E' allarme: i fondamentalisti dilagano sia in Europa che nel continente nero
ROMA - Mentre tutti gli occhi sono puntati sull'Iraq e i venti di guerra soffiano sempre più impetuosi nel Golfo Persico, pochi sembrano interrogarsi sulle conseguenze che la guerra contro il regime di Saddam Hussein potrebbe avere anche nel sud del mondo.
Se già l’operazione anti talebana e la caccia ad Osama bin Laden ha suscitato reazioni in molti Paesi dell’Asia, il conflitto tra gli Stati Uniti ed il “Rais” di Baghdad rischia di rinvigorire ulteriormente l’Islam radicale anche in Africa, continente che sta diventando, silenziosamente, l’ultima frontiera dell’espansione islamica di stampo fondamentalista. Dopo l’Europa l’invasione colpirebbe anche il continente nero. Il risultato è che l’Islam africano, tendenzialmente tollerante, sta vivendo una mutazione genetica, provocata dalle pressioni di gruppi e correnti ostili nei confronti dei non musulmani. E una nuova generazione di predicatori colti e arabizzati, fa concorrenza ai marabutti dei villaggi, apre scuole coraniche e impone il velo alle donne. Non solo in Nigeria, ma anche in Mali, Ciad e perfino in Sudafrica.
L’islam tradizionale africano cerca di resistere, ma la lotta è spesso impari. «Sino a non molto tempo fa - spiega il padre bianco Joseph Stamer, esperto d’Islam subsahariano, già docente del Pisai di Roma, nel dossier pubblicato nel numero di febbraio dalla rivista Mondo e Missione - il marabutto era il perno della vita musulmana. Tutto veniva ricondotto alla sua persona. Nulla veniva fatto senza la sua autorizzazione. Ora sono la moschea e i suoi annessi a divenire il centro della vita comunitaria musulmana. Non deve stupire allora che la moltiplicazione delle moschee sia uno dei segni di questa presa di coscienza musulmana».
L'Islam politico sta penetrando in Africa subsahariana anche attraverso altri canali: la cooperazione bilaterale, le borse di studio, il pellegrinaggio alla Mecca, il commercio e l’immigrazione nei Paesi del Golfo, dove i musulmani africani “purificano” il loro Islam e si preparano a svolgere un ruolo politico ed economico di primo piano nei loro Paesi di origine.
Gli esiti sono contrastanti, se non addirittura allarmanti. Sono innanzitutto gli stessi musulmani a sentirsi a disagio di fronte all’avanzata di una forma d’Islam che riduce progressivamente lo spazio di tolleranza e di accettazione reciproca, coltivato per secoli. Questa è la posta in gioco di un più ampio dibattito sulla strumentalizzazione politica dell’Islam e sul terrorismo internazionale, che in Africa si lega spesso all’avanzata dell’integralismo musulmano ed alla rivendicazione di una “vera” democrazia, che per alcuni dovrebbe coincidere con la “soluzione islamica”.