Poca distanza ci separa da una specie di anfiteatro dominato dall’imponente figura di un vecchio maestoso, forse Oceano, con una folta barba, le gambe ricoperte da un drappeggio reso verde di muschio dagli anni e dall’umidità. Ai suoi piedi, una spianata circondata di urne rovesciate o spezzate come altrettante rivelazioni che abbiano sparso a terra il loro contenuto.
L’urna deriva dall’unione di terra e fuoco (argilla cotta): in essa sono raccolte le “acque superiori” provenienti dal “fervore celeste” simboleggiato dall’Acquario. E’ il recipiente della verità, discepolo di Oceano secondo il motto degli alchimisti: Ornnia sunt unum in uno circulo sine vase.
Le urne più vicine alla divinità recano iscrizioni. Su quella di sinistra sta scritto: «La fonte non è data a colui che tiene in gabbia le belve più terribili»; su quella di destra: «Notte e giorno veglino, pronti a difendere questa fonte da ogni oltraggio». Ciò significa: la forza bestiale respinge chi non sa appoggiarsi alla fonte di vita, mentre la paura delle belve terribili, degli istinti ci priva al tempo stesso della forza e del nutrimento.
Più in là, tra la spianata e il vecchio Oceano, una figura femminile, nella quale si può riconoscere Teti, porta sul capo un vaso in cui sono state piantate delle agavi, ben strana chioma. Teti è la sposa di Oceano ed è il simbolo dell'acqua come principio elementare, che può concepire e dare nutrimento. Ma colui che, generato dal mondo divino e terrestre contemporaneamente, partecipe della natura di Teti e di Oceano, procede senza alcuna limitazione sulla strada della prodigalità incontra l'elefante che reca sulla groppa la torre, bardato secondo lo stile indio.
In India, Ganesa è il dio dell'intelligenza, cosi come l'elefante di piazza Minerva a Roma è esempio di spirito vigoroso, capace di sopportare il peso della saggezza. È stato mal consigliato colui che ha voluto appoggiarsi alla fonte senza il benestare dell'elefante: il guerriero piegato sotto la proboscide. Potrebbe trattarsi di colui che, dopo aver rinunciato alla vita profana, viene dolcemente levato verso la torre d'avorio? Lo spirito saldo solleverà 1'uomo che gli si abbandona come vinto, lasciando dietro di sé passioni e desideri.
Dietro l'elefante, un drago con la coda coperta di scaglie e con le ali spiegate schiaccia un molosso con tutto il suo peso, brandendo gli artigli per dilaniare due leoni che lo attaccano, balzandogli contro. Il gruppo è chiaramente ispirato ad analoghe sculture originarie dell'Estremo Oriente, presenza piuttosto strana in un contesto improntato al classicismo. Le ali del mostro, con disegni di fiamme e di mezzelune, esprimono la sua qualità di creatura ignea, ma sublunare: in questo caso, la conoscenza ermetica raccomanda di abbandonare gli istinti alla loro agonia secondo l'adagio Naturam natura vincit. Ma sarebbe conforme alla teoria che il drago rappresentasse la discordanza delle cattive passioni lunari che lottano contro la potenza solare, simbolicamente rappresentata dalle belve. Da questa lotta, che si rinnova di continuo, 1'uomo può trarre profitto equilibrando le due diverse tendenze.
Liberamente tratto da ITALIA MISTERIOSA, a cura di Peter Kolosimo - EDIPEM, Novara