Il ministro degli Esteri russo Ivanov spiega il no alla guerra
«Il veto russo come misura estrema»

«Un attacco all’Iraq spingerebbe altri Paesi ad armarsi per paura». Sulla visita del Papa: «Fatti concreti già nel 2003»

MOSCA - Mentre si compiono gli ultimi tentativi per evitare che la crisi irachena possa essere risolta con le armi, il ruolo della Russia diventa sempre più importante. Sulla posizione del suo Paese, il ministro degli Esteri Igor Ivanov ha accettato di rispondere alle domande del Corriere.



Signor ministro, dopo gli Usa anche l'Unione Europea ha avvertito che il lavoro degli ispettori non può durare all'infinito. E la Russia?
«Intanto, è positivo rilevare che tutti riconoscono l'importanza del lavoro degli ispettori. Siamo d'accordo: le ispezioni non possono durare per sempre. Proprio per questo, la Russia ha proposto che l'Unmovic e l'Aiea (gli ispettori e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, ndr) sulla base della risoluzione 1284 presentino un piano di lavoro indicando i tempi e quello di cui hanno bisogno per svolgere il loro compito. Oggi si dice che ci vuole più collaborazione da parte dell'Iraq. Ma concretamente cosa serve? Il permesso al sorvolo degli aerei da ricognizione, le interviste con gli scienziati, l'adozione di una legge che proibisca la fabbricazione delle armi di sterminio. Tutto questo lo abbiamo ottenuto. Gli ispettori ci dicano se serve altro».

Americani e britannici preparano una nuova risoluzione. La Russia che farà? «Noi non siamo in principio contrari a nuove risoluzioni. Bisogna capire a cosa servono. Sulla base dei rapporti degli ispettori e dell'Aiea non ne vediamo la necessità. Per essere chiari: se la risoluzione mira a rafforzare il mandato degli ispettori allora siamo pronti a esaminarla. Se è per avere l'autorizzazione all'uso della forza, allora crediamo che sia dannosa».



Igor Ivanov, ministro degli Esteri della Russia (Ap)
Userete il vostro diritto di veto?
«E' una misura estrema a cui ricorrere in maniera responsabile. Oggi il compito della Russia non è di spaccare il Consiglio di Sicurezza bensì di mantenerne al massimo l'unità».

Quali ritiene sarebbero le conseguenze di una guerra?
«Sarebbero negative e su un piano globale. Nel definire la propria posizione la Russia non si basa solo sugli interessi russi in Iraq, come taluni sostengono. Abbiamo degli interessi ma non sono tali da determinare la nostra politica. Partiamo dal presupposto che la comunità internazionale si trovi oggi in una fase molto importante. Abbiamo superato il periodo della guerra fredda. In tal modo abbiamo la possibilità, per la prima volta nel dopoguerra, di agire in maniera concorde per avviare a soluzione problemi comuni. Questo è il significato della dichiarazione congiunta russo-franco-tedesca sull'Iraq. Tutto questo sarebbe vanificato. Ma le conseguenze sarebbero anche altre: si danneggerebbero seriamente i meccanismi multilaterali soprattutto all'interno dell'Onu. Ci verremmo poi a trovare in una situazione in cui l'Islam potrebbe recepire queste azioni come manifestazioni di uno scontro di civiltà. Questa situazione verrebbe strumentalizzata da vari gruppi estremisti e terroristici per giustificare i propri crimini. La guerra si ripercuoterebbe seriamente sulla situazione nell'area, nel Golfo Persico e nel Medio Oriente. Inoltre ostacolerebbe l'attività della comunità internazionale nella soluzione dei problemi globali. Infine influirebbe sulla situazione generale economica nel mondo. Sette ragioni che dovrebbero consigliare di soppesare e ponderare prima di agire. Possiamo benissimo disarmare l'Iraq senza l'uso della forza».

La Russia sta premendo su Saddam Hussein per ottenere le prove del disarmo e il rispetto della risoluzione 1441?
«Non dovrei dirlo io, ma se qualcuno negli ultimi anni ha esercitato una pressione attiva su Bagdad, questa è stata proprio la Russia. Abbiamo sempre sostenuto che le sanzioni possono essere tolte solo attraverso il Consiglio di Sicurezza. Siamo in contatto permanente con le autorità di Bagdad per convincerle alla massima collaborazione con gli ispettori internazionali: è la miglior garanzia di evitare la guerra».

E' praticabile l'idea dell'esilio del leader iracheno?
«Non abbiamo nemmeno mai discusso tale eventualità. Sarebbe un'ingerenza negli affari interni di quel Paese».

L'intesa stabilitasi tra Russia e Usa dopo l'11 settembre può essere danneggiata?
«I rapporti di partenariato con gli Stati Uniti così come quelli con l'Unione Europea sono una linea strategica. Possono sorgere divergenze anche serie, come quelle sul trattato Abm ma le basi del nostro rapporto rimangono. La Russia non è interessata a che il mondo torni alla guerra fredda. Quando parliamo di conseguenze di una eventuale azione unilaterale in Iraq ci preoccupiamo anche di quello che può significare per i nostri partner».

Si riferisce ai sentimenti anti-americani che si stanno diffondendo nel mondo?
«La Russia è uno dei pochi Paesi nei quali non ci sono state manifestazioni anti-Usa. Ma tutta la gente che è scesa in piazza nei giorni scorsi non era a favore di Saddam Hussein, però scandiva slogan contro l'America. E questo dovrebbe far riflettere i nostri amici di Washington. Quella gente vuole il disarmo dell'Iraq, ma con mezzi diversi dalla guerra».

Quanto avviene in Iraq può destabilizzare l'Afghanistan?
«Sono problemi differenti ma correlati. In Afghanistan non è stata raggiunta una stabilità irreversibile e non dobbiamo dunque distogliere l'attenzione. Non possiamo ingannare l'opinione pubblica dando l'impressione che se disarmiamo l'Iraq allora tutto il resto andrà bene. Quello iracheno è solo uno dei problemi che abbiamo di fronte e nemmeno il più importante. Il problema principale è quello del terrorismo e dell'estremismo. E l'uso della forza complicherà la situazione ovunque».

Anche nella penisola coreana?
«Certamente. I timori della Corea del Nord per la propria sicurezza aumenteranno. Come quelli di tanti altri Paesi piccoli e medi che potrebbero essere tentati di ricorrere a programmi per dotarsi di armi chimiche o batteriologiche. Si potrebbe determinare una proliferazione da insicurezza. E' una logica pericolosissima».

Torniamo alla Corea del Nord. Perché non volete che l'Onu affronti la questione?
«Perché si tratta di un problema bilaterale. La Corea deve rientrare negli accordi di non proliferazione e il suo programma deve essere sotto il controllo dell'Agenzia internazionale. Ma Pyongyang ha paura degli Stati Uniti e vuole garanzie di sicurezza. Visto che il presidente Bush ha già detto di non aver intenzione di attaccare la Corea, non vedo perché questo dialogo bilaterale non possa riprendere».

Pensa che si potranno fare importanti passi avanti nei rapporti con l'Unione Europea nei prossimi mesi?
«E' una delle priorità della politica estera russa. La Ue è il nostro principale partner commerciale. Dopo l'allargamento la metà del nostro commercio estero avverrà con l'Unione. E' giunto il momento per far fare alle nostre relazioni un salto di qualità decisivo».

Potranno essere importanti i prossimi mesi?
«Sappiamo che il presidente del Consiglio Berlusconi è uno dei più attivi sostenitore dell'avvicinamento tra Russia e Ue. Per questo attribuiamo grande importanza al prossimo semestre di presidenza italiano. Credo che con la Ue si potrà realizzare un meccanismo di collaborazione permanente simile a quello concordato con la Nato a Pratica di Mare l'anno scorso. Forse contatti permanenti e continui tra i commissari dell'Unione e le equivalenti strutture del nostro governo. Oggi abbiamo summit semestrali nei quali si decidono cose importanti a livello politico. Poi tutto si arena nelle maglie della burocrazia. Inoltre c'è la questione dei visti. Il presidente Putin vuole puntare all'abolizione. Dovremo porci questo traguardo in un termine ragionevole di tempo, tre o cinque anni, e lavorare a rimuovere gli ostacoli su questo cammino».

La situazione non sta migliorando?
«Si sta creando una situazione sempre più assurda. Da un lato diciamo di intensificare i contatti, anche tra la gente. Dall'altro questa barriera dei visti diventa sempre più alta. Prima noi russi potevamo andare liberamente in Europa orientale, nei Paesi baltici e nei Balcani. Ora la barriera dei visti si avvicina sempre di più ai nostri confini».

L'ambasciatore russo presso la Santa Sede ha detto che il presidente Putin considera una visita del Papa in Russia «non solo possibile ma perfino necessaria». Ci sono progressi in questa prospettiva?
«Il governo russo mantiene relazioni normali e costruttive col Vaticano. Abbiamo molto in comune dal punto di vista di due Stati che si adoperano per la pace. Ci sono state invece e ci sono divergenze tra il Vaticano e il Patriarcato ortodosso ma credo che con la buona volontà da ambedue le parti si possano superare. Stiamo discutendo con il nuovo Nunzio quali ulteriori passi possono essere intrapresi per mantenere il dialogo costruttivo».

C'è un miglioramento di clima?
«Sì, c'è e nei prossimi mesi penso che questo miglioramento potrà già trasformarsi in fatti reali, concreti».

Può accadere entro il 2003?
«Io credo di sì».

Fabrizio Dragosei
Franco Venturini
20 febbraio 2003 DA CORRIERE.IT