Davide Van de Sfroos


Grande successo per il musicista lombardo che ha appena dato alle stampe Laiv, un doppio cd dal vivo dove esce fuori tutta la grinta e l'autenticità del menestrello del Lago di Como. Lo abbiamo intervistato.


Niccolò Borella


Davide Van de Sfroos è un dei casi musicali dell’anno. Le sue ballate folk che raccontano storie delle sue terre, le terre dei Laghèe delle valli comasche, cantate in dialetto, hanno travalicato il successo locale per fare di Davide un cantautore appezzato da critica e pubblico. Dopo il sorprendente risultato di Breva e Tivan, cinquantamila copie vendute quasi senza promozione, esce ora Laiv doppio cd dal vivo.

Che reazioni hai avuto alla tua musica fuori dalla Lombardia?
In Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna, che sono i primi luoghi al di fuori della Lombardia in cui mi sono affacciato, il seguito è molto caloroso e la gente conosce le canzoni. La vera sorpresa è stata quest’estate quando ho suonato insieme al Parto delle Nuvole Pesante in Calabria e Puglia dove il pubblico ha mostrato interesse accogliendoci molto bene, chiedendo cosa dicevano le canzoni, è stata una bella soddisfazione.

A te viene naturale cantare in dialetto?
Quando cresci in un paese dove si parla questa lingua ti ritrovi a pensare in dialetto. Quella è la dimostrazione che sei figlio di quella lingua. Ti rendi conto che quando ti arrabbi e imprechi lo fai in dialetto e questo vuol dire che è proprio dentro di te.

Il tuo è un caso particolare nella discografia italiana, come ti vedi dentro a questo mondo?
Io sono partito senza considerarmi un cantante o un musicista ma come uno che ha preso in mano la chitarra per raccontare le mie cose, come un menestrello del Medioevo, usando lo strumento che avevo a disposizione. Oggi questo strumento è diventato un’organizzazione e queste storie stanno girando. Forse sono un ricercatore.

Ma l’approccio è cambiato?
Questa cosa funziona perché io sono rimasto lo stesso. Non credo di dover strutturare un pezzo in un determinato modo, più commerciale, è una cosa fredda e non m’appartiene. Io credo nell’equazione istintività uguale a successo. Poi è chiaro delle cose cambiano, ci sono persone che lavorano per me, maggiori responsabilità ma a livello di creatività non è cambiato nulla.

Il tuo è un folk dalle mille sfaccettature, quali sono le tue influenze ?
La mia musica nasce da tutto quello che ho ascoltato, per cui si va da Nicola di Bari ai Sepultura arrivando ai Chieftains ma passando per i Clash. La cosa che mi rende più libero è non avere un genere predefinito, che ti fa dire che ne so questo non è abbastanza reggae e non possiamo farlo. E’ musica libera, mi baso sul mio gusto, sul colore che si vuole dare a un brano. Come un regista sceglie la colonna sonora per un film io scelgo la colonna sonora per il mio racconto fatto di strofe.

I tuoi testi, pur molto diretti, esprimono una poeticità e sono molto efficaci perchè suonano lontani dalla retorica di certo cantautorato classico
Ho capito cosa vuoi dire e ti ringrazio, è una cosa su cui ho cercato sempre di lavorare. Io sono nemico della retorica e della parola sloganistica. Le mie canzoni sono nate come poesie, adesso cosa sia la poesia non lo sanno neanche i poeti, è un’alchimia, è qualcosa di magico che appartiene a tutti e allo stesso tempo nessuno, è libera. Uno dei grandi poteri della poesia è quello di sembrare di non esserci. Tante volte ci sono delle persone che fanno delle curve forzate per dire “Ho fatto della poesia” e il risultato è una frenata che resta sul terreno, invece qualcuno può dire involontariamente una frase giusta con la luce giusta, con l’emozione giusta e quella frase ti fa sobbalzare. Io mi sono sempre sforzato di scrivere di cose legate al quotidiano e metterci dentro della poesia, ma senza forzare, in maniera tale che arrivi a chiunque con la giusta fragranza. Questo è il mio obiettivo.

Le tue canzoni sono fortemente legate alla tua terra e questo ha portato qualcuno a identificarti politicamente con la Lega. E’ tutto un grosso equivoco?
E’ ormai diventato un tormentone, sul quale scherzo sopra. Quello che è il mio messaggio e il mio essere slegato alle ideologie politiche è ciò che mi rende libero. Libero di raccontare la storia di chiunque senza guardare che divisa porta, libero di affacciarmi a un balcone senza dover fare i conti con chi dal basso guarda o chi dall’alto scruta. Credo che non ci possa essere libertà espressiva se ci mettiamo a chiedere come la Santa Inquisizione tu chi sei e da dove vieni. Se io trovassi anche cinque leader politici di diversa estrazione sotto il palco sarei solo contento, perché sono sicuro delle cose che sto cantando e del perché le sto cantando e se la gente le vuole ascoltare mi fa solo piacere. Se invece volessi nascondermi in una cantina sventolando una sola bandiera a cantare per autocompiacimento sarei infelice e frustrato. La mia musica è per tutti e io non sono di nessuno e pur essendo un disadattato politico, non avendo trovato fiducia pur avendola cercata, continuo nella mia politica che è quella dell’uomo, una politica che guarda verso un sogno, un’illusione forse, di pace e di negazione di qualsiasi conflitto e di guerra.


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Molto bella la parte che ho evidenziato, in riferimento alla lingua.