da www.voceoperaia.it
VERSO LA GUERRA
davvero la Francia porrà il veto?
il Medio Oriente e la disputa tra imperialisti
Sbagliano coloro i quali spiegano l'aggressione anglo-americana all'Iraq come se la sete di petrolio ne fosse la causa principale. Man mano che si approssima l'ora dell'attacco, i commentatori più seri e i centri di analisi strategica non cessano di insistere sugli scopi geopolitici dell'impresa di Bush.
La vera posta in palio di questa guerra è il radicale riassetto degli equilibri in Medio Oriente e quindi, come conseguenza, di quelli mondiali. Bush ha effettivamente bisogno della pacificazione, pro domo sua, di quest'area, un'area che è effettivamente il ventre molle, il tallone d'Achille della stretegia imperiale della Casa Bianca. Li sono convinti che la distruzione del regime baathista iracheno non solo rappresenterà una decisiva vittoria del Presidente, ma innescherà un effetto a catena, facendo andare in pezzi tutto il castello di carte postcoloniale stabilito a tavolino da inglesi e francesi. Forti della vittoria, gli USA ritengono sarà possibile non solo imporre una pace in Palestina (alcuni ritengono che messo da parte Arafat si userà adddirittura la carta Barghouti-Mandela per imporre ai palestinesi una confederazione transgiordana che implicherebbe la liquidazione della traballante monarchia ashemita) con un Israele ovviamente più forte e in posizione di perno centrale. Essi ritengono sarà possibile far fuori non solo i gruppi dirigenti ostili (Siria e Iran) ma pure lisciare il pelo ad alleati oramai considerati infidi e inaffidabili, sauditi in testa. Ovviamente non è detto che il piano funzioni, la soglia di rischio è molto alta.
Si capisce dunque, da questa angolatura, la tenace resistenza francese. Se fosse solo questione di petrolio, Bush avrebbe trovato la maniera per accordarsi con Chirac su come spartirsi il bottino. Il punto è che l'imperialismo francese (già in forte difficoltà in Africa a causa dell'espansionismo americano), non solo considera inaccettabili i disegni geopolitici di Whashington, sente altresì che la Casa Bianca vuole escludere Parigi dal tavolo in cui si decideranno i nuovi assetti mediorientali. La cricca di Bush, in effetti, se ne frega degli interessi francesi, della retorica Grandeur. Uno come Rumsfield, tronfio di delirio di onnipotenza, semplicemente non capisce che cosa sia sia messo in testa uno nano come Chirac, Presidente di una potenza che, vista dall'altra parte dell'Atlantico, è poco più di una provincia imperiale. D'altra parte Parigi percepisce nitidamente che questa partita è decisiva: la vittoria USA sull'Iraq, quasi certa, non solo incoronerebbe Bush imperatore, non solo darebbe uno slancio poderoso alla geopolitica USA e darebbe definitivo semaforo verde alla dottrina della "guerra peventiva", ma taglierebbe fuori per sempre la Francia dalla grande partita mondiale.
Se quest'analisi è corretta, parrebbe che Chirac sia obbligato a tener duro ponendo il veto al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Veto che obbligando gli USA ad agire unilaterlamente, segnando quindi un cocente smacco per la Casa Bianca, rappresenterebbe una vera e propria bomba atomica politica. Possiamo immaginare gli effetti a catena, non solo per quanto attiene alla NATO e al tradizionale atlantismo. Pure l'Unione Europea verrebbe letteralmente terremotata. Dal punto di vista degli interessi della borghesia francese l'eventuale rottura con gli USA sarebbe certamente un disastro. Infatti la stampa francese, Le Monde compreso, tende ad escludere che Chiarc porti la sua opposizione fino alle estreme coneguenze, fino al veto all'ONU. Anche noi la pensiamo così, e saremmo ben lieti di essere smentiti, dato che è sempre preferibile avere nemici litigiosi e divisi piuttosto che uniti e compatti. Solo una posizione antiamericana molto ferma da parte di Mosca e Pechino potrebbe dare forza alle resistenze francesi. Ma Chirac sa di non poter fare molto affidamento sul regime di Mosca, che ha bisogno della non belligeranza con gli USA per potersi consolidare, né tantomeno sula Cina, che guarda con certo distacco agli eventi, poiché è vero che Pechino si prepara ad una sfida cruciale con l'America, ma sul lungo periodo.
Sarebbe un errore dimenticare la farsa degli Accordi di Rambouillet del 1998-99 e l'aggressione NATO alla Jugoslavia. Russia e Cina tuonarono fuoco e fiamme contro l'eventuale aggressione, salvo adeguarsi a Clinton al momento decisivo, cioè all'ultimo. Siamo poi, apparentemente, davanti ad una nuova Conferenza di Monaco. Francesi, tedeschi e russi debbono accettare l'espansionismo imperiale nordamericano, come al tempo le "potenze democratiche" presero atto delle annessioni dell'Austria e dei Sudeti da parte di Hitler nell'ottica di guadagnare tempo e rimandare la resa dei conti.
Tra le altre cose, nei campi di battaglia dell'Iraq, si gioca quindi il destino politico dell'Europa. La resistenza franco-tedesca all'unilaterialismo USA non è effettivamente solo di facciata. Bush pone l'Europa davanti ad un dilemma: se continuare a ritenere l'alleanza atlantica l'asse strategico di riferimento, oppure se voltare le spalle agli USA per volgere lo sguardo all'Asia. Il dilemma è: Euramerica o Eurasia? nel primo caso l'Europa non potrebbe che restare subalterna all'America, nel secondo si manifesta l'ambizione di giocare in proprio, nella prospettiva di medio periodo (15-20 anni) di fare dell'Europa la prima potenza mondiale. Poiché è evidente che chi allungherà le mani sull'Asia sarà senz'altro la principale forza.
Chirac e Schroeder hanno la forza politica per decidere di rompere i rapporti di sudditanza agli USA? Di giocare in proprio la partita asiatica? Noi riteniamo di no, riteniamo che alla fine dell'attuale braccio di ferro, Parigi e Berlino (prima Berlino e poi Parigi) molleranno la presa e faranno buon viso a cattivo gioco, cercando di salvarsi la faccia e di raccimolare qualche briciola dalla vittoria americana. Forse sperando che la partita non si chiuda in tempi stretti come pensa Bush, magari facendo affidamento sull'impaludamento politico dell'offensiva militare anti-irachena. Questo in effetti non è escluso, non è cioè escluso che la pace sia per gli americani più complicata della guerra, ciò che consentirebbe agli alleati recalcitranti degli USA, di giocare un ruolo importante. Per dirla in poche parole: francesi e tedeschi, obtorto collo, daranno un lasciapassare all'aggressione USA, nella certezza di rientrare in gioco nella seconda fase, quando si tratterà di risistemare gli equilibri mediorientali, certi che il Protettorato americano sull'Iraq sarà un fiasco colossale e loro saranno insostituibili.
In questo contesto ben poco possono fare i movimenti pacifisti che si agitano, soprattutto in Europa. Se l'aggressione sarà, come è molto probabile, avallata dall'ONU, i movimenti per la pace rifluiranno e perderanno le loro dimensioni di massa. Resteranno ovviamente i settori più radicali, entro i quali, per altro, le posizioni conseguentemente antimperialiste (quelle che cioè appoggiano l'autodifesa dell'Iraq), sono una modesta minoranza. Quasi tutto dipende dall'esito della battaglia tra il Tigri e l'Eufrate. Se Bush otterrà una rapida vittoria annientando il regime baathista, i movimenti di opposizione alla guerra subiranno anch'essi una fulminea sconfitta. Se invece, come ci auguriamo, gli americani dovessero fare i conti con una diffusa resistenza armata, cioè con una vera e propria guerra partigiana di liberazione, allora non solo gli USA si impaluderebbero (dovendo ricorrere a quella che apparirebbe una vera guerra prolungata e di sterminio di massa), non solo le proteste dilagheranno in tto l'Occidente, USA compresi, ma è certo che le posizioni antimperialiste guadagneranno ampio consenso e forse l'egemonia nella melassa del movimento per la pace.