- Piu' di 300 mila italiani originari di Istria, Fiume e Dalmazia vivono attualmente sparsi nella nostra penisola, in America e Australia. Sara' celebrata oggi a Roma la ''Giornata della Memoria'' per ricordare quelli che sono stati costretti a subire dure persecuzioni nel corso del secondo conflitto mondiale e a scegliere la via dell'esilio, e le migliaia di nostri connazionali morti nelle ''foibe''.
Queste profonde fenditure naturali tipiche della regione carsica sono state adibite a fosse comuni fin dal 1943 quando le truppe partigiane di Tito, dopo l'Armistizio dell'8 settembre, avviano una prima fase di pulizia etnica gettandovi centinaia di italiani di Istria e Dalmazia. Tra la popolazione slava serpeggiava infatti un profondo sentimento anti italiano e antitedesco a causa dei rastrellamenti di civili, di violente rappresaglie contro i partigiani comunisti, degli incendi di interi villaggi, di fucilazioni di massa e deportazioni nei campi di concentramento che si erano verificati nei territori occupati dall'Italia fin dal 1941. Se il simbolo di questa oppressione e' la Risiera di San Sabba, un impianto industriale alle porte di Trieste dove passarono migliaia di ebrei e di partigiani comunisti per essere inviati nei lager in Germania o eliminati tra le sue squallide mura, emblema del martirio italiano sono le ''foibe'' e la gelida immagine di corpi denudati, straziati, colpiti alla nuca, con le mani legati da filo di ferro.
Questa tecnica di tortura e morte viene applicata in modo piu' ampio e sistematico nel 1945. La guerra finisce ufficialmente il 25 aprile ma nei territori di confine contesi e occupati dai soldati di Tito si scatena per una quarantina di giorni una incontrollata violenza etnica. Dal 1 maggio al 15 giugno gli italiani vengono prelevati dalle loro abitazioni a gruppi composti di 100, 200, 500 persone, e gettati nelle foibe di Monrupino e Basovizza. Quest'ultima voragine di 256 metri, scavata per trovare il carbone, diventa il simbolo di tutte le foibe del Carso e dell'Istria e della morte tragica dei nostri connazionali. Civili, militari, carabinieri, agenti di polizia, fascisti e non vengono condotti su autocarri al ''Pozzo della Miniera'', legati tra loro con fil di ferro, sospinti verso l'abisso e falciati da una scarica di mitra. Chi sopravvive alla morte dopo un volo di piu' di 200 metri agonizza sul fondo per le ferite e i colpi riportate nel corso della caduta.
Stime certe sugli ''infoibati'' non se ne hanno, lo stesso Tito ammise la strage ma neanche i diretti esecutori potrebbero fornire un numero preciso. Siamo comunque nell'ordine delle migliaia. Per la sola Basovizza, secondo un calcolo basato sulla profondita' della foiba prima e dopo la strage (la differenza sarebbe di 30 metri) si parla di oltre 2 mila persone. Considerando coloro che sono stati deportati nei lager jugoslavi si arriva a un totale di circa 10 mila vittime.
Saranno ricordati oggi, alla presenza di autorita' politiche e di governo che alle 150 si incontreranno nei pressi del Monumento dell'Esodo a piazza dei Giuliano Dalmati, i giuliano-dalmati morti per essere italiani, ma anche coloro che sono stati sacrificati sull'altare degli interessi politico-internazionali e interni. Il 10 febbraio del 1947 il Trattato pace di Parigi concede infatti gran parte dell'Istria, la Dalmazia, Fiume e le isole Cherso e Lussino alla Jugoslavia, alleata delle potenze vincitrici. Restano italiane Gorizia e Monfalcone. Viene creato inoltre il ''Territorio libero di Trieste'', diviso nella zona A, l'odierna provincia di Trieste, prima sotto occupazione anglo-americana, poi restituita all'Italia il 26 ottobre del 1954 con il Memorandum di Londra, e la zona B, corrispondente all'Istria settentrionale da Capodistria a Cittanova d'Istria, sotto amministrazione jugoslava.
Trieste diviene allora il maggior centro di raccolta degli istriani che scelgono di emigrare, seguendo l'esempio di chi era fuggito alle persecuzioni nel corso della guerra. Le cifre ''ufficiali'' parlano di un totale di 350 mila esuli. Rimangono in quelle terre gli anziani, chi non ha il coraggio di partire e coloro che sperano in un nuovo ordine mondiale.
Nel novembre del 1975 il Trattato di Osimo chiude le questioni territoriali, sancendo la cessione della zona B alla Jugoslavia. Con il disfacimento della Federazione jugoslava a partire dal 1990 pero' i fragili equilibri geopolitici della penisola si sfaldano, le potenze internazionali si lanciano in una competizione per la conquista di spazi economici e nuovi mercati. L'Italia stessa torna a prendere di mira la penisola istriana e la Dalmazia, ormai parte delle repubbliche di Slovenia e Croazia, riaccendendo ambizioni territoriali sopite ormai da anni. L'interesse per queste zone dipende dalla loro importante valenza geopolitica, rappresentano infatti un ponte dell'Europa occidentale verso est, ma sono anche fortemente instabili a causa della complessa struttura etnica. Ormai i problemi di confine dovrebbero pero' considerarsi superati in vista di una definitiva riconciliazione transnazionale, all'interno magari di una Europa Unita allargata agli stati balcanici, nel ricordo di tutti quelli che sono caduti per un incontrollabile odio etnico.
Sara Romeo