Un bell'articolo da www.panorama.it

Un modello per la sinistra? Meglio chiederlo ai tarocchi
di Massimo Franco
10/1/2003

La notizia è arrivata dalla città di San Paolo il 3 gennaio scorso. «Il nuovo governo brasiliano del presidente Lula ha rinviato di un anno l'acquisto di una nuova generazione di caccia supersonici per destinare al programma per la lotta alla fame il miliardo di dollari necessario...».
E poche ore dopo, da Brasilia, è stato annunciato che le catapecchie delle favelas diventeranno proprietà di chi le abita. Trovate demagogiche? Forse.
Ma a loro modo politicamente geniali. Fanno lievitare il mito del lulismo. Rendono l'America Latina devastata dalla crisi economica, dalla disoccupazione e dagli scioperi, eppure così buona, solidarista, pacifista, la calamita psicologica di parte della sinistra italiana. È un ritorno di fiamma, perché già negli anni Settanta il continente sudamericano veniva osservato come una sorta di laboratorio politico.
Adesso, dall'Argentina dei moti di piazza al Brasile dell'ex sindacalista Lula, al Venezuela di Hugo Chavez, su fino ai Caraibi e a ciò che resta del regime di Fidel Castro, si spalanca una prateria esoticamente democratica e sottilmente anti Usa, dove è bello gettare il cuore e perdersi.

Lula, Chavez, Castro: ovvero l'«asse del bene», nella definizione lievemente manichea del presidente venezuelano. Sono accostamenti temerari, che rischiano di danneggiare soprattutto Lula. Ma tant'è. Chavez, un ex parà che nei manifesti elettorali si descriveva come un Rambo, è al potere dal febbraio del 1999. Il suo paese è paralizzato da uno sciopero che dura da settimane. E il Manifesto lo paragona al cileno Salvador Allende, rovesciato da un colpo di stato nel 1973.
L'opposizione viene bollata dal quotidiano come «sindacato golpista» che la Cgil è accusata di appoggiare. Per i tifosi di Chavez, dietro gli scioperi si intravede la mano pesante delle multinazionali petrolifere statunitensi. Così, l'«asse del bene» latinoamericano finisce per apparire una virtuosa terra di nessuno fra gli Usa e l'«asse del male» evocato da George Bush alludendo ai paesi canaglia che finanziano il terrorismo. Per questo entusiasma parte delle sinistre italiane, tentate dal vecchio antiamericanismo, ansiose di ricomporre un pantheon progressista e orfane di modelli occidentali.
Un'attrazione forte, ma potenzialmente insidiosa. «Io starei attento a certi innamoramenti. Il neopresidente brasiliano non è il subcomandante Marcos (il capo dei ribelli del Chiapas centroamericano, ndr)» avverte Arturo Parisi, politologo prima che esponente di primo piano della Margherita. «Lula è cambiato molto rispetto a dieci anni fa.
Quella parte della sinistra che lo abbraccia in nome di nostalgie gauchiste rischia di farne una caricatura che non risponde alla realtà. Capisco il richiamo delle vecchie identità, ma si tratta di sopravvivenze. Lula si è emancipato dal passato. Per questo, credo che l'Italia lulista rimarrà presto scottata».

Una previsione quasi profetica, quella di Parisi. Mercoledì 8 gennaio, infatti, è scoppiato un mezzo putiferio quando il ministro della Scienza brasiliano, Roberto Amaral, ha rivendicato il diritto a «potere usare l'atomica per fini pacifici».
Ma la notizia non ha appannato il fascino dell'icona carioca.
Un'altra più vicina, vincente e potente, in realtà, esisterebbe anche in Europa. È quella di Tony Blair, primo ministro britannico e laburista, additato come modello di modernità e pragmatismo riformista. Il problema è che dopo l'11 settembre del 2001, Blair recita la parte di ogni premier inglese da oltre mezzo secolo: è il principale alleato dell'odiato Bush. Si è schierato a favore della guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein come i falchi più rapaci del Pentagono. E Gerhard Schröder, il cancelliere socialdemocratico tedesco? Finora, Schröder ha resistito come ha potuto alle pressioni statunitensi, mostrando una Germania abbarbicata alla propria identità di «potenza civile», refrattaria a qualunque suggestione bellica.
Ma la crisi economica rende il cancelliere un biglietto da visita un po' sgualcito. Per non parlare del socialista francese Lionel Jospin, umiliato dal gaullista Jacques Chirac; o di quella spagnola, schiacciata dal popolarismo di José María Aznar.

Meglio, dunque, uscire dal recinto inospitale e cinico dell'Occidente. E immergersi, quasi stordirsi nella felicità caotica sudamericana. Sergio Cofferati, ex segretario della Cgil, era a Brasilia come ospite speciale di Lula per la cerimonia d'insediamento. E qualche giorno dopo, il «comunista democratico» Armando Cossutta l'ha incoronato leader della sinistra per le europee del 2004. Accanto a lui sedevano il capo dell'opposizione interna diessina, Giovanni Berlinguer, e Luigi Cal, «ministro degli esteri» della Cisl. Per quanto inimitabile, il modello sudamericano è quasi irresistibile.
Permette di armonizzare sogni di rivincita, identità e nostalgie, senza fare troppo i conti con le contraddizioni e le lacerazioni nostrane. Favorisce le iniziative tese a costruire l'«asse del buonismo» all'italiana, cementato dalle manifestazioni di piazza. Il 6 gennaio scorso, anche i Ds hanno smesso per un giorno di litigare per radunarsi in piazza Campo de' Fiori, a Roma, e festeggiare una Befana a favore dell'infanzia argentina. «Niños, un gesto di solidarietà per il futuro dell'Argentina».
Walter Veltroni, Massimo D'Alema, Piero Fassino si sono presentati insieme per raccogliere fondi destinati ai bambini poveri di Buenos Aires. Si fosse trattato di riforme istituzionali o di problemi della giustizia o anche soltanto dell'articolo 18, la loro sintonia si sarebbe rivelata più difficile.

La solidarietà col Terzo mondo, invece, è scontata: tanto più con un Sud America che esporta esempi di sinistre al potere. E mobilita la solita corte di artisti e «società civile» che di tanto in tanto, nel vuoto di leadership dell'opposizione, emerge come una sorta di effimera classe dirigente alternativa; comunque, concorrenziale rispetto a quella dei partiti. Si tratta di personaggi che nascono come funghi. Sono figli della cultura no global, del vecchio pacifismo, dell'antiberlusconismo più radicale. E vivono da protagonisti politici questa fase senza bussole.
È stato così per il regista Nanni Moretti (pronto a rinnovare le sue assemblee minioceaniche con Cofferati, a Firenze) e per il medico pacifista di Emergency, Gino Strada. Quanto a Roberto Benigni, si è sempre mantenuto sul piano della satira, ricevendo prima la santificazione e poi molte diffidenze, perché il suo Pinocchio viene distribuito dalla Medusa berlusconiana.

Ma altri eroi allo stato nascente sono già pronti a emergere. L'ultimo sarebbe Claudio Amendola, attore romano e verace: memorabili una sua polemica televisiva della primavera scorsa contro la guerra in Afghanistan e un'invettiva riservata ai girotondini che sfoggerebbero «troppe sciarpe di cachemire». Ma la sinistra deve stare attenta a non essere scavalcata dalla destra, sul Sud America.
Magari proprio dalla Lega di Umberto Bossi, che sul suo settimanale Il Sole delle Alpi ha invocato «un Che Guevara del Nord» per costringere il governo a dargli il federalismo.