da Il Corriere della Sera

Intervista al presidente della Commissione Ue
Prodi apre al piano franco-tedesco
«Fermare Saddam ed evitare la guerra. Obbligati a prendere atto di una rottura nella Ue e tra governi e opinioni pubbliche

«Finalmente si va nella direzione giusta». Non c’è esultanza nelle parole con cui Romano Prodi commenta la proposta franco-tedesca per evitare in extremis la guerra nel Golfo. Non c’è esultanza e forse nemmeno reale sollievo. Solo un filo di speranza. E la consapevolezza che le due sulfuree settimane che ci siamo appena messi alle spalle hanno scandito ore drammatiche per il mondo, ma anche momenti molto difficili per la costruzione europea.

Romano Prodi (Ap)
Quando, a fine gennaio, i leader di Francia e Germania presero le distanze dalle iniziative di Washington, il presidente della Commissione europea parlò di «uscita prematura». Evidente, al di là del merito, la preoccupazione per i contraccolpi di una sortita certamente legittima nell’ambito delle normali consultazioni bilaterali tra i Paesi membri, ma che - visto anche il momento e la rilevanza della posta in gioco - aveva spiazzato molti partner europei. Ma poi era arrivata l’altra «uscita», quella degli Otto (Gran Bretagna, Italia, Spagna, Portogallo e alcuni Paesi dell’Est europeo) a sostegno della politica fin qui seguita da Washington. E a quel punto su Bruxelles era calato il gelo. Per giorni la preoccupazione principale è stata quella di non alimentare ulteriori contrasti, di evitare nuovi strappi. Ma intanto, mentre le diplomazie europee segnavano il passo, la crisi scivolava su un piano inclinato verso lo sbocco della guerra. Ora, quasi a tempo scaduto, ecco il piano franco-tedesco presentato da Berlino. La sua praticabilità è tutta da dimostrare, la risposta degli Stati Uniti è totalmente negativa e anche Parigi reagisce con una certa irritazione all’annuncio fatto dalla Germania.

Un piano che arriverà fino al Consiglio di Sicurezza o una semplice proposta destinata a fare poca strada? I dubbi sono parecchi e giustificati, il pessimismo è diffuso ma Romano Prodi sceglie ugualmente di esporsi con una presa di posizione impegnativa.
«Anche se mancano i particolari e non si sa nemmeno se esiste un vero e proprio piano» afferma il presidente della Commissione europea «sembra che si stia consolidando un fronte nella direzione giusta, quella cioè di evitare la guerra, ma nello stesso tempo di imporre - come giustamente chiedono gli Stati Uniti - controlli stretti e severi su Saddam Hussein, in modo da impedirgli di costituire una minaccia per l’umanità».

L’iniziativa di uno o due Paesi dell’Unione è comunque una sconfitta per l’Europa che d el resto proprio in queste ore sta dimostrando le sue profonde divisioni anche all’interno della Nato . Evidentemente mancano gli spazi per un’iniziativa comunitaria...
«Quella che è emersa ieri è una linea rispetto alla quale le diplomazie europee e la Commissione stessa non erano rimaste inerti. Ma che poi si era fermata nel momento in cui la lettera degli Otto obbligava a prendere atto di una rottura tra i diversi Paesi europei e tra molti governi e le loro opinioni pubbliche».

Il governo americano sostiene che spesso le opinioni pubbliche hanno bisogno di una Pearl Harbor per convincersi della necessità di un intervento. Ma oggi, vista anche la spaventosa potenza di alcune armi di distruzione di massa, l’obiettivo deve essere quello di prevenire una Pearl Harbor. Certo, la guerra preventiva, oltre ai problemi di legalità, si porta dietro incognite altrettanto spaventose, mentre lo sbocco della crisi è altamente imprevedibile.
«Non ho infatti mai visto tanta comune preoccupazione per le conseguenze imprevedibili di un eventuale conflitto. Di queste preoccupazioni si è fatto continuamente interprete il Papa, la cui voce è stata forse ascoltata molto più di quanto i mezzi di comunicazione abbiano fatto trasparire».

In che misura la crisi che stiamo vivendo può incidere negativamente sulla costruzione della Nuova Europa?
«Nel tempo in cui l’Europa, attraverso la Convenzione, sta piantando le radici del proprio futuro, questa crisi internazionale deve spingere tutti i Paesi europei - e quando dico tutti non mi riferisco solo a quelli che già fanno parte dell’Unione, ma anche a quelli che vi entreranno - a cercare comportamenti comuni senza i quali non viene garantita né la pace nel mondo, né una solida e permanente collaborazione con gli Stati Uniti, anch’essa condizione fondamentale per il perseguimento della sicurezza e della convivenza pacifica».

Sono in molti, nella «vecchia Europa», a temere che i connotati stessi dell’Unione possano cambiare con l’ingresso di alcuni Paesi dell’Est se questi si preoccuperanno più del loro allineamento agli Usa che di costruire posizioni comuni in sede Ue . Un antidoto poteva essere quello delle cooperazioni rafforzate ; magari costruite più che lungo l’asse franco-tedesco, attorno a un nocciolo costituito dai sei Paesi fondatori della Comunità europea, cioè Francia, Germania e Italia, oltre ai tre del Benelux.
«Effettivamente in questo ambito mi sembra fondamentale - come ho potuto constatare una volta di più incontrando i tre primi ministri di Belgio, Olanda e Lussemburgo - l’unità tra i sei Paesi fondatori dell’Unione come base di una comune posizione di tutti i Paesi europei».

Prodi non va oltre. Sull’Italia non dice una parola. Ma è evidente che il giudizio sulla decisione del nostro governo di aderire alla dichiarazione degli Otto è fortemente negativo anche perché ha tagliato le gambe a ogni tentativo di giungere a una posizione comune dei Paesi fondatori.

Massimo Gaggi
10 febbraio 2003