L’Europa corrotta dalle tasse e dal parassitismo
In questa Europa è ormai inimmaginabile che si possa assistere ad una “rivolta fiscale”, che contrasti l’assolutismo del Principe in nome della libertà dei singoli
di Carlo Lottieri
IBL - L?Europa corrotta dalle tasse e dal parassitismo
Il Vecchio Continente ha avuto un grande passato e ancora oggi, tutto sommato, continua ad essere un’area di una certa importante: che permette un tenore di livello piuttosto un alto ai propri abitanti e seguita ad esprimere – in qualche campo – eccellenze significative. Ma non è detto che le cose non possano cambiare, e anche rapidamente.
In fondo, le civiltà passano. Se andate a visitare Atene certo non trovate molto della grandezza della città di Socrate e Aristofane, ma anche per Roma si può dire lo stesso: quello che fu il centro del mondo è oggi soltanto la capitale di un Paese largamente screditato, oppresso da un debito pubblico colossale e caratterizzato da una cronica incapacità ad affrontare i suoi problemi: una burocrazia oppressiva, uno statalismo pervasivo, un Mezzogiorno bloccato proprio perché troppo assistito, e via dicendo. Ma anche il resto dell’Europa sta declinando.
È sufficiente richiamare l’attenzione su due notizie degli ultimi giorni per avere il polso di una situazione che non promette niente di buono. Da Parigi è giunta infatti la decisione di Nicolas Sarkozy di introdurre una carbon tax che non soltanto sposa in toto l’ecologismo più radicale, ma per giunta non sfrutta neppure la migliore caratteristica di un tributo che colpisca le emissioni di CO2: la semplicità. La carbon tax alla francese sarà invece un pasticcio di norme e rimborsi (per le famiglie più povere) e, quel che è peggio, con ogni probabilità non rappresenterà la sostituzione di vecchie imposte, ma finirà per aumentare la pressione fiscale complessiva.
Sul tema è stato esplicito il premier spagnolo, il socialista José Luis Zapatero, che proprio nelle stesse ore ha confermato l’intenzione del governo di Madrid di aumentare le imposte. Per quale ragione? La giustificazione è stata che in Spagna s’innalzeranno le tasse al fine di “combattere la crisi”. Non si capisce in base a quale argomento togliere soldi a chi produce ricchezza (il settore privato) e trasferirli a chi sostanzialmente vive delle risorse altrui (il settore pubblico) possa aiutare l’economia. Zapatero ha assicurato che l’aumento del prelievo sarà contenuto entro l’equivalente dell’1,5% del Pil, ma anche qui non è chiaro il perché. Se “più tasse” aiuta a superare la crisi, perché si incrementa il prelievo solo dell’1,5%? Perché non del 5%? Perché non del 10%?
L’idea del premier Zapatero è che, nella situazione attuale, la crisi sia destinata a lasciare a casa molte persone (il tasso di disoccupazione, in Spagna, è già al 18%) e quindi c’è bisogno di denaro pubblico per aiutare chi è a spasso. In questo modo, però, egli va esattamente a colpire chi ancora produce ricchezza e potrebbe creare lavoro: il rischio è che si allarghi l’area degli assistiti e – al tempo stesso – quella di chi è bisognoso di assistenza, poiché un incremento della pressione fiscale può solo aggravare una crisi già difficilissima.
Causata da un coacervo di scelte stataliste compiute da chi gestisce la moneta (espansione monetaria), da chi controlla le banche (imposizione di fare mutui ipotecari anche in assenza di garanzie), da chi definisce il regime dei suoli (ostacoli alla costruzione di immobili) e via dicendo, la crisi dei subprime sta mordendo ovunque. Ma ovviamente è destinata a far più male dove il peso del potere statale è maggiore: e quindi in Europa. Tanto più che le risposte che i governi stanno dando sono tutte, o quasi, nel segno di un interventismo crescente. Ad ogni modo l’Europa non declina in primo luogo per ragioni economiche, ma per ragioni morali.
L’incapacità degli europei di contrastare il crescente potere delle classi politiche è figlia di una debolezza culturale che è davanti agli occhi di tutti. Nella mentalità europea contemporanea la pretesa del ceto politico, tanto nazionale come euro-comunitario, di disporre dei diritti e delle risorse degli europei trova sostenitori ovunque. Chi oggi prova ad opporsi al dispotismo della politica, rivendicando il diritto naturale dei singoli e delle comunità volontarie (a partire dalle famiglie) a vivere pacificamente ma anche in piena autonomia, è guardato come un lunatico. Si è giunti al punto da definire “ladri” quanti tengono per sé i loro soldi (resistendo di fronte alle pretese di un fisco sempre più vorace), e non già gli esponenti di una classe politico-burocratica che si considera autorizzata a entrare costantemente in casa altrui per sottrarre ad altri il frutto del loro lavoro.
In questa Europa è ormai inimmaginabile che si possa assistere ad una “rivolta fiscale”, che contrasti l’assolutismo del Principe in nome della libertà dei singoli. Per lo più senza valori e senza midollo, gli europei sono ormai costantemente impegnati nel cercare di partecipare al banchetto di chi si spartisce il bottino ottenuto grazie alla tassazione. Per la maggior parte di quanti vivono nei paesi europei, le tasse rappresentano una fonte di reddito parassitario (basti pensare agli agricoltori, ma l’elenco sarebbe lungo) e chi oggi non dispone di ciò spera soltanto di poter averlo al più presto.
L’imposizione fiscale abnorme ha fatto sì che la maggior parte degli europei cerchino ora di realizzare quello che Giuseppe Prezzolini ebbe un giorno a definire il sogno della maggior parte degli italiani, che in fondo vogliono solo “lavorare poco e guadagnare tanto”, ma che sono anche pronti – come sempre Prezzolini rilevava – ad accontentarsi di “lavorare poco e guadagnare poco”. Continuando su questa strada (e sono già quasi totalmente pubblici l’istruzione, la sanità, l’università, i trasporti e molti altri settori), saranno presto accontentati.
Da La Voce di Romagna, 16 settembre 2009