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Risultati da 1 a 10 di 47
  1. #1
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito LA QUESTIONE OMERICA - Considerazioni su “Omero nel Baltico” di F. Vinci




    Ho completato da poco la lettura di quest’opera, che è sicuramente rivoluzionaria rispetto alla cosiddetta “questione omerica” e al nostro modo di rapportarci all’antichità classica. Non solo: come è stato evidenziato da quasi tutti i critici, il saggio apre anche innumerevoli piste di ricerca per quanto riguarda svariati aspetti del nostro passato, dalle relazioni fra le strutture mitologiche nordiche e greche, alla + remota storia dei nostri avi e ai loro rapporti con altre civiltà ecc…
    Tuttavia, verso la conclusione del volume (ma a tratti anche nell’approfondimento del tema principale) la sensazione è che l’autore si faccia, per così dire “prendere la mano”; si avventura in arditi confronti di toponimi e teonimi, abbandonando il terreno principale della contestualizzazione geografica e climatica, che gli aveva pemesso di accumulare molte prove sulla origine nordica della grecità. Inoltre, non di rado sembra addirittura strizzare l’occhio al guenonismo o comunque ai sostenitori dell’esistenza di una tradizione primordiale unica patrimonio di una umanità indivisa. Vengono ad es ipotizzate (pag 409) il carattere indoeuropeo dei Sumeri e una stretta parentela tra questi con gli Ebrei; l’assonanza Iberia – Hibernia – Ebrei viene proposta come indizio, così come quella tra l’indiano Brahma, lo scandinavo Brimir, il celtico Bran e, udite udite…Abramo ! Il fatto poi che costui fosse originario di “Ur dei Caldei” e la somiglianza di questo nome coi Celti gli fa ipotizzare appunto che quello che abbiamo finora ritenuto patriarca di un insieme di tribù semitiche fosse in realtà un eroe gallico.
    Proseguendo nel discorso, si potrebbe cogliere anche una strizzatina d’occhio verso l’interpretazione cristiano-gnostica, secondo cui Gesù stesso sarebbe stato una sorta di figura druidica, i cui insegnamenti sarebbero stati poi abbandonati e/o fraintesi dal suo stesso entourage. A pag 414 accenna a ”certi passi evangelici che sembrano richiamare la primordiale eredità indoeuropea, sui quali abbiamo avuto modo di soffermarci” mentre in realtà nelle pagine precedenti non ve n’è traccia, se non un accenno alla preghiera del Padre Nostro.

    Tuttavia, quando Vinci ritorna nei binari metodologici consueti sembra anche contraddire se stesso, se pensiamo che ci propone anche una ricostruzione della migrazione indoeuropea dalla sede artica via mare praticamente in quasi tutto il globo terracqueo. Analizza poi le somiglianza tra alcune figure mitologiche giapponesi e arie, nonché cita la presenza di caratteri genetici europei presso i polinesiani; insomma, chiuse le parentesi “guenoniane” sembra spiegare molto meglio tutta la massa di indizi con l’ipotesi (storica) della conquista e della fusione tra nuclei guerrieri indoeuropei e popolazioni non arie autoctone. In sostanza, ciò che in scala + piccola diamo per acquisito sulla storia dell’India antica.

    Dunque, unità primordiale metafisica dell’umanità o espansione storico-geografica della cultura indoeuropea e - a causa di ciò - rapporti di dominanza instaurati nei confronti di altre culture ?

    Che ne pensate ?

  2. #2
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    Predefinito

    Il libro di Vinci è una miniera di intuizioni e considerazioni interessanti; alcune tesi, però, non mi convincono (e mi riferisco a quelle che cataloghi, correttamente, tra quelle di marca più spiccatamente "guénoniana").
    Ciò che resta di veramente importante e rivoluzionario del libro è la tesi centrale, il tronco dell'argomentazione per così dire, e cioè l'idea di una trasfusione geografica della mitologia nordica in ambito greco. Che poi si tratti di trasfusione dall'Urheimat o da una ulteriore e diversa sede di stanziamento di popoli indoeuropei è altro problema, su cui sarebbe parimenti interessante discutere.

  3. #3
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    Predefinito Perplessità

    Non ho letto il libro e quindi non sono in grado di giudicarlo, però vidi la puntata di Stargate (!) dedicata ad esso e mi ha lasciato perplesso. In studio la discussione fu affidata ad un archeologo, che avrebbe dovuto smontare il libro, e alla Gatto-Trocchi, che ritenne plausibile le tesi del Vinci e che di fatto impedì all’archeologo di parlare. Ora, a parte il fatto che qualsiasi cosa possa affermare la Gatto-Trocchi io non le darei il minimo credito, mi sembra di aver capito però che la sostanza delle tesi di Vinci si basino su semplici assonanze tra toponimi odierni della regione del Baltico e nomi citati nei poemi omerici. Se così fosse, sarebbe facile dimostrarne l’infondatezza.

    D’altra parte anche lo stesso intervento di Mjollnir evidenzia per la quasi totalità numerose “bufale” che sarebbero contenute nel libro, per cui francamente non capisco quali siano le “innumerevoli piste di ricerca per quanto riguarda svariati aspetti del nostro passato, dalle relazioni fra le strutture mitologiche nordiche e greche, alla + remota storia dei nostri avi e ai loro rapporti con altre civiltà ecc…” come sarebbe “stato evidenziato da quasi tutti i critici”.

    Anche Runen parla di “miniera di intuizioni e considerazioni interessanti” che mi piacerebbe conoscere. Comunque Runen, riguardo a “la tesi centrale, il tronco dell'argomentazione per così dire, e cioè l'idea di una trasfusione geografica della mitologia nordica in ambito greco”, non potrebbe più semplicemente trattarsi di affinità dovute alla comune eredità indoeuropea?

    Infine una considerazione banale, ma che rafforza il mio pre-giudizio nei riguardi di questo libro: Schliemann scoprì le rovine di Troia seguendo proprio le indicazioni dell’Iliade. Come sarebbe stato possibile questo, se invece il poema si riferiva a luoghi situati nel nord Europa? È possibile che un popolo emigrando dia alcuni nomi di luoghi della sua antica patria ad altri nella nuova patria, che abbiano magari qualche somiglianza in comune (è accaduto durante l’epoca coloniale: New England, Nuova Zelanda, Guyana, Maine, ecc.), ma è praticamente impossibile che decine e decine di luoghi abbiano la stessa conformazione geografica di quelli antichi e che le distanze intercorrenti rimangano inalterate sia nella vecchia che nella nuova patria.

    Comunque, nonostante mi sia formato questo pre-giudizio (cosa comunque e sempre disdicevole), non ci spenderò soldi per comprarlo, però cercherò di leggerlo a scrocco in libreria per vedere di farmi un’idea più precisa.


    Saluti mediterranei.

  4. #4
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    Vale Frater! Fa piacere vedere come le fila dei fedeli all'originale Tradizione spirituale italico-romana si stiano ingrossando sempre più.

    Originally posted by Albino Cecina
    Infine una considerazione banale, ma che rafforza il mio pre-giudizio nei riguardi di questo libro: Schliemann scoprì le rovine di Troia seguendo proprio le indicazioni dell’Iliade. Come sarebbe stato possibile questo, se invece il poema si riferiva a luoghi situati nel nord Europa?
    Dopo anni di ricerche si è giunti alla conclusione che quella scoperta da Schliemann non è affatto la Troia dell'Iliade, o perlomeno è di quest'idea una parte del mondo accademico. La città scoperta da Schliemann sulle colline di Hissarlik non è la Troia omerica. Lo stesso Schliemann fu spinto ad accettare la sua scoperta come la Troia dell'Iliade. Da lì la cosa si è successivamente trasferita ai ritrovamenti, creando le varie 'maschere di Agamennone' e 'tesori di Priamo' di cui sappiamo.

    Detto ciò, continuo a nutrire un sentimento ambivalente nei confronti del testo di Vinci. Decisamente presenta intuizioni che a prima vista sembrerebbero geniali, ma al contempo ritengo che l'autore abbia spinto in ogni maniera per far giungere tutte le prove ad un determinato approdo. Quando di solito bisognerebbe analizzare tutte le piste possibili traendone tutte le soluzioni possibili. Ci sarebbe da riprendere il testo di Vinci per esaminarne alcuni passaggi di sicuro interesse. Appena trovo il tempo magari ci dilettiamo nella cosa.

    Per il momento, AD MAIORA!

  5. #5
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito Re: Perplessità

    In Origine Postato da Albino Cecina
    Non ho letto il libro e quindi non sono in grado di giudicarlo, però vidi la puntata di Stargate (!) dedicata ad esso e mi ha lasciato perplesso. In studio la discussione fu affidata ad un archeologo, che avrebbe dovuto smontare il libro, e alla Gatto-Trocchi, che ritenne plausibile le tesi del Vinci e che di fatto impedì all’archeologo di parlare. Ora, a parte il fatto che qualsiasi cosa possa affermare la Gatto-Trocchi io non le darei il minimo credito, mi sembra di aver capito però che la sostanza delle tesi di Vinci si basino su semplici assonanze tra toponimi odierni della regione del Baltico e nomi citati nei poemi omerici. Se così fosse, sarebbe facile dimostrarne l’infondatezza.

    D’altra parte anche lo stesso intervento di Mjollnir evidenzia per la quasi totalità numerose “bufale” che sarebbero contenute nel libro, per cui francamente non capisco quali siano le “innumerevoli piste di ricerca per quanto riguarda svariati aspetti del nostro passato, dalle relazioni fra le strutture mitologiche nordiche e greche, alla + remota storia dei nostri avi e ai loro rapporti con altre civiltà ecc…” come sarebbe “stato evidenziato da quasi tutti i critici”.

    Anche Runen parla di “miniera di intuizioni e considerazioni interessanti” che mi piacerebbe conoscere. Comunque Runen, riguardo a “la tesi centrale, il tronco dell'argomentazione per così dire, e cioè l'idea di una trasfusione geografica della mitologia nordica in ambito greco”, non potrebbe più semplicemente trattarsi di affinità dovute alla comune eredità indoeuropea?

    Infine una considerazione banale, ma che rafforza il mio pre-giudizio nei riguardi di questo libro: Schliemann scoprì le rovine di Troia seguendo proprio le indicazioni dell’Iliade. Come sarebbe stato possibile questo, se invece il poema si riferiva a luoghi situati nel nord Europa? È possibile che un popolo emigrando dia alcuni nomi di luoghi della sua antica patria ad altri nella nuova patria, che abbiano magari qualche somiglianza in comune (è accaduto durante l’epoca coloniale: New England, Nuova Zelanda, Guyana, Maine, ecc.), ma è praticamente impossibile che decine e decine di luoghi abbiano la stessa conformazione geografica di quelli antichi e che le distanze intercorrenti rimangano inalterate sia nella vecchia che nella nuova patria.

    Comunque, nonostante mi sia formato questo pre-giudizio (cosa comunque e sempre disdicevole), non ci spenderò soldi per comprarlo, però cercherò di leggerlo a scrocco in libreria per vedere di farmi un’idea più precisa.


    Saluti mediterranei.
    Caro Albino
    penso che ci sia stata un po' di confusione tra i miei giudizi e l' esposizione delle tesi di Vinci in se' considerate.
    Anch'io ho seguito quella puntata: e' vero che la Gatto Trocchi e' famigerata per altre forzature crasse ed inammissibili, ma in quella occasione non si sbilancio' + di tanto. E l'interlocutore era un grecista, non un archeologo, che non critico' apertamente il libro, ma ammise + che altro che a distanza di millenni la questione omerica e' ancora apertissima.

    Per quanto riguarda l'opera, il terreno fondamentale dell'indagine e' geografico e climatico, non linguistico. La tesi si basa cioe' sul fatto che gli avvenimenti narrati, se vengono contestualizzati nel Baltico, sono verosimili e coerenti, e le descrizioni dei luoghi nonche' del clima combaciano perfettamente. E' solo come argomento aggiuntivo che Vinci mostra la particolare frequenza di toponimi "grecizzanti" in determinate aree finlandesi e svedesi. E' anche vero che poi esagera nell'esercizio linguistico quando si addentra in questioni secondarie (ad es rapporti tra popoli e divinita' non strettamente attinenti all'area in questione), tuttavia per quanto riguarda gli avvenimenti principali dei poemi omerici gli argomenti mi sembrano solidi.
    Del resto Vinci ha l'onesta' di mostrare che altri prima di lui erano giunti per altre vie ad una localizzazione nordica della civilta' omerico-micenea (ad es Nilsson e Graves) pur non occupandosi in particolare della guerra di Troia. E ricorda anche che gia' Tilak aveva localizzato l'Heimat indoeuropea attorno a Capo Nord, la penisola Varanger, ecc... , nonche' il fatto che gia' gli scrittori antichi avevano forti dubbi sulla collocazione anatolica di Troia.

    In sostanza, gli avvenimenti omerici sarebbero da collocare all'inizio del peggioramento climatico delle regioni nordiche, sicche' pochi secoli dopo i popoli protagonisti avrebbero intrapreso una vasta migrazione verso sud, stabilendosi poi in Ellade e cercando di ambientare la loro mitologia nei nuovi luoghi, assegnando gli stessi nomi a localita' diverse. Ma e' nel contesto dell'Egeo che le descrizioni dei luoghi e il racconto dei viaggi sono totalmente contraddittori. Questo ha fatto scervellare torme di studiosi, a partire da Strabone, finche' poi i moderni hanno sentenziato che Omero fosse solo poeta, non geografo. Tuttavia la tesi di Vinci, oltre a far quadrare il tutto, smentisce questa stroncatura frettolosa e ci restituisce il fascino di una cronaca di 3 millenni fa, precisa fin nei dettagli.

    In questo caso, dunque, non si tratterebbe di popolazioni parenti che attingono dal fondo comune del loro patrimonio spirituale (come possono essere ad es Romani e Germani), bensi' proprio degli stessi popoli che trapiantano se' stessi insieme alla propria cultura.

  6. #6
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    Bene, come ho già detto, la mia è soltanto un'impressione negativa perché il libro non l'ho letto ma ne ho solo sentito parlare, dunque mi riprometto di parlarne solo se e quando riuscirò a leggerlo (a meno che Orazio non ne posti qualche brano).

    Ad ogni modo, per la cronaca, avevo ripescato da google un thread critico su questo argomento, thread tratto dal newsgroup it.cultura.classica, che avevo già intenzione di postare insieme al precedente messaggio. Ecco l'indirizzo:

    http://groups.google.com/groups?hl=i...r%3D%26hl%3Dit


    Valete!

  7. #7
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    Predefinito Re: Perplessità

    Originally posted by Albino Cecina
    Anche Runen parla di “miniera di intuizioni e considerazioni interessanti” che mi piacerebbe conoscere. Comunque Runen, riguardo a “la tesi centrale, il tronco dell'argomentazione per così dire, e cioè l'idea di una trasfusione geografica della mitologia nordica in ambito greco”, non potrebbe più semplicemente trattarsi di affinità dovute alla comune eredità indoeuropea?
    Sì, quest'osservazione è in larga misura condivisibile: d'altronde, a suffragarla sta la semplice considerazione di come i modelli culturali, sociali e politici, mitologici e via dicendo indoeuropei si siano nella storia manifestati comuni e del tutto simili non soltanto in luoghi del tutto diversi, ma soprattutto in epoche del tutto diverse. Così, per esempio, nel caso dell'ideologia tripartita, che emerse (ed emerge?) attraverso forme varie da epoche remotissime, per esempio in India, sino, per fare un altro esempio, al ciclo cavalleresco medievale dei Narbonensi.

    Però, nel caso di Omero nel Baltico, sebbene sia vero che dei modelli possono ben essersi "riverberati" parallelamente tanto a nord quanto a sud, è anche vero che, per un insieme notevole di dati, è assai verosimile che l'origine di questo insieme di dati sia nordica, come nordica è la direzione dell'Urheimat.

    Concludo facendoti rilevare come dalla tesi del libro di Vinci emerga chiaramente che la geografia omerica non sia semplicemente una "trasposizione" di miti dal Baltico al Mediterraneo, ma anche come i miti e le descrizioni geografiche si inscrivano perfettamente nel Baltico, mentre portano a enormi problemi identificativi e persino logici, invece, nel Mediterraneo.

  8. #8
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    Penso possa interessarvi questa altra recensione dell'opera di Vinci, scritta da Alfonso Piscitelli e testé pubblicata sul sito del Centro Studi La Runa all'indirizzo http://utenti.lycos.it/centrostudila...eanordica.html

    Ne consiglio la lettura specialmente a chi non conosca direttamente il libro di Vinci, perché ne elenca la maggior parte delle tesi più convincenti.

    * * * * *

    Odissea nordica




    Molti indizi sembrano avvalorare l’origine nordica dei poemi omerici: le gesta di Achille e di Ulisse potrebbero risalire a un’età in cui le stirpi elleniche non ancora erano giunte nel Mediterraneo. Ma allora: dov’è Troia?


    C’è un piccolo borgo nella Finlandia meridionale, posto su un’altura tra due fiumi, a poca distanza dal mare; il suo nome è Toija. Per quanto sia oggi insignificante alla vista, doveva essere abitata dagli uomini già in tempo molto antichi – antecedenti l’Età del Ferro. Nella sua area infatti non è difficile imbattersi, scavando, in splendidi esemplari di spade e punte di lancia. Qualche millennio fa, quando ancora molta terra finlandese non si era sollevata dai flutti, questa Toija doveva trovarsi proprio sulla costa del vasto mare Baltico al cospetto di una piccola isola.

    Immersa nella magnetica atmosfera boreale, fatta di lunghe aurore e di interminabili crepuscoli che talora giungono fino alla mezzanotte contenendo al massimo il dominio delle tenebre, Toija sembra aver attraversato gli ultimi millenni in assoluta quiete, lontana dai vortici della strada. Nulla di particolarmente clamoroso è successo qui da quando nell’arcaica Era del Bronzo certi antichi guerrieri lasciarono in seno alla terra le loro spade e le lance che adesso i contadini, senza volerlo, raccolgono. Non dovevano essere guerrieri da poco se oggi un ingegnere italiano appassionato di mitologia reca ha pensato di attribuire loro nomi altisonanti e a noi ben familiari… quelli di Patroclo, Enea, Ulisse ed Ettore!

    Che la Toija finlandese possa essere Troia, l’unico vero luogo identificabile con la città che in una notte bruciò per l’astuzia di Ulisse, a prima vista pare un simpatico gioco di parole e nulla più. Ma Felice Vinci, che al borgo di Toija vorrebbe restituire la "erre" e con essa una gloria senza pari, è convinto di non scherzare. Fondendo archeologia e filologia omerica, Vinci in due libri (Homericus nuncius e Omero nel Baltico) ha accumulato una serie di indizî a favore della sua ipotesi, e si appresta ora a pubblicare un terzo libro.

    La certezza archeologica di base – che cioè Toija sia stata luogo di battaglie proprio al tempo delle gesta di Achille – in sé non è una gran prova. In fondo una Ilio è gia stata scoperta ed è posto comprensibilmente in quel Mediterraneo in cui ancora oggi possiamo ammirare i luoghi citati nell’Iliade e nell’Odissea: Itaca, il Peloponneso… voler sovvertire questo scenario incontrovertibile può sembrare impresa pazzesca. E tuttavia, insinua Vinci, nel "Mediterraneo di Omero" c’è qualcosa che non quadra. Già gli antichi geografi si resero conto che i posti descritti minuziosamente dal vate non combaciavano affatto con le rispettive realtà.

    Per Omero il Peloponneso è un’isola pianeggiante (come dice la parola stesas: Peloponesos: isola di Pelope) e non una penisola montuosa. Per Omero l’Ellesponto è un vasto mare, non una strettoia quasi fluviale come lo stretto dei Dardanelli. Quanto a Itaca, essa non rispetta affatto la posizione attribuitale nell’Odissea: non vi è in essa alcuna traccia della descrizione omerica; e d’altra parte, dov’è Dulichio, l’"isola lunga" che dovrebbe essere al suo cospetto? Infine Troia, "Troia VII", portata alla luce da Schliemann, solo forzatamente può essere identificata con la città omerica. L’eminente storico Moses Finley ha reagito apertamente a tale identificazione.

    Certamente sulla Troade di Omero aleggia un clima ben strano: la neve cade anche sulla spiaggia, gli scudi si incrostano di ghiaccio, la nebbia è onnipresente, gli eroi vestono pesanti tuniche anche d’estate e non sudano mai a causa del sole, che infatti non brucia. Sembrerebbe quasi che "Omero", o chi per lui, non conoscesse il clima dell’Anatolia, né tantomeno il Mar Mediterraneo, che infatti nei poemi appare sempre "brumoso" e "livido", avvolto nella nebbia, scosso da tempeste e terribili raffiche di vento, solcato da enigmatiche "rupi galleggianti" che Richard Graves non esitò a spiegare come iceberg!

    Proprio Richard Graves, un’autorità in fatto di mitologia ellenica, aveva situato le avventure di Ulisse nello scenario dell’Atlantico settentrionale e della costa della Norvegia.

    Indipendentemente da Graves, Vinci è giunto alla medesima conclusione e l’ha portata alle estreme conseguenze. Non solo Ulisse si è mosso nel Mare del Nord, in uno scenario oceanico del tutto alieno dalla realtà mediterranea, ma egli stesso era un nordico (si direbbe un marinaio vichingo), come in fondo erano nordici – e qui si esce dal campo delle mere ipotesi – gli Achei e le altre genti elleniche, i "Danai" di cui parla Omero, e che giunsero nel Mediterraneo agli albori della storia europea dell’Età del Ferro.

    Vinci è stato fulminato sulla via di Helsinki da un passo di Plutarco, in cui l’autore, riprendendo peraltro una tradizione abbastanza diffusa nell’antichità,m poneva l’isola di Calipso, Ogygia, a Nord della Britannia, a 5 giorni di navigazione: probabilmente nell’arcipelago della Fär-Øer come punto di partenza, e seguendo meticolosamente le rotte dell’Odissea, Vinci ha individuato la Scheria – la terra dei Feaci, che mai Omero chiama isola – in Norvegia: il Peloponneso e Itaca nelle isole occidentali della Danimarca; la Troade in Finlandia, sulle sponde di quello che in fondo è il Mediterraneo del Nord: il Baltico. Lì nella zona di Toija, a parte le armi dell’Età del Bronzo, Vinci ha ritrovato un vero e proprio "giacimento toponomastico". Nel raggio di pochi chilometri, tanti insediamenti portano nomi curiosamente "omericheggianti": Askanien (l’Ascania?), Karjia (I Carii, alleati dei Troiani?), Lyökki (i Lici?), Killa (Cilla?), Kikoinen (i Ciconi?). Intorno a Toija si estende una costellazione di nomi che ricordano i nomi delle popolazioni alleate ad Ilio. E non manca neppure il lago Enä, che ricalca il nome della ninfa delle fonti Enonne (figlia del fiume Eneo), che fu il primo e più innocente amore di Paride. Ovviamente a questo punto Vinci dovrebbe dimostrare che tali toponimi siano antichi non di secoli, ma di millenni. Per ora va però dato atto che la serie di coincidenze comincia a diventare impressionante e che in nessun’altra parte del mondo questa curiosa corrispondenza di nomi si ripete. Vinci d’altra parte si rende conto che l’ultima parola non può spettare ad argomenti del genere, ma deve riguardare l’archeologia: "la parola passi alla vanga", dice perciò concludendo il secondo libro. Già, ma cosa la "vanga" dovrebbe portare alla luce? Non certo mura ciclopiche, se si vuol seguire il tracciato omerico, non certo roccaforti ben salde come quelle che caratterizzano le roccaforti micenee nel Mediterraneo. Omero dice che le mura di Troia erano un misto di "pietre", "tronchi" e "parapetti". Talvolta i tronchi della muraglia cigolano ed è agevole abbatterli. Perciò i Troiani sono soliti combattere "fuori le mura" per poi rifugiarsi rapidamente all’interno del recinto in caso di difficoltà: quasi un copione da Far West. Omero a un dato punto dice che il recinto del campo acheo avrebbe superato "per gloria" quello troiano! E il recinto degli Achei comprensibilmente era nulla più che una staccionata… D’altra parte sarebbe un anacronismo storico attribuire a una società palesemente arcaica come quella di Ettore e Priamo una struttura urbana che corrisponde a fasi ben posteriori di civilizzazione. Questa Ilio fatta di pietra e di legno, che può bruciare in una notte e può essere spazzata via da un’alluvione violenta (Iliade, L. XIII), più che le possenti fortificazioni della civiltà micenea-mediterranea ricorda i tipici insediamenti nord-europei tutti in legno, come, ancora in tempi recentissimi, la fortezza del Cremlino.

    Constatazioni del genere spiazzano la rocciosa Hissarlik-"Troia" di Schliemann in Anatolia, e suggeriscono che vale la pena di tentare alcuni sondaggi nel terreno finlandese o in quello danese.

    In attesa di appoggî finanziarî Vinci si è dato a un’opera di vasto monitoraggio delle fonti della mitologia non solo greco-omerica, ma ovviamente anche nordica. Scoprendo per esempio come un autore danese del XII secolo, Saxo Grammaticus, nella sua Historia Danorum, continuamente parli di guerre tra "Danesi" ed "Ellespontini". Ci si è sempre chiesti come i Danesi trovassero modo di combattere, un millennio prima della rivoluzione tecnologica, guerre con le genti dell’Ellesponto mediterraneo. Ma Vinci, con un radicale cambio di prospettive, potrebbe sciogliere questo nodo. E se i Danesi fossero i Danai? E se gli Ellespontini (cioè i Troiani) fossero originariamente popoli del Nord? E ancora si scioglierebbe, seguendo Vinci, un nodo che riguarda da vicino noi Italiani. Gli antichi Romani si dicevano discendenti di Enea, ma se Enea viene dall’Anatolia è difficile conciliare l’arcaico ricordo dei Quiriti con le più avanzate ricerche protostoriche che pongono il punto di partenza dei Latini, tipica popolazione indoeuropea, in un territorio intermedio tra l’attuale Polonia e le repubbliche baltiche. Ma chiaramente se Enea fosse venuto dal Nord e non dall’Est…


    Alfonso Piscitelli

  9. #9
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    Ed ecco riaffiorare dagli albori del nostro forum ( ) il 3d sulla questione omerica...lo ripesco visto che probabilmente se ne dovrà ancora discutere tra breve...

  10. #10
    Quirite Romano Italico
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    Proprio in questi giorni se ne sta tirando le somme su it.cultura.classica. Sembra ormai abbastanza chiaro che si tratti di bufala. La cosa che taglia un po' la testa al toro è che negli archivi ittiti ci sono riferimenti alla regione di Wilussa (Ilio), alla città di Truisa (Troia), ad un suo personaggio di nome Alaksandu (Alessandro cioè Paride), e al suo re Piyamaradu (Priamo).

    Vale.

 

 
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