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    Hanno assassinato Calipari
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    Predefinito Terrorismo di Stato Spagnolo E Messicano

    Tradotto dall’edizione on line del quotidiano messicano LA JORNADA


    DICEMBRE: DISTRITO FEDERAL, LA DODICESIMA TAPPA
    (Seconda Immagine: México DF, il Dicembre di Acteal o il perché del Paese Basco)


    Pietra e nuvola continuano a percorrere la città e il cantiere che, si intravede, si avviano ad erigere un’altra città per i potenti, una città che sottometta le altre.

    Per assicurare ciò, dal nord caotico e brutale, López Obrador ha importato il cosiddetto Piano Tolleranza Zero (e con esso arrivano il Robo Cop Giuliani e la sua guardia pretoriana). Il piano si basa su un articolo dei criminologi G. I. Kelling e J. Q. Wilson, del 1982: “Vetri rotti”. Secondo questo articolo, esistono situazioni che favoriscono la comparsa e lo sviluppo del crimine: “C’è un terreno abbandonato, crescono le erbacce, qualcuno rompe i vetri, gli adulti non rimproverano più i bambini che fanno rumore ed essi, incoraggiati nelle loro avventure, diventano ribelli, le famiglie se ne vanno, la spazzatura si accumula, la gente inizia a bere davanti ai negozi, un ubriaco cade sul marciapiede e può restare lì finché si riprende, i mendicanti si rivolgono ai passanti molestandoli e, se ci sono mendicanti, domani arriveranno i ladri e dopodomani gli assassini”.

    Avete seguito la logica? Con questo impeccabile ragionamento, la polizia non persegue i grandi criminali, ma i bambini ed i giovani che potrebbero trasformarsi in mendicanti e ubriachi, che potrebbero, a loro volta, trasformarsi in ladri ed assassini. Se trovate qualche somiglianza con la dottrina della guerra preventiva che incoraggia la guerra di Bush - Blair – Aznar contro l’Iraq, è perché siete prevenuti, giacché questa è la città della speranza. Benché, chiaro, con questo piano si vedranno ridotte le garanzie individuali, avanzerà il pensiero conservatore e tutta la solidarietà fra vicini che non passerà attraverso il Pubblico Ministero sarà sospettabile di essere delinquenza organizzata.

    In fin dei conti, si tratta di ci costruire un anello di sicurezza attorno alla città del Potere, un anello preventivo che dovrà, per assolvere il suo compito, escludere o recludere i poveri di questa città, che sono coloro fanno sì che l’urbe viva e cammini.

    Insieme a ciò, López Obrador, lavora ad un’altra costruzione: quella di un accordo con i grandi capitali dell’industria e del commercio. Per ottenere il loro beneplacito, il capo del Governo offre una città sotto controllo sociale e poliziesco, oltre all’infrastruttura necessaria alla nuova metropoli, dove i ricchi non saranno i primi, ma gli unici.

    Questi sono i passi: prima si segnala che è necessaria la costruzione di abitazioni nelle zone periferiche del DF; poi si dice che è indispensabile ripopolare le zone del centro; immediatamente si crea il patronato Centro Storico, guidato da Carlos Slim Helú; poi si promuovono tre megaprogetti: il corridoio finanziario (la calle de Reforma), il progetto Alameda ed il progetto Centro Storico; infine, si annuncia che Carlos Slim sta comprando terreni e vecchi edifici in tutta questa zona. Così, la costruzione di case popolari si arresterà, con il pretesto che non è possibile continuare a crescere verso la periferia. Contemporaneamente, tre zone saranno modelli di ciò che sarà la Città Globale. Il livello di reddito, educazione, servizi medici, servizi per la comunicazione e, certamente, di pubblica sicurezza, sarà ben diverso rispetto alle altre zone.

    Carlos Slim Helú, l’uomo più ricco del Messico e dell’America Latina, non è dietro a tutto questo, ma alla sua guida. In una specie di biografia non autorizzata (Carlos Slim, Ritratto inedito. Ed. Océano), il giornalista José Martínez Mendoza (che ha già scritto il ritratto di Carlos Hank González) offre un profilo del Signor Slim, che si vanta di essere un self made man, un uomo che ha coltivato accuratamente l’immagine di chi ha cominciato dal basso; ma probabilmente si riferisce al piano basso della sua villa, perché Slim entra nella lista dei grandi milionari dopo aver comprato Teléfonos de México (Telmex) per 400 milioni di dollari, mentre il suo valore era di 12000 milioni di dollari. Chi era il venditore? Carlos Salinas de Gortari. Dal 1984, quando si è associato con altri imprenditori formando la Libre Empresa SA (LESA) che avrebbe acquistato le aziende parastatali, Slim ha lavorato in amicizia con i politici. E, in seguito, non ha limitato il suo circolo ai priisti, ma lo ha allargato, includendovi panisti e perredisti, intellettuali critici, artisti e direttori di mezzi di comunicazione.

    Uguali in intelligenza e pragmatismo, Slim e López Obrador sono andati presto d’accordo, in un modo che non è usuale fra politici ed imprenditori; ma entrambi sapevano che la loro non è amicizia. Abitano entrambi a Cuicuilco, hanno interessi comuni, si scambiano favori reciprocamente e , come commercianti, fingono cordialità mentre revisionano gelosamente i loro conti e, al termine di ogni riunione, controllano nelle loro tasche, per vedere se non manca nulla.

    Non sono pochi gli intellettuali ed i politici che si vantano di godere dell’amicizia di Carlos Slim Helú; alcuni di essi si vanagloriano di consigliare il signore più potente dell’America Latina. Ma il signor Slim non ha consiglieri né amici, ha impiegati; solo che alcuni di loro non lo sanno.

    Uno di essi è il signor Felipe González Márquez, ex presidente del governo spagnolo ed ora compagno fidato dei grandi capitali europei. Il signor González compie frequenti viaggi in Messico per condividere con il suo amico Slim il piacere della buona tavola, della coltivazione dei bonsai, della fotografia e del biliardo. Ma è stato anni fa, nel 1995, e grazie a Slim Helú, che Felipe González, a quel tempo presidente del governo spagnolo, fece amicizia con un’altra persona: Ernesto Zedillo Ponce de León.

    Per arrivare a quel periodo, andiamo prima all’immediato passato; nel settembre 2002, poche ore prima che la sentenza della Suprema Corte di Giustizia della Nazione sulla controriforma indigena fosse reso pubblico, l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) seppe quale sarebbe stata la decisione ed il suo significato: i tre poteri dell’Unione, si erano uniti per decretare la cancellazione definitiva della via del dialogo e della negoziazione per la soluzione della sollevazione zapatista.

    Iniziammo a lavorare secondo una delle opzioni che avevamo contemplato dalla fine del 2001: tentare a livello internazionale ciò che era fallito a livello nazionale. Così, l’EZLN avrebbe inviato una delegazione in Europa, con lo scopo di fare appello agli organismi internazionali e, con l’appoggio di coloro che in Messico e nel mondo simpatizzano con la causa indigena, cercare di ottenere il riconoscimento dei diritti e della cultura indigena. Si sarebbe trattato di una marcia simile a quella del 2001, ma con una fondamentale differenza: se nella mobilitazione del 2001 l’EZLN si è limitato esclusivamente al tema indigeno, nella marcia internazionale questo tema sarebbe stato legato alle lotte che esistono nel mondo, in particolare a quelle che hanno a che vedere con il riconoscimento delle differenze, le resistenze e ribellioni e, in modo molto speciale, alle opposizioni ai preparativi di guerra che già erano iniziati contro l’Iraq.

    Pensavamo che l’Europa sarebbe stata un terreno dove il bellicismo internazionale avrebbe potuto essere contrastato togliendolo dalla sua logica e che ciò avrebbe potuto diffondersi nel mondo. Non che ci sentissimo capaci di provocare questo movimento internazionale, ma credevamo di avere la possibilità di contribuire, insieme ad altre forze che già si muovevano nell’Europa sociale, a far sì che qualcosa si mettesse in moto. Pensavamo che sarebbe stata la possibilità di partecipare più direttamente alla costruzione di un mondo dove ci sia spazio per tutti i mondi. Per riassumere, non saremmo andati in Europa da “ben educati”, al contrario, la nostra parola sarebbe stata di ribellione. Il problema, chiaro, era come e quando andare; ci stavamo pensando quando, il 2 novembre 2002, Giorno dei Morti, una persona contattò la Comandancia General tramite un messaggero.

    Per rispetto a quanto concordato, non possiamo dire molto di questa persona, solo che era molto vicina ai circoli del potere politico ed economico fra il 1993 e il 1996. dopo aver posto le condizioni riguardanti la discrezione ed il segreto, il messaggio della persona diceva, parola più, parola meno, che aveva informazioni che avrebbero potuto essere utili all’EZLN; ora cito testualmente: “Se vi interessa, ditemelo. Si tratta di Acteal”. Non era la prima volta che gente dissidente dal governo ci faceva giungere informazioni, a volte vere, a volte false, sicché gli mandammo a dire che poteva trasmetterci ciò che sapeva. Questo è quanto ci rivelò:

    nei mesi successivi al gennaio 1995, fallito il tradimento di Zedillo verso l’EZLN insieme all’offensiva militare che l’accompagnava e terminato il teatrino dell’arresto di Raúl Salinas de Gortari, i generali Renán Castillo (Capo militare e governatore de facto del Chiapas) e Cervantes Aguirre (segretario alla difesa nazionale) insistevano sulla necessità di attivare gruppi paramilitari per contrapporli agli zapatisti (Renán Castillo aveva studiato presso i nordamericani e Cervantes Aguirre era in caldissima luna di miele con il suo omologo statunitense, sicché l’opzione che allora chiamavano Colombia aveva l’appoggio del Dipartimento di Stato nordamericano).

    Comunque, Zedillo, non si decideva; nello stesso 1995, compare un personaggio del governo spagnolo; “intimo del presidente”, dice chi ci ha passato l’informazione, “ha assistito a riunioni che non erano strettamente sociali, ma nelle quali si trattavano questioni di Stato”.

    In una di queste riunioni, Zedillo parlò degli zapatisti e di quale problema rappresentasse farla finita con loro, dato che avevano l'opinione pubblica dalla loro parte. Il personaggio del governo spagnolo disse allora che ciò che bisognava fare era distruggere la legittimità degli zapatisti e poi colpirli. Zedillo ricordò al personaggio la storia del 9 febbraio e le sue conseguenze; lo spagnolo chiarì che non si riferiva a questo, ma al fatto che, se gli zapatisti lottavano per gli indigeni, allora bisognava fare in modo che lottassero contro gli indigeni. In Spagna, disse quello di questo paese, abbiamo creato dei gruppi per contrastare l'indipendentismo basco; Zedillo disse che sapeva dei GAL (Gruppi Antiterroristi di Liberazione) e che era in corso un'indagine per appurare responsabilità governative nei sequestri ed assassinii di militanti dell'ETA. Lo spagnolo non si rattristò e disse che ammazzare e sequestrare assassini non è un crimine, ma un favore che si fa alla società; aggiunse che i GAL facevano anche altre cose, come realizzare attentati che erano poi attribuiti a ETA. Zedillo chiese se il re sapesse di ciò e lo spagnolo rispose: "Il re sa ciò che gli conviene e finge di non sapere ciò che non gli conviene" e aggiunse che non succede niente, qualche giorno di scandali sulla stampa e basta, che nessuno va ad approfondire, quando i morti sono terroristi, che ci sono decisioni gravi che devono essere prese per ragioni di Stato.

    Zedillo dice che una cosa del genere qui non è utile, perché gli zapatisti non sono terroristi; "fatene dei terroristi", dice lo spagnolo e prosegue: "Ciò che bisogna fare, è creare un gruppo armato di indigeni, fare in modo che si metta contro gli zapatisti, che si combattano, che ci siano dei morti, arriva l'esercito a mettere pace fra tutti ed è fatta". Lo spagnolo continua: "noi potremmo darvi una mano con qualche consiglio, insomma, un po' di esperienza. Chiaro che aspettiamo dal suo governo un po' di collaborazione, in cambio, come l'estradizione di militanti di ETA che vivono nel suo paese". Zedillo dice di non essere sicuro che siano di ETA; "Questo non è un problema -dice lo spagnolo- ci incaricheremo noi di fare in modo che lo siano". Lo spagnolo aggiunge che il suo governo potrebbe anche appoggiare il governo messicano nelle negoziazioni commerciali con l'Europa e termina le sue argomentazioni con una frase: "Insomma, Ernesto, se c'è qualcosa in cui noi spagnoli siamo esperti, è nello sterminare indigeni".

    Ecco l'informazione che ci giunse; il resto è presto detto: Zedillo ordina l'attivazione dei gruppi paramilitari, il governo spagnolo fornisce consulenza ed il governo messicano incrementa le estradizioni di presunti membri di ETA.


    Il 22 dicembre 1997, un gruppo paramilitare è in marcia per affrontare gli zapatisti; questi ripiegano per evitare uno scontro fra indigeni e avvisano i non zapatisti della minaccia. Ad Acteal rimangono Las Abejas, disarmati e fiduciosi che, essendo neutrali, non sarà fatto loro nulla; la carneficina inizia e termina, mentre polizia e militari attendono pazientemente di entrare e "mettere pace" nello "scontro fra indigeni". La verità si scopre quasi immediatamente, grazie ai mezzi di comunicazione; la notizia fa il giro del mondo e commuove qualsiasi essere umano per bene. A Los Pinos, Zedillo ripete solo: "Perché donne e bambini?"

    Il sangue di Acteal era ancora fresco quando, intervistato dal giornalista messicano Luis Hernández Navarro (La Jornada, 10 marzo 1998), Felipe Gonzáles si esprimeva così sulla mattanza: "Questo crea sempre una tremenda commozione. Viviamo in questa globalizzazione mediatica che genera impatti. Il Messico ha la grandezza per la quale una cosa così è una notizia esplosiva e che preoccupa. Situazioni molto più gravi ad altre latitudini non meritano i titoli di un giornale o non riescono a superare le barriere della comunicazione". Sicché è tutto un problema di esagerazione dei media…

    Era Felipe González Márquez la persona che ha parlato con Zedillo dei GAL, di paramilitari e dell'estradizione di baschi? Era qualcuno del suo governo? Alcuni ricordi estratti da calendari precedenti:

    1995: in Spagna, il Tribunale per i conflitti consente che il governo di Felipe González non consegni la documentazione relativa ai Gruppi Antiterroristi di Liberazione; fondati il 6 luglio 1983, i GAL hanno responsabilità in almeno 40 attentati, con 28 morti, fra il 1983 ed il 1987. Nell'ottobre 1995, Ernesto Zedillo si incontra in privato con Felipe González a Bariloche, in Argentina, in occasione del quinto Vertice Latinoamericano.

    1996, gennaio: gli accusati per la guerra sporca contro ETA lamentano che tutto il problema dei GAL è una cospirazione per "rovesciare" l'allora presidente Felipe González. Il PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) mantiene José Barrionuevo, ex ministro degli interni processato, insieme all'ex segretario per la sicurezza dello Stato, Rafael Vera, per la sua attività terrorista, nella lista dei candidati alla camera dei deputati. Ernesto Zedillo Ponce de León si reca in Spagna per la sua prima visita di Stato in questo paese.

    Febbraio: è arrestato Jaime Iribarren, parlamentare di Herri Batasuna, accusato di aver incendiato una scavatrice; sempre in quei giorni, è arrestato Jon Idígoras, leader di Herri Batasuna, su ordine del giudice Baltasar Garzón, che lo voleva legare all'organizzazione Euskadi Ta Askatasuna (ETA); fra i precedenti "criminali" di Idígoras c'è l'aver intonato una canzone nazionalista durante una visita del re Juan Carlos a Guernica, nel 1981. Circola un video nel quale membri di ETA avanzano una proposta di negoziazione con lo Stato spagnolo; Felipe González è sprezzante verso i sondaggi che danno il Partido Popular (PP) in vantaggio sul PSOE. A marzo, il PSOE di González perde le elezioni , vinte dal Partido Popular di Aznar; il cantante ispanico Raphael manifesta le sue speranze riposte in Aznar: "Sono sicuro che saprà rendere giustizia alla memoria di Franco".

    Luglio 1996: la giustizia spagnola condanna a 122 anni di carcere José Koldo Martín Carmona, deportato dal Messico nel novembre 1995; insieme a Lourdes Churruca, Koldo era stato accusato di tre attentati che non avevano provocato alcuna vittima. Nello stesso periodo, tre giovani baschi erano giudicati per aver incendiato una camionetta della polizia; le pene richieste oscillavano fra i 111 ed i 592 anni di prigione. In quest'anno, esce il libro Roldán - Paeza, la connessione svizzera, del giornalista Juan Gasparini; il libro svela alcuni aspetti della corruzione all'interno del governo di Felipe González, in particolare riguardo Luis Roldán, ex direttore della Guardia Civil. Fra le imprese corruttrici c'è la Siemens; uno dei suoi avvocati, Ulrich Kohlí, oltre a vendere mine antiuomo a Saddam Hussein, riciclò denaro per conto della famiglia Salinas de Gortari. González difende il suo amico Carlos Salinas de Gortari, elogiando le sue politiche.

    1998, luglio: José Barrionuevo e Rafael Vera, legati ai GAL, sono condannati a 10 anni di prigione; durante il processo, Felipe González comparse come testimone e fece allusione, in ripetute occasioni, alla ragion di Stato come giustificazione per determinate decisioni gravi in situazioni critiche.

    Nel marzo 1999, una fotografia giornalistica (La Jornada, Pedro Valtierra) presenta Zedillo mentre saluta Felipe González sotto lo sguardo compiacente dell'ex primo ministro israeliano Shimon Peres.

    Nell'ottobre 2000, Zedillo mangia in compagnia di Felipe González in un lussuoso ristorante della colonia Polanco, a Città del Messico.

    Il 25 ottobre 2001, il giornalista Raúl Trejo Delarbre, su "Sociedad y Poder", segnala che PRISA 8spagnola) e Televisiva (messicana) hanno formalizzato l'ingresso di denaro spagnolo nella radio messicana; erano presenti il presidente Fox e i presidenti di Televisiva e PRISA, oltre a Carlos Slim Helú , Felipe González Márquez e Lino Korrodi. È stato così violato l'articolo 31, inciso VI, della legge federale; era presente anche Juan Luis Cebrián, autore del libro su Felipe González, Il futuro non è più quello che era e consigliere delegato di PRISA.

    Nel febbraio 2000, Zedillo compie la sua seconda visita ufficiale in Spagna; durante la cena con Aznar, Zedillo ricorda il suo incontro con l'allora presidente del governo spagnolo, alla fina del 1994, e ringrazia per l'appoggio della Spagna nei negoziati per l'Accordo di Libero Commercio fra il Messico e l'Unione Europea; il re ed Aznar ringraziano Zedillo per la "collaborazione" del Messico nell'estradizione di presunti militanti di ETA.

    Durante i sei anni del governo Zedillo, dal 1994 al 2000, diversi cittadini baschi sono stati deportati in Spagna, accusati di appartenere a ETA e vi sono testimonianze di Amnesty International secondo le quali sono stati torturati.

    Nel dicembre 2002, il giudice Baltasar Garzón scende in campo in difesa del re, di Felipe González e di José María Aznar, che definisce quasi come "padri della democrazia".

    Nel febbraio 2003, Aznar si reca in Messico per incontrare Vincente Fox; i media sostengono che il viaggio è dovuto al fatto che lo spagnolo cercherà di convincere il messicano ad appoggiare la guerra in Iraq. La verità è un’altra: Aznar viene in Messico per convincere Fox a non permettere che gli zapatisti si rechino in Spagna.

    (Informazioni tratte dal quotidiano messicano La Jornada, anni 1996 – 2003, giornalisti Pedro Miguel, Luis Javier Garrido, Marcos Roitman, Kira Nuñez, Jaime Avilés, Armando G. Tejeda, Rosa Elvira Vargas e Luis Hernández Navarro. Agenzie di informazione: Afp, Ansa, Efe, Reuters, Ips, Ap.)

    Una volta trovato riscontro alle informazioni, l’EZLN decide che il progetto di andare in Europa deve iniziare in territorio spagnolo e toccare il tema del Paese Basco; pensava così di porre in evidenza le ovvie domande che derivano da ciò e le responsabilità del governo spagnolo.

    Trova così risposta la domanda che molti si facevano: “Perché l’EZLN si occupa del tema del Paese Basco?”. È stato il governo spagnolo ad infilare il tema basco nella lotta indigena in Messico, non noi.

    Noi zapatisti, abbiamo allora considerato nostro dovere andare in Spagna per dimostrare al re, a Felipe González, a José María Aznar ed a Baltasar Garzón che mentono quando dicono che “se c’è una cosa nella quale gli spagnoli sono esperti, è nello sterminare indigeni”, posto che continuiamo ad essere vivi, a resistere e ad essere ribelli.


    Noi non potevamo provocare una mattanza in Spagna, ma un dibattito sì; così abbiamo pensato all’iniziativa Un’opportunità alla parola. C’era, inoltre, il problema che il tema basco è tabù fra le forze progressiste e poteva essere toccato solo per condannare il terrorismo di ETA, dimenticando scrupolosamente due cose: una, il terrorismo di Stato e l’altre, che ETA non è l’unica forza che lotta per la sovranità di Euskal Herria.

    Non ignoravamo, allora, che toccare il tema basco poteva causare fastidi, ma consideravamo nostro dovere farlo. Inoltre, noi zapatisti avevamo altre domande che attendevano risposte. Il 17 novembre 2002, nella presentazione della rivista messicana Rebeldìa, avvertimmo del dovere ed insinuammo verso dove si rivolgeva la nostra parola. Giorni dopo, lanciammo una provocazione che aveva come obiettivo principale Felipe González. Abbiamo fallito nel provocare González, ma al suo posto cade, ferito nel suo ego, il giudice Baltasar Garzón; la lettera all’Aguascalientes di Madrid segnalava già l’intenzione zapatista di andare in Europa e toccava il tema basco. Poi è successo quel che è successo.

    L’EZLN non si è mai proposto di mediare nel conflitto basco, né tanto meno di dire ai baschi cosa dovrebbero fare o smettere di fare; abbiamo solo chiesto un’opportunità per la parola. La nostra proposta può essere stata inopportuna o ingenua o tutte e due le cose, ma mai è stata disonesta, né ha voluto essere irrispettosa. Non è il nostro modo di fare.

    Questa è stata l’intenzione zapatista, senza doppiezze né accordi sottobanco. Pensavamo di rendere pubblica l’informazione che avevamo raccolto quando fossimo andati avanti con le richieste penali davanti agli organismi internazionali.

    Per questo, davanti alle critiche mosseci da ogni parte e che chiedevano come mai ci occupassimo di cose che non conoscevamo, rispondemmo che della questione basca sapevamo più di quanto molti pensassero, cioè, la connessione fra il terrorismo di Stato spagnolo e quello messicano, dunque il terrorismo internazionale.


    Se ora riveliamo quanto sappiamo, è perché abbiamo deciso di cancellare il nostro viaggio nella penisola iberica.

    La nostra iniziativa era pulita e onesta (come avallo morale abbiamo la nostra storia), ma presto si è vista circondata dalla condanna e dall’incomprensione di coloro che si dicono progressisti, i quali, sotto la pressione dei media, non hanno voluto attendere di vedere l’epilogo. Per essi abbiamo solo un sentimento di rimprovero e null’altro, perché il rancore non si alimenta verso coloro che possono essere stati meschini ma sono stati generosi in altre occasioni.

    La destra ha fatto il suo mestiere e ha fatto bene alla proposta poiché, a forza di demonizzarla e di demonizzarci, ha contribuito a farla conoscere e ha provocato un dibattito senza precedenti.

    Dalla parte della sinistra, qualcuno si è azzardato, in maniera infame e meschina, a suggerire che la demarcazione che l’EZLN ha tracciato fra sé e ETA era una condizione del governo spagnolo per permettere il viaggio della delegazione zapatista in terra iberica. La demarcazione fra noi ed il terrorismo di sinistra non è nuova, risale alla fondazione dell’EZLN, quasi 20 anni fa, e ancora da prima.

    Se dobbiamo astenerci dal partecipare all’incontro Un’opportunità alla parola, non è perché le critiche, i rimproveri o le accuse meschine ci levino il sonno; ciò è dovuto al fatto che non possiamo, per la nostra etica, partecipare ad un incontro che non godrà dell’avallo di TUTTE le forze nazionaliste del Paese Basco e che corre il rischio di trasformarsi in un tribunale che giudica gli assenti, invece di essere uno spazio di discussione e riflessione sui percorsi del Paese Basco.

    La responsabilità di non essere riusciti a riunire le forze basche è unicamente ed esclusivamente dell’EZLN, in particolare di colui che ne è il portavoce: Marcos (senza il grado militare, per coloro che non amano queste cose). Le nostre parole (o il nostro modo di fare, come diciamo noi), invece di riunire, hanno ferito molte persone oneste e nobili nel Paese Basco; benché non sia mai stata nostra intenzione, ciò è accaduto. Ne siamo sinceramente dispiaciuti.

    Vorremmo chiedere un sincero perdono a tutte le persone del Paese Basco che abbiamo offeso; forse, un giorno o l’altro, potranno onorarci con il loro perdono, perché il perdono tra fratelli non svilisce.

    Rispetto alla sfida a dibattere che ci ha lanciato il giudice Garzón, abbiamo atteso abbastanza; il giudice Garzón, pur essendo lo sfidante, ha preferito restare in silenzio. Ha così dimostrato di essere buono ad interrogare prigionieri torturati, a farsi fotografare con famigliari delle vittime del terrorismo e a fare campagna di autopromozione per il Premio Nobel per la Pace, ma che non osa dibattere con qualcuno che sia mediamente intelligente; e non perché uno sia più abile con la parola, ma perché Garzón accampa leggi dove mancano le ragioni. In precedenza abbiamo accusato Garzón di essere un pagliaccio grottesco; non era vero. È solo un chiacchierone e un codardo.

    Vogliamo ringraziare specialmente le organizzazioni della Sinistra indipendentista basca, Herri Batasuna e Askapena, che sono state le uniche a rispondere positivamente alla nostra iniziativa (o, per lo meno, le uniche a farcelo sapere), come pure le persone che, a titolo individuale o collettivamente, nel Paese Basco, nello Stato spagnolo, in Italia e in Messico, hanno accolto con interesse ed onestà la nostra proposta.

    Magari, un giorno, le nostre parole impareranno a riflettere l’affetto, il rispetto e l’ammirazione che proviamo per il popolo basco e per la sua lotta politica e culturale.

    Magari, un giorno, si potrà realizzare questo incontro e, dando un’opportunità alla parola, si troveranno i percorsi verso il domani di indipendenza, democrazia, libertà e giustizia che il popolo basco e tutti i popoli del mondo si meritano.


    Dalle montagne del Sudest messicano.

    Subcomandante insurgente Marcos

    Messico, 24 febbraio 2003-03-04

    Giorno della Bandiera Messicana.

    http://www.jornada.unam.mx/008n1pol....gen=index.html

  2. #2
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    Il governo neo-falangista di Madrid e quello degli Stati Uniti hanno dichiarato che arrestare il capo degli industriali golpisti E' UN ATTO DI PROVOCAZIONE che allontana la riconciliazione e la pace sociale-

    I governi della Spagna e quello USA, in diverse dichiarazioni rilasciate dopo che è stato arrestato Carlos Fernandez -il capo degli industriali golpisti- hanno criticato l'operato dei giudici del Venezuela.

    Secondo Madrid e Washington, il fatto che un imputato responsabile di una serrata padronale durata 2 mesi, (abbinata a sabotaggi nell'industria petrolifera, che hanno lasciato 9 MILIARDI di DOLLARI di DANNI) ora sia chiamato a rispondere delle proprie azioni irresponsabili, costituirebbe un passo sbagliato che metterebbe in pericolo la riconciliazione nazionale e la pace sociale.

    In poche parole, Aznar e Bush -in una patetica interferenza negli affari interni di un altro paese- ritengono che "convivenza sociale" ed IMPUNITA' siano la stessa cosa.E' inammissibile che costoro dicano pubblicamente che i giudici del Venezuela non hanno il diritto di indagare per reati che hanno a che vedere con attentati alla sicurezza delle istituzioni, se gli imputati sono INDUSTRIALI o loro COMPARI.

    Va ricordato che gli stessi Aznar e Bush furono I PRIMI a riconoscere la legittimità del fallito colpo di Stato dell'aprile scorso. E non hanno mai criticato quelle TV che quotidianamente arrivano persino ad incitare pubblicamente all'assassinio del Presidente Chavez. Il fatto è che i padroni di queste TV sono anch'essi loro COMPARI.

    Come si permette Aznar di criticare Chavez in nome della libertà di espressione, quando ha appena fatto CHIUDERE alcuni giornali baschi? Che difenda gli interessi della Banca spagnola -fortemente presenti in Venezuela- è una cosa, che si permetta di INTERFERIRE è tutt'altra cosa, e a un neo-falangista della sua stirpe non glielo permetteremo ami.

    ---

    da un post di Indymedia.org

 

 

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