Il movimento pacifista nel paese più «guerrafondaio» d'Europa
di Alfio Bernabei

LONDRA. “N0”. Due gigantesche lettere maiuscole. “NO”, “NO”, “NO” è ripetuto sui manifesti attaccati un po’ ovunque. Muri, cabine del telefono, tronchi d’albero. In versione più piccola il manifesto si ritrova esposto alle finestre di molte abitazioni. Londra contro la guerra si prepara alla grande marcia di sabato.

Arriveranno migliaia pullman da ogni angolo dell’Inghilterra. Dalla Scozia. Dal Galles. Si parla di una delle più grandi manifestazioni mai viste nella capitale negli ultimi cinquant’anni. Forse la più grande. Tra l’altro è certamente la prima volta che si parla di stadi semivuoti per via di una manifestazione. In Inghilterra le partite si giocano di sabato, non di domenica. Ma basta entrare nelle chat room dei tifosi che si scambiano messaggi su internet per vedere che anche sul terreno dello sport la marcia si sta imponendo come goal prioritario. “Questa volta devo far vincere la mia coscienza” scrive un tifoso della squadra di Cardiff City al suo clan di amici, Matt, Kat, Stu, ecc.ecc. “Ragazzi, dove ci troviamo?” C’è una scelta. Tale è massa di gente prevista che Scotland Yard ha designato due punti di partenza per la manifestazione. Un corteo partirà dalla zona universitaria di Gower Street, come dire al nord della capitale, e l’altro dall’Embankment sul Tamigi che è più a sud. Le due ali convergeranno poi in direzione di Hyde Park.

Inizialmente il governo, per bocca della ministra Tessa Jowell, aveva negato il parco adducendo il fatto che di questa stagione mezzo milione di persone rischiano di trasformarlo in un’immensa fanghiglia. Ma gli organizzatori della manifestazione hanno fiutato una scusa, un tentativo di offuscare la visibilità dell’evento ed hanno puntato i piedi: “Stiamo parlando della libertà di manifestare per proteggere donne e bambini irakeni dalle nostre bombe” ha detto un portavoce della No War Coalition. “Che fa il governo? Si preoccupa di proteggere l’erba? Quella ricrescerà. Sono i morti che non rinascono”. Alla fine la ministra e il governo hanno dovuto capitolare. I due cortei sfoceranno nel famoso parco del “free speach”.

Cinquencentomila? Può sembrare strano, ma nonostante gli otto o nove milioni di abitanti, a Londra è rarissimo vedere manifestazioni che superino le 250-300.000 persone. Per questa occasione si parla di sfondare ogni record, che vuol dire andare oltre le cinquencentomila e, secondo gli organizzatori, avvicinarsi al milione Chi sono gli organizzatori? Sullo sfondo, come sempre in questi casi, c’è il ruolo pioniere della famosa Cnd (Campaign For Nuclear Disarmament) che venne creata negli Anni cinquanta per protestare contro gli armamenti nucleari. La Cnd ha uffici e migliaia di sostenitori in tutte le principali città del Regno Unito. Sabato si presenterà sotto l’ombrello più generale della Stop the War Coalition che in questa occasione include anche la Muslim Association (Associazione musulman), insieme ad una miriade di gruppi, movimenti, enti ed organizzazioni sparse. La chiesa anglicana per bocca dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams si è schierata contro la guerra come pure i rappresentanti di tutte le altre chiese. Anche i principali sindacati scenderanno in strada. Tra i leader di partito ci sarà Charles Kennedy dei liberaldemocratici.

Salma Jaqoob, una psicologa musulmana di Birmigham che sta organizzando il contingente che arriverà a Londra con più di duecento pulman dice: “Abbiamo di tutto. Gente di sinistra, di destra, musulmani, atei, sikh, hindu, gente di tutte le età, di tutti i ceti sociali. La petizione contro la guerra nel centro della città ha raccolto in media mille firme all’ora”.

A Londra le firme vengono raccolte nei vari quartieri. “Have you signed against the War?” (hai firmato contro la guerra?) mi hanno chiesto sabato mattina presto due signore sull’ottantina, coi loro cappellini già in primavera, piazzate davanti al fornaio di South End Green nel distretto di Hampstead porgendomi il foglio con la matita. Una di queste sovversive mi ha dato anche un volantino che dà precise istruzione sul come comportarsi “in caso di guerra”. Sotto al titolo Action Against the War si legge: “Nell’eventualità di un attacco all’Iraq la gente è invitata a protestare radunandosi nella parte sud di Trafalgar Square

- alle 7 della stessa sera se l’attacco comincia prima delle 4 del pomeriggio

- alle 7 del giorno successivo se dovesse cominciare dopo le 4 del pomeriggio. Ci sarà anche un assembramento alle 11 della mattina del primo sabato dopo l’attacco, sempre nella parte sud di Trafalgar Square”.

Il volantino precisa che l’intenzione è di “portare la protesta sotto agli occhi del primo ministro Tony Blair”. Infatti la parte sud di Trafalgar Square è quella che dà sul versante del parlamento e sfiora il vicoletto dietro Downing Street, l’abitazione del premier. Si capisce qual’è la segreta intenzione dell’iniziativa: quella di gridare il “NO!” alla guerra fin sotto le finestre di Blair. Si spera che non si debba arrivare a tanto. Tutti quelli che si stanno preparando per sabato, come dice un altro manifesto con la scritta “New York, Roma, Londra....” lo fanno sapendo che il mondo - buona parte del mondo - si sta davvero mobilitando alla grande per una risoluzione pacifica della crisi.

“E’ un momento cruciale per il nostro paese” dice Apolo Murciano, studente all’univesità di Edimburgo, “l’America non andrà in guerra senza l’appoggio di Blair. Abbiamo una voce e dobbiamo farla sentire”. Insieme al suo amico Jim Hayton sta preparando le T-shirt. Ah si, perché le T-shirt ci vogliono assolutamente. Non importa se farà freddo. Le T-shirt con gli slogan stampati sono un must. Le manifestazioni inglesi hanno le loro tradizioni. E’ dai tempi delle proteste contro la guerra nel Vietnam che non c’è “demo” senza T-shirt. Forse perché lo slogan vicino al cuore simboleggia il rapporto più stretto col proprio pensiero, con l’identità personale e la propria coscienza. “La tentazione è quella di scrivere “Make Love, Not War” dice Jim “come si diceva ai tempi del Vietnam”, ma forse opteremo per “Not in our names” (Non in nostro nome).


Saluti

Luca Loi