L'abbraccio mortale. Monoteismo ed Europa
Di Silvano Lorenzoni - Numero 59 del 01/03/2005
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1) CONSIDERAZIONI GENERALI
1.1 Messa a punto semantica
Prima di affrontare un argomento articolato come il fenomeno monoteista, e per non perderci in meandri lessicali, è bene dare definizioni quanto più precise. Ognuno sa, o crede di sapere, che cosa sia il monoteismo: si tratterebbe della fede nel "dio unico" Ma questo è un concetto che richiede una vera e propria messa a punto. In primo luogo, occorre intendersi su cosa sia un "dio"; e per consolidare il concetto è indispensabile risalire al mondo arcaico e al suo modo di percepire la natura.
Fino a tempi storicamente molto recenti (in Europa fino alla fine del Medioevo, in altre parti del mondo fino ad un secolo fa), la Natura - ciò che l'io osserva e con cui esso interagisce - non era percepita come inerte materia soggetta a leggi automatiche, ma quale sede obiettiva di molteplici forze animiche con le quali l'uomo poteva porsi in fattuale contatto con un determinato comportamento rituale o, in taluni casi, per comunicazione diretta usando vie parapsicologiche o stregoniche.
Per necessità semantiche - si ricordi che il linguaggio umano è strutturato in modo da esprimere gli oggetti e le causalità dell'ordinaria esperienza sensoriale di veglia (1) - a queste forze si dovevano assegnare nomi che le identificassero, mentre il tipo di comportamento che esse estrinsecavano veniva reso comprensibile e prevedibile attribuendo loro, in guisa antropomorfica, una "personalità", una "psicologia".
In questo modo si venivano a definire degli "dèi", quali rappresentazioni o modelli lessicali di forze extraumane e più che umane, le quali venivano però percepite come qualcosa di obiettivo. L'uomo della tradizione ebbe un'esperienza esistenziale (e non solo intellettuale) del sacro, esperienza che si poneva a fondamento della religione arcaica (2). Qui sta la differenza fra il concetto di dio e quello di ipostasi: un'ipostasi è un'idea, inizialmente di tipo esclusivamente intellettuale e godente di una "realtà" soltanto lessicale, la quale viene proiettata - arbitrariamente e come puro atto di volontà - al di là dell'esperienza sensoriale di veglia per attribuirle una fantasmatica esistenza quale forza pensante extraumana - esistenza che si limita poi a un puro atto di fede da parte di chi l'ipostasi ha proiettato (ad esempio, il diavolo è l'ipostasi dell'idea di Male).
Il monoteismo viene a essere uno strano, teratologico sviluppo concettuale che non può essere se non conseguenza di una cesura fra l'uomo e il sacro, il quale, a un certo momento e presso una qualche gruppo umano, viene a cessare di essere un'esperienza esistenziale. Inizialmente, persiste ancora l'idea del "dio" quale forza, la quale però viene ora a confondersi e ad essere identificata con la sua decrizione semantica che, inizialmente, non era stata se non un fatto di convenienza. Tale visione antropomorfa viene ora ipostatizzata e, attraverso un perverso processo psicologico, unicizzata: ora, il "dio" è unico.
Questo significa che la molteplicità delle forze dell'universo - delle quali non si ha più esperienza esistenziale - vengono ridotte ad una sola ipostasi antropomorfa che, come tale, viene dotata di un suo carattere, di una sua "personalità" di una psicologia che non potrà non riflettere quella dell'individuo o degli individui che tale apparato concettuale abbiano originato. Secondo questa visione, ogni altra forza/essere diviene una sua emanazione o "creatura".
Nel contempo, avendo osservato che il monoteismo non può essere insorto se non presso un tipo umano completamente desacralizzato - cioè un tipo per il quale l'esperienza esistenziale del sacro non è più possibile - risulta che con tale cesura subentra la fede quale valore religioso: si crede per forza (per imposizione, esercitata volontariamente su se stessi, oppure per obbligo) in qualcosa che sta davanti esclusivamente come proposta intellettuale ma di cui non si può avere alcuna esperienza: non a caso - lo documenta Mircea Eliade (3) - la fede, quale valore religioso, ha la sua scaturigine nell'ebraismo, punto di partenza di ogni altro monoteismo. Sostituire la fede alla percezione esistenziale del sacro è come sostituire con una protesi un arto vivente; e c'è una contraddizione di fondo fra le due prime virtù teologali cristiane, perché aver fede è di per sé un atto di disperazione.
Il paleocristiano Tertulliano osservava, seriamente, di credere che il figlio di dio si era incarnato perché ciò era assurdo; e che il medesimo era risuscitato dalla morte perché ciò era impossibile.
In sede storica l'unico monoteismo conosciuto è lo jahwismo - o abramismo, messo a punto nella sua forma finale da quella parte del popolo ebraico - un'etnìa essenzialmente semitica - che nel VI secolo a.C. si trovava in esilio a Babilonia. Questo è il monoteismo che poi, nelle sue molteplici varianti (ebraismo, cristianesimo nelle sue diverse forme, islam e varianti laiche come il marxismo e il liberalismo), imperversa oggi nell’universo mondo. Il corrispondente "dio unico", Jahweh, risente pertanto della problematica psicologia dell'ecumene semitico (4), nonché di quella particolarmente contorta dei suoi inventori specifici (contrariamente all'opinione di alcuni storici, né lo zoroastrismo iraniano né l'akhnatonismo egizio furono manifestazioni monoteiste).
Tanto meno si può vedere una forma di "progresso verso il monoteismo" nel pensiero dei filosofi europei da Platone in poi, attraverso la scuola di Atene (soprattutto Plotino, ma anche Porfirio, Giamblico, Proclo). La confusione al riguardo non poté e non può essere dovuta se non a secoli di abitudine ad incasellare tutto in un paradigma concettuale monoteista. Platone e i neoplatonici si riallacciano a quella visione arcaica, comune a tutti i popoli civili, secondo la quale esiste un "retroscena" (Urgrund, "fondamento primevo") ontologico dell'universo che non è certo un "dio" - né nel senso esistenziale né tanto meno in quello lessicale - ma che è qualcosa che trascende sia gli uomini che gli dèi; e che sta al di fuori e al di sopra del tempo e dell'essere manifestato. Questo è il Brahma vedico, il Tao paleocinese e anche il Numero pitagorico (5). Anche il platonico Demiurgo, visto come forza plasmante e formate degli esseri materiali, è un'accomodamento lessicale, come lo sono tutti i miti cosmogonici che fanno riferimento a un "dio" creatore (poi, almeno in Europa, tutti inseriti in un paradigma più o meno cristiano) (6).
1.2 Il feticismo: Mircea Eliade
Abbiamo detto che l'unico monoteismo storicamente conosciuto è di origine semitica. Il monoteismo è un fenomeno semitico: non a caso, sulla scia di papa Pio XI, un importante teologo cattolico ebbe a dichiarare che ogni buon cristiano è nell'animo suo, semita (7). Questo dà adito ad affrontare la casistica del feticismo, che è quel fenomeno religioso secondo il quale il "dio" - forza obiettiva, della quale normalmente si dovrebbe avere un'esperienza esistenziale - viene confuso con l'oggetto, materiale o lessicale, utilizzato per raffigurarlo o per descriverlo (generalmente, si parla di feticismo con riferimento alle immagini materiali). Ebbene, sta di fatto che nessuna popolazione al mondo - con una sola eccezione - ha mai confuso l'oggetto materiale usato per raffigurare il dio - o la dea, l'anima, la psiche, il fantasma, la forza - col dio raffigurato. Quando diciamo nessuna, intendiamo dire che questo errore non lo commisero neppure i bantù, i cannibali papuasi, i pigmei dell'Africa equatoriale, gli estinti coprofagi della Tasmania o i fueghini del bordo dell'Antartide. L'eccezione a cui ci si riferisce - questo è documentato da Mircea Eliade (8) - furono i semiti (e ancora adesso il tempio di Gerusalemme e la kaaba della Mecca sono cose estremamente sospette). Non sorprende, a ben vedere, che il monoteismo sia insorto proprio fra le uniche genti che siano mai state realmente feticiste.
A questo si ricollega il fatto che i monoteisti più fanatici e più ottusi, tipo gli ebrei, i protestanti, i musulmani, accusano cattolici e ortodossi di feticismo perché essi sarebbero "adoratori di immagini". Si tratta di un fenomeno psicologico di ipercompensazione, per cui si attribuiscono agli altri i propri difetti. Essi praticano l'iconoclastia poiché in tal modo evitano quello che per loro è un "pericolo". L'estetologo Richard Eichler (9) osservava che l'ebraismo, l'islam e il calvinismo sono le tre religioni nemiche del bello, mettendo poi questo fatto in relazione con la loro radice semitica. Il paleocristiano Paolino da Nola rifiutava di farsi ritrarre perché il cosiddetto homo coelestis non può essere riprodotto, mentre l'homo terrenus non deve essere raffigurato (10).
1.3 Anormalità monoteista: Raffaele Pettazzoni
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, vale la pena di commentare un pensiero di colui che, forse, fu il più grande studioso italiano di storia comparata delle religioni: Raffaele Pettazzoni (11). Secondo il Pettazzoni, la condizione normale di un'umanità psicologicamente sana è il politeismo. Il monoteismo viene a essere un'intrusione catastrofica prodotta invariabilmente da una singola personalità, strana e possente - e, aggiungiamo noi, dalle caratteristiche distruttive: quale fondatore di un monoteismo (e solo sotto questo punto di vista), anche in Gesù Cristo ha da ravvisarsi una figura annientatrice della normale condizione vitale e religiosa degli uomini. In particolare, prosegue il Pettazzoni, per potersi affermare, ogni monoteismo abbisogna di un politeismo contro cui scagliarsi con rabbia assassina: questa, in sede storica, è stata sempre una caratteristica delle affermazioni monoteiste (12).
Le idee del Pettazzoni possono essere ulteriormente sviluppate.
(a) Se la normalità è politeista, ci si può attendere che col tempo ci sia una tendenza a che i monoteismi si ridisciolgano nella normalità politeista. Al riguardo (13) ci sono degli incoraggianti sviluppi, sia in area cristiana che in area islamica, che sembrano indicare che la "normalizzazione" sta incominciando ad avere luogo.
(b) A voler figgere lo sguardo nella notte dei millenni - fino alla semileggendaria Atlantide e oltre - viene da pensare che chissà quante volte la deformazione monoteista può avere imperversato sui popoli, per poi inevitabilmente scomparire in ragione del semplice fatto di essere qualcosa di contro natura - forse travolgendo ogni volta, nella sua caduta, imperi, popoli e razze.