BRESCIA, 23 gennaio 2003 - E' passato un anno. Non è cambiato niente. Vittorio Mero è sempre lo Sceriffo. Il simbolo dello spogliatoio, il segreto dell'unità del gruppo. Non si vede più sul campo da quel maledetto incidente sulla A4, quando un camion pirata mise fine alla sua vita. Gioca a pallone con gli angeli, ma dal cielo protegge i suoi compagni. Sorride quando lo invocano cantando l'inno "Una fede nel cuore" ("So che tu ci stai guardando/sei qui con noi..."), sorride dagli striscioni e dalle foto che i tifosi non mancano mai di esporre. Rivive nei cori dello stadio, negli aneddoti degli amici. Al centro pastorale Paolo VI, per la messa a un anno dalla scomparsa, ci sono tutti: familiari e amici, dirigenti e compagni. Un anno da quando Vittorio morì appena 27enne lasciando la moglie Monica, il piccolo Alessandro che ora ha tre anni. La commozione non scolora un ricordo nitido, vivo, allegro. "Vittorio scherzava sempre - dicono Filippini, Toni, Dainelli e gli altri giocatori che non hanno dimenticato lo Sceriffo -. Ci capita di ripensare a lui ogni giorno, ridiamo nello spogliatoio ripensando alle sue battute. Vito era stato il capitano del Brescia nell'avventura dell'Intertoto, era soprattutto il punto di riferimento per i giovani, il fratello maggiore che indicava la retta via, quella che si percorre solo con la forza di volontà. Vito era amato dai tifosi perché dava tutto, era sempre umile e disponibile. Non è retorica: Vito era il nostro uomo spogliatoio e lo è ancora. L'amico che ci resterà vicino ogni giorno, perché in poco tempo ha saputo darci così tanto". "Vittorio è sempre con noi" dice Mazzone con gli occhi lucidi. Sòr Carletto, che di guerrieri se ne intende, conserverà sempre caro il ricordo dello Sceriffo buono che sapeva infondere coraggio a tutti.