NON fu solo per paura, né per piaggeria, né per la speranza di aver trovato un valido alleato soprattutto contro gli inglesi e gli ebrei che il mondo arabo divenne, e questo atteggiamento si tramandò per due generazioni, fervido ammiratore di Hitler e intimo amico dell'Asse: non si trattò solo di tenere per Rommel finché combatteva nel deserto contro gli inglesi e gli ebrei, e di gridare evviva agli aeroplani di Mussolini che bombardavano Tel Aviv. No: finché dall'amore per l'Asse non si passò ad un rapporto altrettanto intimo e intenso con i Paesi comunisti, nell'incontro con Germania nazista e Italia fascista si espresse un ben più profondo desiderio di veder sprofondare l'Occidente colonizzatore di cui l'Inghilterra era il portabandiera, e gli ebrei che ne erano considerati una gemmazione naturale. Frustrati dall'affondamento inesorabile dell'Islam trionfante dei suoi primi sette secoli, e poi dalla sconfitta dell'Impero Ottomano, minacciati culturalmente dall'assedio dell'Occidente, confusi da un nazionalismo in nuce che non trovava una sua strada autonoma, le violente autocrazie dell'Asse, con la loro retorica antidemocratica e con il loro antisemitismo, piacquero oltremisura, più ancora di quanto non suggerisse l'ovvia opportunità di cercarsi un alleato, o di offrirsi come spalla a un dittatore vincente come Hitler. La lettera personale del Mufti di Gerusalemme Haj Amin trasmessa all'ambasciatore tedesco Franz von Papen ad Ankara recita per esempio: «Nell'occasione del grande trionfo militare e politico che il Führer ha appena raggiunto con la sua preveggenza e il suo grande genio... la nazione araba ovunque sente la più grande gioia e la maggiore gratificazione... i popoli arabi si aspettano che il risultato della vostra finale vittoria sarà la loro indipendenza e completa liberazione...». Haj Amin si trovava in quei giorni in Iraq, dove la rivoluzione di Rashid Alì si era svolta a sua volta sotto il segno del nazismo (come spiega bene Carlo Panella nel suo Saddam, il peggiore amico dell'Occidente, indicandone anche i nessi con l'Iraq di Saddam Hussein), mentre la protezione tedesca e fascista si estendeva anche alla Siria, e dall'Egitto il re Farouk, seguito nelle sue simpatie più tardi dal suo più feroce oppositore, il futuro rais Gamal Nasser, scriveva a Hitler di essere «pieno delle più grande ammirazione per il Führer». Più avanti, dopo la sconfitta del nazifascismo, il mondo arabo si mosse con entusiasmo verso la protezione e l'ispirazione ideologica dell'universo comunista, nella basilare aspettativa di una messianica venuta di un mondo che avrebbe sconfitto l'Occidente oppressore, di cui gli ebrei sempre di più rappresentavano l'avamposto. Oggi agli occhi degli arabi l'Occidente più aggressivo è quello americano e con esso quello ebraico, l'attacco alle Twin Towers fa il paio con il desiderio di espulsione di Israele: l'Europa, sia pure contraddittoriamente, è il nuovo orizzonte da cui si fantastica un puntello. La grande contraddizione è che la democrazia è appannaggio anche dell'Europa semi-amica, e che gli estremisti più duri, da Bin Laden ad Hamas, sanno benissimo che stavolta l'alleanza è tattica, e non strategica.

Fiamma Nirenstein