Vi giro questa intervista con A. de Benoist che ho pubblicato su "Il Tempo" del 3 gennaio. Saluti.


Questa Europa senza volontà

Incontro con Alain De Benoist
LO SCONTRO delle civiltà, l'Europa e l'Occidente, la globalizzazione e i suoi avversari... temi dibattuti e delicati su cui abbiamo chiesto un'opinione ad Alain De Benoist, filosofo francese, direttore delle riviste «Nouvelle Ecole», «Krisis» ed «Éléments» e al cui pensiero è stato recentemente dedicato un saggio in italiano di Francesco Germinario, che si intitola «La destra degli dei» (ed. Bollati Boringhieri).
Lei è considerato il teorico-principe della «nouvelle droite», ma, almeno qui in Italia, il suo pensiero suscita interesse e simpatie sia a destra sia a sinistra, oltre che attirare l'attenzione di certi ambienti della Lega Nord e dell'ambientalismo. A cosa è dovuta questa sua «trasversalità»?
«La risposta più semplice sta forse nella constatazione che i miei scritti coniugano costantemente dei valori di destra e delle idee di sinistra. Un'altra risposta è che questo interesse "trasversale" non è che l'ulteriore conferma del fatto che le nozioni di destra e sinistra hanno perduto il loro valore operativo. Io non conosco che due categorie di idee: le idee sbagliate e le idee giuste. Mi è giocoforza constatare che al giorno d'oggi le idee giuste sono per lo più a sinistra».
Crede che la delicata situazione politica internazionale sforcerà in nuovi conflitti tra «Occidente» e mondo islamico?
«Non credo minimamente allo "scontro di civiltà" di cui si compiacciono al giorno d'oggi gli ingenui, per il maggior gaudio della "Forma-Capitale", che ha trovato in questo tema un nuovo mezzo per legittimare il dominio planetario dell'impero del mercato!».
Per quale ragione?
«Molto semplicemente, perché le "civiltà" non sono più (e non sono neppure sul punto di divenire) gli attori principali delle relazioni internazionali. Esse sono inoltre attraversate da dinamiche sociali contraddittorie. Il mondo islamico non è un'entità o una categoria omogena più di quanto lo sia l'"Occidente". Bin Laden non è il portavoce di una "civiltà" più di quanto lo sia George W. Bush. Quanto all'Islam radicale, sino a oggi ha ucciso più tra i musulmani che tra gli Occidentali».
Ma l'Europa può giocare un ruolo politico indipendente rispetto agli Stati Uniti d'America? Su quali premesse potrebbe fondare una propria autonomia?
«L'Europa potrebbe perfettamente essere indipendente dall'America. Ne ha, potenzialmente, tutti i mezzi. Ma non ne ha né la volontà, né il minimo desiderio. Piuttosto che cercare di edificarsi come potenza, in modo da restituire al mondo la dimensione multipolare alla quale esso aspira sin dal crollo del sistema sovietico, essa si è costruita essenzialmente come mercato. Diviene per questo un spazio colonizzabile, che non cessa di estendersi piuttosto che di approfondirsi. Su tutti i grandi problemi attuali, essa è incapace di parlare con una sola voce».
E la Russia, specialmente a seguito dei fatti moscoviti balzati all'attenzione mondiale, crede si troverà anch'essa a dover fronteggiare il "nemico islamico" combattendo fianco a fianco con i vecchi nemici statuninensi?
«La Russia attualmente si trascina dietro la palla al piede della secolare guerra coloniale che essa ha portato in Cecenia. Il presidente Putin, che ha preso la piena misura della pusillanimità europea, cerca visibilmente, almeno per ora, un appoggio presso gli Stati Uniti, che sono oggi più desiderosi che mai di condurre una "crociata" contro il nuovo "impero del male" che si sono inventati. Tutta la questione è di sapere quale sarà la contropartita. La posizione che il Cremlino adotterà all'epoca della prossima guerra di aggressione contro l'Iraq costituirà un test. A più lungo termine, l'avvenire della Russia è imprevedibile. La crisi in cui è piombata lascia intravedere il meglio quanto il peggio».
In questo contesto internazionale, che impressione ha tratto del composito movimento dei «no global»? Crede che propugni una visione del mondo radicalmente alternativa rispetto al modello di sviluppo capitalistico?
«Nella misura in cui il movimento "no global" denuncia l'influenza mondiale della logica del capitale, ha tutta la mia simpatia. Ma è ben visibile che è un movimento ove coesistono delle "sensibilità assai diverse". La sua critica si accompagna raramente a delle proposte concrete. Per ora, la rete "no global", che rappresente una nuova forma di azione politica tipicamente postmoderna, costituisce soprattutto una cassa di risonanza. A esso resta da determinare degli orientamenti alternativi, oltre gli slogans, le nostalgie utopiche e le pie intenzioni».