La Cgil ha avuto la risposta che si aspettava, più di quanto si aspettava, dalla Valle d’Aosta alla Calabria allo sciopero contro il declino industriale, per lo sviluppo e per i diritti hanno aderito in tanti (la percentuale più bassa è del 50%, e non sono mancati gli en-plein) e oltre centomila sono scesi in piazza «un risultato che dà ragione a chi, come la Cgil, in questi mesi ha avuto il coraggio di dire la verità», ha dichiarato Guglielmo Epifani in serata. Ora il governo e le associazioni imprenditoriali «raccolgano la sfida a fare i conti con la realtà»; il sindacato confederale abbia «uno scatto d’orgoglio» da subito, da martedì quando Cgil, Cisl e Uil incontreranno Confindustria per un confronto sulla crisi che probabilmente non ci sarebbe stato se la sfida lanciata da Corso d’Italia non avesse alzato il sipario su una realtà rimossa se non addirittura negata.
La giornata del leader della Cgil è cominciata a Pescara tra gli striscioni e le bandiere di una regione simbolo di quel che sta accadendo. Dismissioni, cassa integrazione a valanga, smantellamento del polo aquilano delle telecomunicazioni, ritardi negli interventi, mancanza di un’idea su come intervenire. I simboli della crisi abruzzese si chiamano Flextronics, Larec Tecno, si chiamano Merker, 480 addetti senza stipendio da quattro mesi e senza cassa integrazione perché l’azienda dall’aprile scorso non ha pagato i contributi. Chiedono lavoro e trasparenza, ieri lo hanno scritto con lo spray su uno striscione. Dietro di loro altre bandiere, altra crisi quella della Trioneuro di Sant’Atto (Teramo), produzione di branzini per motori: erano in 150 solo due anni fa oggi sono 45 la metà è in cassa integrazione, due giorni fa gli è stato comunicato che resteranno fermi per altre 20 settimane.
L’elenco potrebbe continuare, erano in 20 mila ieri a sfilare per Corso Marconi e poi ad ascoltare Epifani in piazza Salotto: poche concessioni al «colore» se si esclude il rosso delle bandiere della confederazione, quelle delle categorie, dei Ds, di Rifondazione dei Comunisti italiani, quelle bianche della lista Di Pietro e i moltissimi vessilli iridati della pace che si sono imposti da una parte all’altra del corteo chiuso dalla musica e dagli slogan dei Disobbedienti e dei giovani del Social forum abruzzese rumorosissimi su un camion da cui spiccava la scritta «Articolo 18 per tutti». Senza sviluppo i diritti sono più fragili, senza la pace l’uno e gli altri sono in pericolo.
«Avrei voluto, e lo dico con tutta la forza - ha affermato il leader della Cgil parlando dal palco - che questo sciopero fosse stato fatto insieme. Perché occupazione e sviluppo non possono dividere i lavoratori. Chiedo e spero che almeno le nostre ragioni siano condivise e che le richieste al governo ci vedano insieme».
Da Pescara un appello all’unità a «togliere da parte le polemiche sullo sciopero» ormai cosa fatta, mentre da domani l’obiettivo per Epifani è «costringere governo e Confindustria a cambiare idea di sviluppo», «da oggi parte una fase nella quale la Cgil, ma io spero tutto il sindacato possa con forza far valere un pounto di vista autonomo di proposte e di iniziative per sostenere un ndiverso sviluppo del Paese». Uno «scatto d’orgoglio» dunque: «Posso sperare? Se non sarà così vuol dire che a dividerci non è solo lo sciopero».
A scorrere le reazioni alla giornata di ieri la «speranza» di Epifani sembra avere scarse probabilità di realizzazione, non solo - com’è sempre stato - le associazioni imprenditoriali hanno armato una guerra di cifre sulla riuscita della protesta, ma anche molti esponenti di Cisl e Uil da una parte all’altra del Paese hanno dato il proprio contributo alla «conta», minimizzando il peso della mobilitazione.
Federmeccanica, sull’astensione di otto ore delle tute blu parla di un’adesione inferiore al 15%; Confindustria con Stefano Parisi dice di adesioni «bassissime, non oltre il 30%» «lo sciopero è inutile», quindi, «bisogna affrontare i problemi di fondo che riguardano la competitività del sistema paese: in parte è stato affrontato con le riforme del mercato del lavoro e col patto per l'Italia» cioè trasferendo i costi della crisi sui diritti dei lavoratori «in parte deve essere ancora affrontato con un'iniziativa importante di nuovi investimenti sulla ricerca, sulla formazione», ed esattamente quello per cui la Cgil ha scioperato.
Dalla Cisl, il leader Savino Pezzotta premette che on intende farsi trascinare nelle polemiche, poi afferma che la Cisl «ha scelto di adottare un metodo sindacale»: «si fa una piattaforma e poi ci si confronta con le controparti. Se da questo confronto non escono dei risultati, allora vedremo come muoverci di conseguenza». Finora comunque di risultati i lavoratori non ne hanno visti molti.
Per la Uil parla il numero due, Adriano Musi, «Le questioni si affrontano e si risolvono insiema, non si sciopera da soli. Ci auguriamo che questa sia l’ultima volta». Un primo banco di prova, per le tre confederazioni sarà martedì al cospetto di Confindustria.