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Discussione: L'ultimo schiaffo!

  1. #1
    l'Edera del Cugino è sempre...
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    Le praterie del dubbio - Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il senno
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    Predefinito L'ultimo schiaffo!

    Presentarsi ai funerali di Giovanni Agnelli con un'Audi.

  2. #2
    F***ing stubborn
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    Predefinito

    Non lo sapevo: cattivo gusto.
    saluti
    echiesa

  3. #3
    l'Edera del Cugino è sempre...
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    Le praterie del dubbio - Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il senno
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    Predefinito «Non rovinarci il funerale»

    I fischi al Cavaliere raccontano una città orfana del suo padrone che vuole vivere il lutto senza intromissioni. Qualcosa del genere era successo tanti anni fa, all'inaugurazione di Mirafiori. Allora a indignarsi era un altro uomo della provvidenza. Si chiamava dux, non premier
    LORIS CAMPETTI
    Passa la pattuglia ciclistica dei bersaglieri, quella di Enrico Toti, con tanto di marcetta registrata. Attraversa pedalando piazza Castello tra l'ammirazione dei torinesi anch'essi di nuovo in marcia, a piedi verso il Duomo per l'ultimo saluto al Padrone della città. Quei ciclisti sono una metafora, quasi un incoraggiamento a gettare non la stapella, ma il cuore oltre l'ostacolo per conquistarsi finalmente un futuro, dopo aver seppellito con i morti anche i fantasmi del passato. Davanti alla scalinata della chiesa c'è il picchetto d'onore, sono i Lancieri di Montebello, anche per loro un po' d'ammirazione dei torinesi che hanno sempre rispettato i riti e le cerimonie e hanno una buona dose di pazienza forgiata sul passato sabaudo. Dentro la chiesa, sulla destra entrando, c'è una delegazione di militari del Nizza Cavalleria di Pinerolo. Come non voler bene a quel reggimento, che ha duecento anni di vita e ha avuto l'onore di avere come ufficiale l'avvocato? Sarà uno di questi soldati a suonare il silenzio. Ci sono i corazzieri al seguito del presidente Ciampi, anche per loro i torinesi mostrano, se non ammirazione, rispetto, se non altro per la mole. In assenza di tute operaie - le divise del lavoro - vanno bene anche le divise militari. Di qua dalle transenne, la famiglia allargata, le autorità cittadine, religiose e militari, c'è il Gotha della politica e dell'imprenditoria italiana e persino multinazionale. Di là c'è il popolo torinese. Ma questo l'hanno letto e visto tutti, oltre 5 milioni di italiani sono rimasti appicciati al video fin dalle 10 di domenica mattina e i giornali ancora ieri sono andati a ruba. Questa non è una cronaca, è soltanto la socializzazione di qualche impressione su Torino e i torinesi.

    Un minuto prima del feretro dell'avvocato Gianni Agnelli arriva Silvio Berlusconi. Il furbo ha pensato bene di infrangere il protocollo che lo voleva penultimo, cioè prima di Ciampi, per raccogliere il massimo dell'attenzione del cerimoniale e del pubblico accalcato al di là delle transenne. Come si sa, invece, il cerimoniale se n'era andato con Ciampi dentro il Duomo, le campane si erano già messe a suonare a morto e più d'uno tra il pubblico si è permesso addirittura di fischiare. E non solo per quella mancanza di stile che è tipica del cavaliere di Arcore: passi quando mesi fa nella sua villa era arrivato in ritardo all'incontro con il top management Fiat e per di più era arrivato in Mercedes, ma che al funerale dell'avvocato si presenti a bordo di un'Audi, questo è veramente insopportabile. Fischi dunque, e a chi redarguisce la vicina impertinente («Lo sa che questo è un funerale?»), l'impertinente risponde: «E lei non lo sa che qui siamo a Torino?». Così almeno narrano le cronache.

    Torino città magica, vertice del triangolo bianco e di quello nero. Dentro il Duomo, con la Sindone c'è la magia bianca. Fuori c'è semplicemente Torino con tutti i suoi guai. Il suo Padrone è morto, che vuole questo parvenu piccolo piccolo con l'aria di chi vuol farla da padrone in casa nostra?
    Ma anche dentro capitano guai al presidente del consiglio. Il cardinale Poletto che si dimentica di citarlo tra le autorità presenti, quindi le parole sussurrate dal cavaliere con il solito sorriso di plastica all'orecchio del porporato, durante il «segno di pace», infine la toppa cardinalizia che è peggiore dello strappo con il cognome del presidente incespicato e tutto il resto. Povero Cardinale, è mica colpa sua se Berlusconi ha sbagliato i tempi e l'entrata? Conclusa la cerimonia, uscito il feretro, la chiesa si svuota. Anche il presidente operaio e imprenditore esce. E' circondato da uomini troppo alti, eppure i torinesi lo vedono avvicinarsi all'Audi, e giù altri fischi. Una giornata da dimenticare.

    A chi abbia sfogliato qualche libro di storia della Fiat (e dell'Italia) non può non tornare in mente un'altra giornata particolare. 15 maggio 1939, l'ultima pietra della fabbrica d'automobili più grande d'Italia e d'Europa è stata posata. Tutto è pronto per l'inaugurazione e per l'occasione è attreso un uomo che odia Torino («Porca città!», era arrivato a gridare dopo il fatto che vi stiamo raccontando»): Benito Mussolini. Sul palco troneggia la scritta Dux e sul palco c'è anche il senatore Giovanni Agnelli, il nonno dell'avvocato, che per la circostanza indossa la camicia nera, una delle poche volte ripreso in orbace. Il Duce arriva in ritardo, dopo aver girato le officine meccaniche torinesi a bordo di una vettura non (ancora) Fiat. E 50 mila operai sono stati ammassati a forza sotto quel palco, braccia conserte ad attendere per ore e ore al freddo e nel fango l'arrivo del «fondatore dell'impero», l'uomo che sta per trascinarli in guerra. Finalmente il rito ha inizio. Il duce, atteggiamenti classici, mano sinistra sul fianco e mano destra protesa in alto, è accolto con freddezza, cerca l'ovazione e non la trova. Quando fa riferimento al suo discorso milanese sulla classe operaia, la platea risponde con un silenzio distaccato, non un applauso. Allora il duce urla: «Ve lo ricordate quel discorso?». Silenzio. «Se non lo ricordate, rileggetevelo». Quindi gira i tacchi e se ne va, abbandonando il palco, il senatore Agnelli nonostante l'orbace, gli operai e la «porca città».

    Chissà se domenica, al termine di una giornata particolare, anche Silvio Berlusconi (si parva licet), avrà pensato tra sé e sé: «Torino, porca città». Chissà, soprattutto, se il cavaliere avrà capito le ragioni per cui la città non lo ama, così come, del resto, lui non ama Torino, la Fiat, i suoi operai e i suoi padroni che l'hanno trattato da parvenu, al tempo in cui loro erano potenti e lui non era nessuno, e non aveva quarti di nobiltà. Torino, in realtà, più che odiarlo lo ignora, lo snobba. La reazione dei torinesi fuori dal Duomo è significativa: che cosa è venuto a fare quest'uomo arrogante? Noi di padrone ne abbiamo - anzi ne avevamo - solo uno, l'avvocato. L'avvocato è morto, noi siamo in lutto e Berlusconi è venuto a rovinarci il funerale. Se ne torni da dove è venuto, se ne torni a Milano 2. Torino è orfana. Torino non ama Milano, non ama Roma, non ama la politica. Se un padrone ci deve comandare, che almeno sia un padrone vero.

 

 

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