ESTERI
Ma per il no turco attacco spostato a fine mese
Mosca agita il veto, Bush vuole saltare l’Onu

La Casa Bianca pensa a lanciare un ultimatum all’Iraq: «Settantadue ore di tempo, poi l’attacco»

WASHINGTON (USA)- Per George Bush si avvicina l'ora della verità. Dopodomani, il capo ispettore Hans Blix e il direttore dell'Aiea (Agenzia internazionale dell'energia atomica) Mohammed ElBaradei presenteranno un nuovo rapporto sul disarmo iracheno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Sarà una riunione cruciale, a livello di ministri degli Esteri, che deciderà della pace o della guerra. Stati Uniti e Regno Unito sembrano essere in minoranza, e nei giorni successivi potrebbero ritirare la risoluzione che autorizza l'attacco a Bagdad: se non lo facessero, rischierebbero il veto della Russia, che ieri ha minacciato di usarlo (la Francia si asterrebbe).
In un caso del genere, Londra e Washington agirebbero da sole, e già si parla di un loro ultimatum unilaterale di 72 ore a Saddam Hussein. Ma sarebbero comunque costrette a rivedere il calendario a causa del «no» del Parlamento turco all'apertura del fronte nord dell'Iraq, e l'azione militare subirebbe un ritardo, da metà a fine mese. Rimane un’unica alternativa a una rottura all'Onu: il piano canadese di precisi «test» della volontà del raís di disarmarsi, da eseguire possibilmente entro il giorno 28.


L'AMERICA - Deciderà all'inizio della settimana ventura, dopo consultazioni nel weekend all'Onu, quando sottoporre la risoluzione al voto. Lo ha dichiarato il segretario di Stato Colin Powell. Ma il portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer ha sottolineato che il voto «è auspicabile, non necessario». E in un discorso a Washington, Bush ha detto che mentre la guerra al terrorismo «ci impone di lavorare con le Nazioni Unite», se esse non interverranno «Saddam verrà disarmato in nome della sicurezza nazionale e della pace». In un incontro con un gruppo di giornalisti, il presidente ha deprecato che le dimostrazioni pacifiste in tutto il mondo «rendono le cose più difficili». Forse il raís, ha rilevato, «riceve segnali contrastanti».


LA RUSSIA - In un'intervista alla Bbc prima dell'incontro con il collega britannico Jack Straw, il ministro degli esteri russo Igor Ivanov ha minacciato il ricorso al veto per la terza volta in una settimana.
«Se la situazione lo esigesse naturalmente lo useremmo come estrema misura per impedire il peggio - ha affermato -. Non appoggeremo una risoluzione che indirettamente o direttamente porti alla guerra. E l’astensione è una posizione che non possiamo prendere. La Russia non è indifferente al futuro dell'Iraq». Ivanov ha poi addolcito il monito: «In Russia non c'è spazio per l'antiamericanismo. Solo l'unanimità all'Onu risolverà la crisi. La guerra sarebbe un tragico errore».


IL CANADA - Pur non essendo nel Consiglio di Sicurezza si è offerto come ponte tra l'America da un lato, e la Russia la Francia la Germania e la Cina che vogliono intensificare le ispezioni e prorogarle almeno fino a inizio giugno. Il piano canadese è di rivolgere richieste mirate di disarmo all'Iraq, con l'obbligo di realizzarle entro il 28 del mese o al massimo il 15 aprile. Fleischer lo ha respinto dicendo che «i bocconi di disarmo iracheni sono la madre di tutti i diversivi». Ma Bush deve fare i conti con la contestazione interna, oltre che mondiale: ieri il senatore democratico Ted Kennedy lo ha assalito chiedendogli di spiegare «perché debba essere guerra già adesso».


LA TURCHIA - Ha scombinato i preparativi militari Usa, che contemplavano il dispiegamento di 62 mila uomini alle frontiere turco-irachene entro la settimana prossima. Ad Ankara, il premier Gul ha osservato che «la Turchia non può fare da spettatrice», ma ha ammesso di non sapere ancora se il Parlamento voterà di nuovo, e se lo farà prima della votazione (o della mancata votazione) all'Onu. Circa 40 navi americane sono bloccate nel Mediterraneo: un rapido «sì» permetterebbe al Pentagono di schierare i mezzi ai confini con l'Iraq in una decina di giorni.


IL CONFLITTO - Il Pentagono ha ordinato la partenza di altri 60 mila soldati per l'Iraq: il totale, compresi i soldati britannici, arriverebbe a 310 mila. E' in partenza anche una sesta portaerei, la Nimitz. Bush non potrebbe tirarsi indietro senza perdere la faccia. Perciò preme sui «sei di mezzo», gli indecisi del Consiglio di Sicurezza (Angola, Camerun, Cile, Guinea, Messico, Pakistan) affinché lo appoggino: ha bisogno di 9 voti su 15, sempre che nessuno metta il veto.
Ennio Caretto

5 marzo 2003