E’ con questo breve scritto, buttato giù di getto questo pomeriggio, non certo esaustivo, che intendo iniziare una mia partecipazione alla discussione anche qui.
Come Mjollnir sa, non sono più e non sono affatto d’accordo con tutta una voga filosofica (quella del cosiddetto “neopaganesimo”) che credo appartenga più a quella “doppia religiosità” di spengleriana memoria (definizione poi ripresa da Guénon e da Evola) che ad una rinascita vera e propria di ciò che fu. Più un “gioco” che si inserisce nel processo distruttivo della fede, che un qualcosa di costruttivo.
Ma questo non mi vieta certo di addentrarmi nello studio dell’antichità e dell’arcaico, anzi.
Nel farlo, ho deciso di sottrarmi alla polemica dalle corte vedute, in qualunque senso, per dedicarmi unicamente alla ricerca del senso di ciò in cui i nostri antenati credettero, e di ciò in cui credono i loro discendenti, la genesi e le dinamiche dei vari fraintendimenti, e dove risieda la possibile soluzione di problemi che a mio avviso possono essere risolti soltanto in sede metafisica.
Propositi forse ambiziosi ma doverosi. Non c’è altro da fare, se non vogliamo arrivare alla fine di questo ciclo trascinati nelle correnti della battaglia di tutti contro tutti (l’implacabile divide et impera del Nemico dell’opera divina), ma in piedi su ciò che resta di ciò che può salvarci.