Ho completato da poco la lettura di quest’opera, che è sicuramente rivoluzionaria rispetto alla cosiddetta “questione omerica” e al nostro modo di rapportarci all’antichità classica. Non solo: come è stato evidenziato da quasi tutti i critici, il saggio apre anche innumerevoli piste di ricerca per quanto riguarda svariati aspetti del nostro passato, dalle relazioni fra le strutture mitologiche nordiche e greche, alla + remota storia dei nostri avi e ai loro rapporti con altre civiltà ecc…
Tuttavia, verso la conclusione del volume (ma a tratti anche nell’approfondimento del tema principale) la sensazione è che l’autore si faccia, per così dire “prendere la mano”; si avventura in arditi confronti di toponimi e teonimi, abbandonando il terreno principale della contestualizzazione geografica e climatica, che gli aveva pemesso di accumulare molte prove sulla origine nordica della grecità. Inoltre, non di rado sembra addirittura strizzare l’occhio al guenonismo o comunque ai sostenitori dell’esistenza di una tradizione primordiale unica patrimonio di una umanità indivisa. Vengono ad es ipotizzate (pag 409) il carattere indoeuropeo dei Sumeri e una stretta parentela tra questi con gli Ebrei; l’assonanza Iberia – Hibernia – Ebrei viene proposta come indizio, così come quella tra l’indiano Brahma, lo scandinavo Brimir, il celtico Bran e, udite udite…Abramo ! Il fatto poi che costui fosse originario di “Ur dei Caldei” e la somiglianza di questo nome coi Celti gli fa ipotizzare appunto che quello che abbiamo finora ritenuto patriarca di un insieme di tribù semitiche fosse in realtà un eroe gallico.
Proseguendo nel discorso, si potrebbe cogliere anche una strizzatina d’occhio verso l’interpretazione cristiano-gnostica, secondo cui Gesù stesso sarebbe stato una sorta di figura druidica, i cui insegnamenti sarebbero stati poi abbandonati e/o fraintesi dal suo stesso entourage. A pag 414 accenna a ”certi passi evangelici che sembrano richiamare la primordiale eredità indoeuropea, sui quali abbiamo avuto modo di soffermarci” mentre in realtà nelle pagine precedenti non ve n’è traccia, se non un accenno alla preghiera del Padre Nostro.
Tuttavia, quando Vinci ritorna nei binari metodologici consueti sembra anche contraddire se stesso, se pensiamo che ci propone anche una ricostruzione della migrazione indoeuropea dalla sede artica via mare praticamente in quasi tutto il globo terracqueo. Analizza poi le somiglianza tra alcune figure mitologiche giapponesi e arie, nonché cita la presenza di caratteri genetici europei presso i polinesiani; insomma, chiuse le parentesi “guenoniane” sembra spiegare molto meglio tutta la massa di indizi con l’ipotesi (storica) della conquista e della fusione tra nuclei guerrieri indoeuropei e popolazioni non arie autoctone. In sostanza, ciò che in scala + piccola diamo per acquisito sulla storia dell’India antica.
Dunque, unità primordiale metafisica dell’umanità o espansione storico-geografica della cultura indoeuropea e - a causa di ciò - rapporti di dominanza instaurati nei confronti di altre culture ?
Che ne pensate ?