Il Messianismo Regale nell'Antico Testamento
e nel Giudaismo



di Antonio Norrito

Bilancio teologico e profetico - rivelativo


Iniziamo con lo stabilire una definizione introduttiva al tema del messianismo: “Il messianismo può essere inteso come quella concezione biblica che attribuisce al rappresentante della monarchia israelitica un ruolo particolare il regno di Dio e la salvezza del popolo” (FABRIS 1977, p. 519). All’interno di questa nozione generale sono sorte due interpretazioni: il “messianismo regale o dinastico” e il “messianismo escatologico”, che si precisa ulteriormente come messianismo profetico, sacerdotale, apocalittico ecc.

Ma fra tutte le interpretazioni sul Messia, continua il FABRIS, la più antica è quella del “messianismo regale”. L’attesa messianica era concentrata su una figura escatologica carismatica della casa di Davide, che sarebbe stata la guida del popolo e che avrebbe portato la salvezza con la vittoria sui nemici. In origine questa attesa è con molte probabilità (dall’epoca dei re) un’ attesa politica (2 Sam 22, 5 = Sal 18, 51). In uno stadio ulteriore l’accento si sposta sulle qualità specifiche del Messia atteso, che dovrà compiere la giustizia e stabilire un regno di pace e di libertà sulla terra. Questa tendenza si rafforzò all’inizio dell’occupazione romana della Palestina (63 a. C.) così che negli scritti di tarda apocalittica il Messia figlio di Davide passa in primo piano (cfr. libro di Esdra, Baruc asiatico e Nuovo Testamento).

Si nota così come l’opposizione degli zeloti contro la forza di occupazione romana ha perciò una precisa componente messianica. L’esperienza storica di Cristo si cala in tale contesto culturale, che risulta alquanto riduttivo. Infatti al “messianismo regale” con la figura del figlio di Davide, andava aggiunta una riflessione sulla figura del Servo di Yahvè (Isaia) e sulla figura del Figlio dell’Uomo (Daniele). Gesù nel corso della sua predicazione cercò di illustrare una concezione messianica che comprendesse tutte le figure messianiche e non solo quella posta erroneamente in luce dal nazionalismo zelota. Per questa ragione gli Ebrei non accettarono Gesù come Messia, in quanto attendevano un capo politico che li liberasse dai romani e instaurasse nuovamente il regno di Davide. Il messianismo regale cominciò a declinare a partire dalla guerra di Bar Kokba contro i romani (132-135 d. C.).

Successivamente, dopo la sconfitta di tanti pretendenti messia, e più ancora dopo la sconfitta di Bar Kokba, i rabbini svilupparono la concezione di un Messia sofferente, capace di offrirsi per i peccati di Israele sino alla morte nella decisiva battaglia degli ultimi giorni. Si attende perciò un messia-uomo e la sua sconfitta in funzione redentiva. Questa concezione, eterodossa rispetto alle originarie fonti bibliche, si è imposta nel corso del sec. XVIII con il sabatianesimo.

Il declino della originaria concezione messianica, quella regale, è stata compromessa non da una attenta analisi dei testi biblici, ma dall’esperienza storica dei falsi messia. Purtroppo gli Ebrei non hanno una chiara concezione della figura dell’Anticristo e dei suoi predecessori. Gli anticristi dell’ebraismo, come per il cristianesimo, con la loro presenza ed azione hanno distorto indirettamente la giusta concezione del messianismo biblico che appartiene alla santa Tradizione ebraico cristiana. Per colpa di vari anticristi, molti ebrei, nostri contemporanei, hanno perso la fede nel “Dio che viene”. Applicando il criterio evangelico di anticristo come rinnegatore di Dio e della sua Parola possiamo dire che gli anticristi più noti nell’ebraismo sono: il capo dei zeloti, Menachem ben Jehudah; Simon ben Kosiba (Kokba), che suscitò un movimento messianico tale da portare in epoca talmudica alla già citata guerra di Bar Kokba. Nel secolo XII un cabalista, Abraham ben Shemuel Abufalia cercò addirittura di convertire il Papa, Nicola III (1280). Probabilmente l’anticristo più famoso è Shabbetaj Zevi (IIª metà del sec. XVIII) che portò l’intero giudaismo in una profonda crisi e screditò agli occhi di molti ebrei il messianismo tradizionale. Ritengo che sia importante conoscere il fondatore del sabatianesimo, sia per il declino dell’idea del messianismo regale sia per la conoscenza delle concezioni escatologiche del giudaismo massonico, che bene ha messo in evidenza P. Mantero ne L’Altra faccia della storia. Infatti non si potrebbe comprendere l’ostinazione di questo gruppo ebraico e della massoneria in genere, se essi non avessero una qualche speranza di vittoria nel futuro.

Contrariamente a ciò che si afferma nell’Apocalisse gli anticristi credono nella sconfitta del Messia e nella vittoria dell’Anticristo. Dalla storia di questo anticristo di stirpe ebraica comprenderemo in che modo si è sovvertita la Parola di Dio.

SHABBETAJ ZEVI nacque a Smirne nel 1626. Ben presto mostrò una tendenza ereticale, proclamando il tetragramma sacro e la celebrazione delle tre feste del pellegrinaggio in una sola settimana (cfr. MAIER, Piccolo dizionario di ebraismo,1985, p. 555). Cacciato da Smirne, Salonicco e Costantinopoli egli visse per un certo periodo a Gerusalemme. Nel 1655 incontrò a Gaza il cabalista Nathan ben Elisha, ritenuto allora quasi un santo, che lo convinse della sua missione messianica e che divenne il suo profeta. Ancora una volta si ripete qui, come altrove, lo schema dell’Apocalisse: anticristo-pseudoprofeta.

Shabbetaj proclamò pubblicamente di essere il Messia, quindi tornò a Smirne, dove si presentò come il Messia regale. Stabilì poi il 18 giugno 1666 (se l’anno viene letto in chiave numerologica si ravvisa il numero della bestia 666, il segno inconfondibile dell’Anticristo, cfr. Ap 13,18) come il giorno della redenzione. Shabbetaj venne ben presto arrestato dall’autorità turca e posto davanti alla possibilità di scegliere tra l’essere ucciso o il passare all’islamismo; egli contro ogni ragionevole previsione si decise a favore della conversione alla religione islamica. Nè la sua apostasia dal giudaismo nè la sua morte nel 1676 significarono la fine del movimento sabatiano. Il profeta Natan trasformò questa apostasia in una precisa posizione teologica, spiegandola come necessaria del processo di redenzione: il Messia deve sprofondare nel mondo del male e dei demoni in quanto soltanto così potrà liberare se stesso e Israele. Dopo la morte di Shabbetaj sorse la leggenda del suo rapimento e del prossimo ritorno del Messia. La sua dottrina è stata adottata in modo radicale nel movimento di Doenmeh e dei frankisti (di J. Frank) e ha gettato tutto il giudaismo in una crisi le cui conseguenze sono ampiamente avvertibili anche oggi con il discredito di ogni forma di attesa messianica e con il rifiuto della “mistica”. Non meravigliamoci, dunque, se una buona parte degli ebrei professa l’ateismo e neanche c’è da sorprendersi se alla base della conoscenza occulta della massoneria giudaica vi siano degli elementi sabatianici. È chiaro che molti scelgono il male soltanto perché esso sembra avere la forma del bene. Sicuramente lo spirito dell’Anticristo sfrutta questi elementi pseudoteologici per far credere loro che è necessario perseguitare il Cristo nella Chiesa prima, e far guerra al Cristo della Parusia intermedia dopo, nella folle speranza che ciò sia necessario per il processo di redenzione di Israele e del mondo. Ecco la folle speranza dei movimenti occulti e satanici, quella di credere che l’Anticristo vincerà Gesù Risorto e la sua Chiesa, per ridare ad Israele e ai potenti il dominio del mondo.