe dell’associazione, probabilmente
impiegato nel recapito di messaggi, ma non per questo meno importante per il
rapporto di fiducia che lo lega a Naim e, per suo tramite, a Naseer». Naim,
per l’accusa, si occupava delle armi […].
D’altro canto, i tre curdi iracheni, come spiegò l’avvocato Manuela Lupo,
«impauriti perché clandestini e semi-analfabeti, _erano caduti dalle nuvole
di fronte alle intercettazioni in cui avrebbero parlato di vestiti e…
cianuro» (ibid.).
Poi sulla storia è calato il silenzio. Per mesi e mesi non si è saputo più
nulla, fino a quando il 16 novembre scorso, sfogliando in mancanza di meglio
le pagine della cronaca romana di Repubblica avreste potuto imbattervi in
questo scarno trafiletto:
«Terrorismo. Del tutto innocenti tre curdi arrestati»
Crollano gli elementi di accusa nei confronti dei tre curdi-iracheni
arrestati l’1 marzo scorso con l’accusa di associazione sovversiva e
violazione della legge sulle armi. Gli esperti hanno precisato che la parola
cianuro in italiano e quella pronunciata in curdo avevano significato del
tutto diverso. Muhamed Salah Faysal, Muhamed Ahamed Isa e Kadir Ali Hemin
potrebbero uscire oggi stesso. Giorni fa si era conclusa in modo analogo la
vicenda di due bengalesi.
Invano avreste cercato traccia della notizia sull’edizione nazionale di
Repubblica e invano l’avreste cercata sugli altri quotidiani che nel marzo
si erano occupati della faccenda, sparandola sulle prime pagine a caratteri
cubitali. Era tutto lì, bisognava accontentarsi e rinunciare alla
comprensione dei misteri che si celavano fra quelle poche righe. Per
esempio, chi saranno mai stati i due bengalesi? Forse si intendeva fare
riferimento all’algerino e al tunisino di cui parlava il dottor Naseer? E i
tre curdi, una volta usciti di prigione dopo gli otto mesi e mezzo occorsi
agli «esperti» per scagionarli, saranno stati rispediti nelle accoglienti
braccia irachene in attesa di essere bombardati? Oppure saranno stati messi
sul primo treno per Parigi? E se è valida la seconda ipotesi, il biglietto
glielo avranno rimborsato? Ma, soprattutto, quel gip avrà abiurato la
violenza?
P.S. In omaggio a Voltaire e alla verità storica bisogna ammetterlo. Non
sarebbe giusto dire che i quotidiani il 16 novembre 2002 non si occuparono
affatto dei curdi di Roma. Fa fede del contrario la seguente notizia apparsa
quel giorno sul Corriere della Sera:
«Domus Aurea, sgomberati 80 curdi»
La polizia ha fermato ieri mattina, a Colle Oppio, un’ottantina di immigrati
curdi che da mesi occupavano l’area che sovrasta la Domus Aurea. Tra loro,
anche 5-6 bambini. Gli immigrati di notte dormivano in capanne di cartone e
di giorno andavano alla mensa della Caritas. Dopo i controlli, effettuati
dal commissariato Esquilino, i bambini sono stati rifocillati e affidati
agli assistenti sociali in attesa che gli adulti vengano identificati presso
l’ufficio stranieri della Questura. Dopo lo sgombero dell’accampamento, gli
operatori dell’Ama hanno ripulito l’intera area.
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