Il senatore Tirelli: in serie A un solo extracomunitario per squadra


di Simone Girardin

Varese-Cantù-Milano. La storia del basket di questo paese. Storie di memorabili sfide all’ultimo canestro, di rabbia e rancori, gioie e sorrisi, di rivalità cittadine che crescevano tra gli stessi giocatori, spesso figli di quella terra. Per quei ragazzi indossare la maglia della propria città era il sogno di una vita. Durante gli incontri potevi sentire i giocatori urlare in dialetto. La cosa più “strana” che ti poteva capitare era ascoltare l’accento veneto o friulano nello storico palazzetto di Varese. Tre squadre che sono state anche un esempio in campo internazionale: hanno dominato il Vecchio Continente a suon di canestri. E lo hanno fatto per anni. Ma purtroppo i tempi cambiano. Chi ha visto la partita tra Varese e Cantù di qualche mese fa, avrà certamente avuto difficoltà solo a pronunciare i nomi dei giocatori: tra i “canturini” nove su dieci sono stranieri.
Ma oggi basta incrociare gli sguardi dei campioni di quegli anni per capire che quel senso di “territorialità sportiva”, quel genuino spirito di appartenenza è scomparso per lasciare il posto ad uno sport che si è fatto business. Un campanello di allarme che doveva scattare alla vista di quei cortili e oratori che fino a qualche decennio fa sono state le prime palestre per tanti ragazzi che si avvicinavano all’attività sportiva. Adesso sono deserti. Campi abbandonati che non riconoscerebbero più nemmeno le scarpette di un ragazzo. Per chi è sempre stato abituato a lavorare con i giovani del proprio vivaio, soprattutto nel calcio, è dura guardare tutti i giorni in faccia questa amara realtà. Gli allenatori sanno che i loro ragazzi avranno enormi difficoltà ad emergere. Gli spazi di gioco si restringono per colpa di avversari che arrivano dall’estero e ai quali si promette fama e gloria. Anch’ essi però vittime di un sistema che riporta tutto sotto il perfido tatticismo del Dio-denaro.
A Roma qualcuno ha finalmente aperto gli occhi e spinto dalla Lega (non del basket ma quella di governo) sta studiando di riaprire la strada ai nostri atleti.
Il senatore del Carroccio e presidente dell’Associazione Sport Padania, Francesco Tirelli, ha le idee molto chiare a riguardo: «Così non si può andare avanti. E’ arrivato il momento di mettere in atto dei correttivi affinché le squadre professionistiche e semi-professionistiche non trovino comodo andare a prendersi giocatori provenienti dall’Africa piuttosto che dall’Asia».
Senatore Tirelli, l’intenzione è quella di dare spazio ai nostri giovani, oggi sempre più chiusi dalla presenza nei campionati di un elevato numero di atleti extracomunitari?
«Nonostante gli ultimi sforzi da parte del governo, gli ingressi degli extracomunitari nello sport sono ancora elevati. La conseguenza più evidente è che si toglie spazio ai nostri ragazzi. La soluzione è quella di stilare un provvedimento per ridurre all’osso il numero degli extraUe soprattutto nel settore dilettantistico. In questo caso ci si rifà alla nuova legge sull’immigrazione. Il permesso di soggiorno è legato al contratto di lavoro. E sappiamo bene che chi pratica sport dilettantistico non ha alcuna fonte di guadagno. Inoltre, per salvaguardare le oltre 100mila società dilettantistiche presenti nel nostro paese, all’interno dell’ultima Finanziaria, grazie alla Lega, sono state previste importanti agevolazioni fiscali».
Va bene la spinta economica allo sport dilettantistico, ma bisognerebbe mettere mano al mondo professionistico dove stiamo assistendo da diversi anni a questa parte ad una vera e propria invasione straniera. In fondo la serie A di basket e calcio è il mondo a cui guardano i ragazzi. Ma proprio i nostri atleti si vedono poi la strada sbarrata dalla presenza di numerosi giocatori stranieri.
«C’è innanzitutto un grave problema di fondo di cui spesso non si sente parlare. Molti atleti extracomunitari oggi diventano comunitari. Così facendo, per le società interessate a questi atleti, non c’è più alcuna limitazione di acquisto. E ogni volta che questo accade si assesta un colpo pesantissimo ai nostri sforzi di limitare la presenza degli stranieri nei campionati sportivi del paese».
Ma non si può intervenire con provvedimenti restrittivi che siano in linea con le direttive comunitarie?
«Questo è l’obiettivo che stiamo seguendo. Dobbiamo quindi da una parte contrastare questo fenomeno così diffuso che consente agli extracomunitari di ottenere senza alcun minimo problema il passaporto comunitario, dall’altra incentivare le società ad investire sui vivai».
Intanto non si può stabilire, con un’apposita legge, un tetto “rigido” per gli extracomunitari? Per esempio nel mondo del pallone si decide di tesserarne: uno in serie A, zero in serie B e in C?
«Certo che sottoscriverei subito una soluzione del genere ma non è così semplice farlo. Qui entra in gioco anche la normativa sportiva, più lineare ed immediata. La Federazione potrebbe subito mettere dei paletti ben precisi. Sono però le società di calcio a dover dare il buon esempio. Ma queste si mettono di traverso. Preferiscono spendere ingenti somme di denaro per presunti “campioncini” provenienti da fuori. Hanno poi interessi, legati agli sponsor, a comprare più stranieri possibili. E se ne infischiano se i costi diventano esorbitanti. Poi si ritrovano con i conti in rosso e si rivolgono al mondo politico per trovare il modo di appianare i debiti. Ecco il loro gioco di squadra. Noi invece crediamo che sia giunto il momento di crescere i ragazzi in casa, privilegiare i nostri atleti. I veri campioni si costruiscono a casa propria».
Dunque per uscire da questo vicolo cieco bisogna tornare anche a puntare sui settori giovanili?
«Deve essere una corsa a due. Dare la possibilità di crescere, con sostegni economici statali, regionali e locali e politiche di defiscalizzazione, alle società che investono nei loro ragazzi. Dall’altra parte dare il via a precise normative che regolamentino la presenza degli extracomunitari nei campionati italiani».
Una strada che intende seguire tutta la maggioranza?
«Ad alcuni non interessano questi problemi. Ma molti, all’interno della Cdl, la pensano come noi. La sinistra invece resta per un’immigrazione selvaggia, anche nello sport».
Si dovranno aspettare tempi lunghi perché si attui una nuova regolamentazione che faccia cambiare rotta agli sport nazionali?
«Non posso quantificare il tempo necessario. Le prometto che faremo di tutto sistemare questo mondo e per riportarlo nelle mani dei giovani e del territorio. E’ arrivato il momento di finalizzare i nostri progetti».