Riflessione di P. Gianfranco Girotti, O.F.M. Conv., Reggente della Penitenzieria Apostolica

Tempo di meditazione, la Quaresima comporta un rinnovato tentativo di uscire dalla caverna dell'io, dove nei momenti difficili ci nascondiamo nel timore di essere sopraffatti da problemi più grandi di noi. Guardare senza trepidazione a ciò che è intorno a noi e impegnarci a fare con coraggio la propria parte, è una decisione che deve maturare in questo periodo di incubazione spirituale, preludio al grande risveglio pasquale. Talvolta il timore di cadere ci paralizza, non rendendoci conto che si tratta di una forma raffinata di diffidenza e di sfiducia, che sono i segni del nostro egoismo, difficile da cogliere e più difficile da sradicare. Oltre al pane, che sfama ma non sazia, la Quaresima ci esorta ad alimentarci di un 'altro pane', che fortifica e consente di aprire le porte dell'io, ritrovando fiducia e coraggio.
Come agli inizi, così oggi nel cuore della storia risuona perentoria la domanda di Dio:"Adamo dove sei?" E' una domanda che non può cadere come se fosse rivolta ad altri e non a ciascuno di noi. Il "dove sei" esige l'uscire fuori dal nascondimento, di lavorare affinché quello che riteniamo il mondo degli altri divenga anche il 'nostro mondo'. Non si può rispondere come Adamo:"mi sono nascosto". L'uscita dalla caverna consiste nel ritrovare in sé la propria vocazione, al fine di progettare la propria vita come un camino incessante verso l'altro.
Infatti, a quella domanda generale Dio fa seguire una domanda più specifica: "Dove è tuo fratello" E' diffusa la risposta di Caino:"Forse che io sono il guardiano di mio fratello?" In questo periodo forte dell'anno liturgico credo che si avverta chiaro l'invito risoluto di Dio:"Esci dalla tua terra". E' il comando dato ad Abramo, ripetuto ad ognuno di noi. Occorre mettersi in cammino, senza esitazione, perché la lampada non resti sotto il moggio, ma risplenda intorno a noi. Non è facile, eppure è necessario rompere la catena dell'io, avvinto solo a se stesso, prigioniero delle sue brame di potere o vittima delle sue ansietà. Occorre svegliarci e dire: "Signore, cosa vuoi che io faccia?".
A questa nostra domanda Dio risponde solo se essa è profonda ed autentica, detta nella preghiera e sostenuta dal timore di imboccare un falso percorso. Infatti, Dio lascia a noi di trovare la strada, fiducioso nella forza creativa della nostra fede. A tale scopo però occorre sostare e meditare: la Quaresima è il tempo dell'incubazione. Le strade possibili sono infinite e il nostro Dio non vuole essere servito allo stesso modo da tutti. Il mistero dell'uomo si esprime nell'uguaglianza e nella differenza, o anche è compendio dei molti sentieri che gli uomini hanno aperto e percorso, spesso l'uno contro l'altro, non sempre creando, talvolta distruggendo.
La voce austera della Quaresima ci ripete le parole di Gesù:"Se uno mi vuol servire mi segua, e là dove sarò io, sarà anche il mio servo". Se le modalità sono personali, l'indole del cammino è descritta per tutti come "servizio". Il termine greco non è "doulos" che significa "schiavo", ma è "diakonos", che allude alla messa a disposizione di a sé all'altro - forma autenticamente cristiana dell'altruismo - , e non all'asservimento dell'altro a sé - forma raffinata, propriamente pagana, di egoismo -. Il che viene confermato dal richiamo all'onore che a costui viene riservato: "Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà". E allora, come servire? Come esplicitare la 'diakonia'?
Le tragedie causate dal male, le fratture negative del mondo - fame, malattie, e migrazione, disoccupazione… - devono essere convertite in bene tramite l'impegno morale di ciascuno, perché il nostro Dio è Dio di vita e non di morte, Dio di gioia, non di afflizione. La santità si esprime nell'impegno alla redenzione del mondo, in comunione con il Dio della misericordia e della pace. In quanto 'immagine di Dio', ogni uomo è 'il ricordo di Dio nel tempo'. "Dio è invisibile. Basta guardare l'uomo e si ricorda Dio", ha scritto Abraham Joshua Heschel, il quale aggiunge:"Il campo della religione è il mondo intero, la storia nel suo insieme, l'immenso come il minuscolo, ciò che è glorioso insieme a ciò che è banale". Il richiamo quaresimale è forte, perché ci sollecita a chiederci se intendiamo comportarci in modo che Dio abbia vergogna di noi e decida di cancellare 'il ricordo di sé' dal mondo, o se invece vogliamo che sia orgoglioso di noi, in modo da riconoscerci nei nostri gesti e nelle nostre parole. La storia oggi ci pone davanti a scelte, le cui ripercussioni sono di lungo termine. Ciò che ci appare irrilevante forse non lo è, simile piuttosto a quel sasso che, gettato nello stagno, provoca delle increspature che si dilatano raggiungendo la sponda più lontana.
Il tempo è sempre un mare in tempesta, difficile da solcare. La fede ci sostiene, perché ci garantisce di essere su una barca che ondeggia ma che i flutti non travolgono. Sì, è vero, l'odio di Caino verso Abele fa parte della nostra storia, ma è anche vero che assieme all'odio di Caino c'è l'amore divorante del Cristo in Croce, che presto esploderà sul Tabor della Gloria. Come non lasciarci prendere da questa fiamma e consumare le scorie dell'odio che portiamo in noi?
Si narra che un giorno un giovane ebreo facesse visita per la prima volta a un Rabbino, e alla domanda "che cosa hai fatto nella tua vita?" rispondesse di aver per ben quattro volte ripassato le centinaia di volumi che compongono il 'Talmud'. Il Rabbino gli chiese allora:" E quante volte il 'Talmud' è passato attraverso di te? Il problema, dunque, non è la lettura del Vangelo, ma la sua assimilazione, cui occorre puntare rinverdendo il costume dei monaci medievali che leggevano "ore sine requie ruminantes" e cioè lasciandosi prendere da quella parola, perché si facesse di nuovo carne nella storia del proprio tempo.