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PENSARE STRATEGICAMENTE: LE POSSIBILITA' DEL SOCIALISMO NELL'ETA' DELLA
GLOBALIZZAZIONE
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Queste note sono solo un abbozzo di un progetto più ampio, teso a ragionare
sulle possibilità di un'azione socialista, comunitaria e antimperialista
nell'era della «globalizzazione».
Nel loro ultimo libro [Globalization unmasked. Imperialism in the 21st Century;
trad. it. La Globalizzazione smascherata, Milano, Jaca Book 2002], i due autori
nordamericani James Petras e Henry Veltmeyer non si limitano a una disamina
teorica della globalizzazione capitalistica e alla riattivazione della categoria
analitica di "imperialismo". Essi vanno oltre, approcciando un tema che molto
raramente, per non dire mai, è al centro del dibattito tra chi è impegnato nella
critica allo stato di cose presenti. Questo tema è quello di una strategia
politica e sociale per il socialismo nel XXI secolo. Pensare in modo strategico
significa innanzitutto essere realisti (che è cosa diversa dall'esser cinici),
considerare obiettivamente la natura delle forze in campo, sforzarsi
nell'esercizio di elaborare un'azione che tenga presente le possibilità che si
aprirebbero (favorevoli e sfavorevoli) in conseguenza di un'azione.
Fra coloro che si battono teoricamente e praticamente contro l'imperialismo vi
sono - è inutile negarlo - numerose "anime belle" e volontaristi onirici.
Costoro non vanno disprezzati, e le loro forze sono potenzialmente positive, ma
cionondimeno non si puo' cedere alla tentazione di considerare le loro
concezioni come guida per una coerente strategia di cambiamento radicale. La
battaglia presenta infatti diversi aspetti: quello individuale, di mutamento di
prospettiva (quasi un "riorientamento gestaltico" per dirla con C. Preve [cfr.
“Indipendenza”, N.13, 2003]); e quello politico, da non lasciare a intellettuali
che vivono in una sorta di "turris eburnea" immaginando mondi e contromondi
nella propria testa da estendere/imporre (eventualmente) ad altri.
Un aspetto fondamentale della politica è proprio la strategia, essendo la
politica anche e soprattutto conflitto ed ereditando quindi dalla "funzione
guerriera" problemi e (tentativi di) soluzioni. Detto in modo semplice e banale,
quel che troppo spesso manca a movimenti e partiti "alternativi" animati dalle
migliori intenzioni è la capacità di prevedere in anticipo la contromossa
avversaria; o anche il non elaborare in anticipo le proprie azioni nel caso la
prima mossa vada a buon fine. Prendiamo ad esempio il caso in cui un movimento
a carattere nazionalitario e socialista riesca a conquistare il favore di buona
parte della popolazione di un paese. Dopo le prime misure di politica economica
eventualmente prese da tale movimento/partito, seguirebbero implacabili le
ritorsioni del sistema capitalistico a base USA, con capitali che fuggono,
investimenti bruciati, ritorsioni da parte di altri paesi, attacchi speculativi
alla moneta, propaganda politico-mediatica tesa a devastare l'immagine del nuovo
corso. Questo è assolutamente certo, perché la storia ci ha dimostrato
un'infinità di volte come il capitalismo e l'imperialismo reagiscono di fronte a
simili fenomeni. Si pensi all'Egitto di Nasser, al Cile di Allende, all'Iran di
Mossadegh, al Nicaragua sandinista, a Cuba, alla Guyana, e ovviamente al Venezuela
di Chavez negli ultimi anni. Sarebbe un'illusione suicida pensare che
l'imperialismo possa cambiare approccio a tali questioni in futuro. Occorre
quindi affrontare la questione in modo realistico, preparandosi ad andare
incontro a tempi durissimi, a un'opposizione interna finanziata e sostenuta
dall'esterno, a mosse imprenditorial-finanziarie ostili. Vi sono tuttavia delle
contromosse adeguate che un fronte socialista e indipendentista potrebbe prendere
in considerazione. Per far cio' occorre abbandonare la retorica astratta su quel
che si vorrebbe e ogni illusione "crollistica" sulla "inevitabile e prossima
fine" del capitalismo, e altre amenità del genere, e cominciare a pensare
strategicamente. Questo è quanto James Petras e Henry Veltmeyer cercano di fare,
sebbene il loro scritto si rivolga soprattutto ai movimenti dei paesi in via di
sviluppo (latinoamericani in particolare).
Il primo punto da prendere seriamente in considerazione è quello del ruolo dello
stato e della nazione. E' del tutto inutile ogni argomentare ideologico su
"statalismo" e "antistatalismo" perché quel che conta nel momento di un
tentativo di transizione al socialismo e all'indipendenza è il controllo sulle
istituzioni e la capacità di usarle non più a favore delle élites finanziarie
transnazionali ma a vantaggio della collettività nazionale. Questo non è
statalismo, ma controllo operaio e nazionale sullo stato. Altra divisione
fittizia è quella tra stato e "società civile". I peggiori sfruttamenti
avvengono nella "società civile", in quanto divisa in classi dominanti e
dominate [Petras e Veltmeyer 2002, p. 169]. La classe dominante dovrebbe essere
sottoposta a una "terapia shock": riduzione dei profitti, congelamento di conti
e di holdings e misure sul debito. Ogni misura va presa in anticipo sulla
contromossa avversaria: ad esempio, è necessario sapere come impedire il trasferimento (fuga) di capitali.
Il sistema bancario e imprenditoriale (ricordo che per Marx e Lenin il capitale finanziario è il risultato della fusione del
capitale bancario con quello industriale) è il primo obiettivo del nuovo
controllo popolare e democratico: guai a essere "buonisti" e accondiscendenti
con tale blocco dominante. Grandi imprese, multinazionali, grandi banche devono
esser messe di fronte a un'alternativa secca: collaborazione o esproprio. Questa
è in realtà una tattica per la rinegoziazione del rapporto tra capitale e lavoro
(e collettività nazionale) nel periodo della "terapia shock": riordinamento
della gerarchia e ridirezionamento degli investimenti (privilegiare il mercato
domestico). Investimenti diretti all'interno e misure sul credito sono tra le
prime misure che uno schieramento socialista deve prevedere - in anticipo - per far fronte all'inevitabile crisi sucessiva alla "terapia" (proteste innescate dai dominanti, azioni esterne,grida contro la "fine della libertà [per i dominanti]" etc. L'obiettivo strategico è di saldare la nazione attraverso socializzazione dei mezzi di produzione evitando pero', al contempo, il "delinking" dal mercato mondiale : in poche parole, niente autarchia, ma resistenza basata su un modello differente rimanendo nel mercato mondiale degli scambi. Cio' è pensato da Petras e Veltmeyer per affrontare il periodo in cui il paese rivoluzionario si trova solo e in certo modo "accerchiato" dalle potenze capitalistiche.
Altre misure indispensabili [Petras e Veltmeyer, p. 170] includono un audace rovesciamento delle tesi globaliste del FMI e della Banca Mondiale, nel senso di una politica di "aggiustamento strutturale" fatta in senso socialista e non liberista; e un "monetarismo dal basso" che consiste nel combattere la trappola dell'inflazione evitando di stampare moneta in eccesso e traendo invece beneficio dall'abolizione dei privilegi fiscali per classi dominanti e investitori esterni.
Questa rapida carrellata non vuole in alcun modo essere uno schemino adibito a "ricetta per cucine dell'avvenire", ma vuole invece, semplicemente, richiamare l'attenzione sull'importanza dell'elaborazione strategica. In Italia, gli intelligenti e acuti estensori dei saggi che compongono il volume Diciamoci la verità [quaderno a cura della rivista "Koiné", Pistoia 2001] dimostrano di aver capito tale questione. Affrontando il cruciale problema della distruzione dell'ambiente, essi affermano, dopo aver illustrato la ragionevolezza di misure tese a diminuire esportazioni/importazioni, produzione e consumi, che il contraccolpo economico e occupazionale sarebbe pesante e inevitabile. Ma al tempo stesso, indicano delle misure preventive, quali ad esempio una politica occupazionale alternativa, possibile pero' solo sulla base di una vera indipendenza politica nazionale [op. cit. p. 13].
In definitiva, lo sforzo teorico-strategico teso a studiare i possibili scenari di una transizione al socialismo e all'indipendenza nazionale (intesa come base per una cooperazione internazionale e non certo come follia autarchico-isolazionista) sembra essere una necessità imprescindibile. Alla base di tale convinzione vi è null'altro che la pacata osservazione della storia. Si puo' esser certi, infatti, che anche qualora un nuovo movimento anticapitalista, comunitarista e socialista riuscisse a diventare egemone in un paese iniziando la transizione verso inedite forme di cooperazione umana, la reazione del capitalismo e delle forze imperialiste sarebbe violenta, coordinata e spietata.
Per questo motivo, se è necessario evitare ogni infantile estremismo, è altrettanto vitale non cedere alle lusinghe di un imbelle buonismo.
NOTA BIBLIOGRAFICA
James Petras, Henry Veltmeyer, La Globalizzazione smascherata, trad. it. Milano, Jaca Book 2002
Costanzo Preve, Da Socrate a Marx. Comunità, Individuo, Libertà, Sicurezza, in “Indipendenza”, n.13, Gennaio-Febbraio 2003
AAVV, Diciamoci la Verità, CRT, Pistoia 2001