Secondo il Wall Street Journal il covo di via Tonale
scoperto nel ’98 servì agli attentatori dell’11 settembre


Chi progettò e mise in atto l’attentato alle Torri Gemelle aveva una base a Torino. È quanto sostiene il Wall Street Journal in un articolo dello scorso venerdì 17 gennaio. La base sarebbe stata nascosta tra gli anonimi palazzi di Mirafiori, in via Tonale al 27 bis, terzo piano e box in cortile. In quel palazzo, nell’agosto del 1998, la Digos sequestrò un carico di armi e arrestò un uomo con passaporto yemenita, poi liberato 22 mesi dopo e sottoposto solo all’obbligo di firma, che infine sparì nel nulla il 3 gennaio 2001. Una vicenda complicata, a sentire il Wsj, questa di Mohamed Hayar Zammar, 43 anni, siriano, cittadino tedesco, i cui numeri di telefono sono in un’agenda sequestrata nel box di Mirafiori. Arrestato in Marocco nel maggio 2002, più volte interrogato dagli americani, Zammar è oggi considerato una figura chiave della Rete. In Marocco è alla testa di una cellula di sauditi, decisi a far saltare navi inglesi. Tutti catturati, lui viene affidato ai siriani, che non lo processano, ma lo chiudono in cella. Secondo l’“Investigative project”, centro di ricerca Usa sul terrorismo islamico, si tratta del reclutatore di alcuni dei piloti dell’11 settembre. In particolare, Mohamed Atta, il capo, e il marocchino Mounir el Motassadeq. Doveva far parte anche lui del commando, ma - all’aeroporto di Amburgo - quando fa passare il suo passaporto nel computer dell’Interpol, viene bloccato. Secondo il Wsj, Zammar aveva «contatti con persone pericolose»: secondo documenti dei servizi tedeschi, il suo nome e due dei suoi numeri telefonici sono scoperti dalla Digos nel covo di via Tonale «utilizzato dal membri della Jihad Islamica in Italia». È il settembre del ’98. In un box nel cortile furono trovati mitragliette, armi, documenti falsi e le informazioni su Zammar. Tre persone sono arrestate per le armi e per favoreggiamento. C’è anche una donna, un’italiana, sposata con un egiziano, denunciata e poi assolta. Adesso, in via Tonale, al 27 bis, nell’alloggio al terzo piano dove abita per tre mesi un terrorista ricercato per le stragi in Kenya e svanito letteralmente nel nulla da Torino nel gennaio 2001, non c’è più nessuno. L’arrivo a Torino invece del sedicente «Roger» Hamoud Naji fu annunciato da una telefonata dalla Germania, dallo stesso Zammar. Un omone grande e grosso, «Roger». Nell’agosto ’98 lo interroga, in Italia, anche l’Fbi. Dice di chiamarsi appunto Naji, di avere 43 anni, con passaporto yemenita, ma di essere nato a Gaza. Si professa apolide. Invece il suo nome è Misbah Hassanyn’Azab, è egiziano, e di professione fa il terrorista; lo sospettano di avere partecipato agli attentati alle ambasciate Usa di Nairobi e di Dar Es Salaam e di avere organizzato quello, mancato, in Albania. «Roger» si fa 22 mesi di carcere a Voghera, poi viene liberato e sottoposto a semplici misure di sorveglianza. Sino al 3 gennaio 2001, quando l’egiziano sparisce. Misbah Alì Hassanyn’Azab lo fermano lo stesso giorno durante un normale controllo. È con altri due mediorientali a bordo di una Mercedes nera nei pressi di Arcore. Uno è Abdelkadir Es Sayed, uomo chiave dell’inchiesta sulla cellula milanese di Al Qaeda: ex imam della moschea di via Quaranta, parlava al satellitare con figure di spicco della «rete» di Bin Laden. Ora è latitante. A Torino Misbah Alì Hassanyn’Azab aveva molti amici. Dal telefono di casa della famiglia italo-marocchina telefona spesso a Londra e l’indirizzo corrisponde a un ufficio di Beethoven street. Così viene intercettato per la prima volta dai servizi inglesi. La Digos, poi, dai tabulati telefonici risale all’appartamento di via Tonale. Es Sayed era venuto a prenderlo da Milano. E qualche tempo dopo venne sgominata la prima cellula di Al Qaeda a Gallarate. Sulla vicenda l’on. Agostino Ghiglia (An) ha presentato un’interrogazione al ministro Pisanu. «È necessario potenziare sul territorio torinese l'attività di intelligence tesa a prevenire eventuali azioni di terrorismo o è ritenuto sufficiente il numero di investigatori presenti a Torino?», domanda Ghiglia. Il parlamentare, che chiede se Torino «sia ritenuto un obiettivo particolare a rischio attentati», solleva anche la questione di eventuali collegamenti. In particolare, Ghiglia domanda se risultino agli atti, «fra qualche moschea e gruppi terroristici o contatti tra i suddetti luoghi di culto e persone tenute sotto sorveglianza».