Caro Sergio, perché non parli?

di Cesare Salvi

Caro Cofferati,
da quando è stata resa nota l'ammissibilità del referendum per estendere l'articolo 18, nei resoconti delle iniziative da te svolte compare spesso questa notizia: qualcuno dei presenti chiede la tua opinione, tu rispondi che il referendum è un errore politico e che i promotori dovrebbero «fermarsi a riflettere». Ciò consente (legittimamente) ai quotidiani di titolare «Cofferati contro il referendum» anche se non ti esprimi sul voto. Ne deriva qualche sconcerto tra chi si domanda se ciò preluda davvero a una «union sacrée» tra la destra e una parte della sinistra per invitare al voto negativo o ad andare al mare il giorno del referendum. Sono tra i promotori del referendum, insieme a numerosi compagni dei Ds - tra i quali cinque componenti del Direttivo nazionale - ai Verdi, a settori consistenti della Cgil, a partire dalla Fiom.
Cito persone e movimenti molto vicini a te nell'ultimo biennio, e quindi non sospetti di aver voluto, tutti insieme, e magari d'intesa con Berlusconi (come ipotizzato da Eugenio Scalfari) organizzare un complotto contro Cofferati. Per questo ti chiedo: quando domandi ai promotori di «fermarsi un momento a riflettere», che cosa ci chiedi esattamente?
A differenza di te, non credo affatto che promuovere il referendum sia stato un errore politico. Ma non è questo il punto, adesso. Adesso il referendum c'è. Ed anche nella scorsa primavera, del resto, era difficile immaginare che non ci sarebbe stato, vista la determinazione e il peso delle forze allora favorevoli a raccogliere le firme.
Chiederti dunque che cosa intendi, quando inviti i promotori a riflettere, non è una domanda retorica. Ci interessa davvero saperlo. Sai bene che non è nella disponibilità giuridica (prima ancora che nella volontà politica) dei promotori revocare la richiesta, che è stata sottoscritta da 800 mila cittadini. Ci si chiede l'impegno per una iniziativa legislativa? Alcuni di noi l'hanno da tempo avviata in Parlamento (con la presentazione di un disegno di legge), altre se ne stanno aggiungendo. Il Comitato promotore nella sua conferenza stampa ha detto di non essere affatto contrario ad una legge che anticipi il referendum. Sappiamo tutti, però, che con questo governo molto difficilmente vi sarà una qualsivoglia legge a favore dei lavoratori. È quasi sicuro, insomma, che in una prossima domenica primaverile il referendum ci sarà.
Permettimi, allora, di rivolgere a te (e a tutti coloro che, dalle opposizioni, hanno fin qui espresso contrarietà o perplessità sul referendum) la stessa richiesta che tu rivolgi ai promotori: fermarsi un momento a riflettere.
Oggi il tema non è più se dire sì o no alla decisione di promuovere il referendum. Oggi si tratta di dire sì o no al quesito referendario. E questo quesito divide, solo se ci si vuole dividere.
Uno dei punti di forza della tua battaglia è sempre stato l'invito a guardare al merito, prima di ogni considerazione tattica e calcolo di convenienza politica. E proprio l'articolo 18 ha costituito il simbolo del peso decisivo da dare al merito delle questioni, ai principi.
Dopo anni nei quali dell'articolo 18 hanno discusso e trattato partiti, sindacati, opinionisti, oggi la decisione è rimessa ai cittadini. Saranno loro a decidere se il diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo è giusto, oppure no; e in caso positivo ad estenderlo ad alcuni milioni di lavoratori ai quali oggi non è riconosciuto.
Se si sta al merito, ai principi, non c'è ragione di dividersi a sinistra, dopo le grandi battaglie dell'ultimo anno. E c'è invece finalmente la possibilità (non ne vedo altre in questa legislatura: se mi sbaglio, si dica quali sono) di battere Berlusconi su un punto che divide (e qui sì la divisione è giusta!) destra e sinistra: i diritti del mondo del lavoro.

l'Unità 28 gennaio 2003
http://www.unita.it